Plinio Corrêa de Oliveira, Cristianità n. 47 (1979)
Gli avvenimenti politici internazionali più recenti hanno fatto parlare gli osservatori di terza guerra mondiale imminente, e senza le cautele sempre mostrate in proposito dalla fine della seconda a oggi. La situazione è resa ancora più grave e gravida di incognite dai sommovimenti che hanno interessato l’Iran – e che forse sono ben lontani dall’avere esaurito il loro ciclo -, e che interessano tutta l’area da cui provengono, in percentuale rilevante, gli approvvigionamenti petroliferi di tutta l’Europa occidentale. Fatti di così grande portata male si prestano ad apprezzamenti «a caldo» – come si dice -, anche se è indispensabile formarsi un giudizio sia su quanto è accaduto e sta ancora accadendo, sia sul futuro legittimamente prevedibile. In attesa di considerazioni più meditate, riteniamo utile, al momento, offrire ai nostri lettori la traduzione di due importanti e chiaroveggenti studi del professor Plinio Corrêa de Oliveira, presidente del consiglio nazionale della Sociedade Brasileira de Defesa da Tradição, Família e Propriedade (TFP). Intitolati A posição das nações catolicas numa guerra entre comunistas e protestantes e Revolução bolchevizante na gentilidade oriental, sono comparsi rispettivamente in Catolicismo, anno I, n. 4, aprile 1951 e anno II, n. 17, maggio 1952. In tali scritti – di data non recente, ma sostanzialmente tutt’altro che «datati» – si possono trovare molte categorie indispensabili per anzitutto capire, e quindi per giudicare e forse agire nel contesto gravemente degradato delle nazioni cattoliche.
In un preludio di terza guerra mondiale
La posizione delle nazioni cattoliche in una guerra tra comunisti e protestanti
Sarebbe inutile enumerare i molti motivi che rendono imminente una nuova guerra mondiale. Essi sono tanti, così gravi, così evidenti, che ormai la loro conoscenza è passata dai ministeri degli esteri ai parlamenti, dai parlamenti alla stampa, e da qui alla strada, in modo tale che oggi tutti, uomini, istituzioni, governi, vivono in funzione della guerra, Non vi è persona di buon senso e responsabile che, facendo piani per il futuro, non prenda in considerazione le modifiche che una possibile guerra imporrebbe all’andamento regolare delle sue previsioni.
Sarebbe, quindi, il caso di meravigliarsi se anche le persone che amano veramente e seriamente la religione cattolica non studiassero quali potrebbero essere gli effetti di una possibile guerra sulle attività e le stesse condizioni di vita della Chiesa nel nostro secolo. Per trattare questo argomento, che tortura tante anime zelanti, abbiamo deciso di pubblicare in Catolicismo questo studio. Ovviamente potremo prendere in considerazione soltanto gli aspetti più generali del complessissimo problema. Le questioni particolari amplierebbero eccessivamente i contorni, di per sé già così vasti, del nostro lavoro.
Questa probabile guerra avrà alcuni caratteri preponderanti, che influiranno su tutti gli altri suoi aspetti.
In primo luogo, sarà «mondiale» in un senso molto più reale e più profondo del conflitto del ‘14-18, o anche di quello del ‘39-45. Da un lato, i campi di operazioni militari saranno molto più numerosi. È impossibile precisarli in anticipo, ma nessuno si sorprenderà se, presto o tardi, la lotta si estenderà a quasi tutti i seguenti paesi: Giappone, Cina, Indocina, Iran e Irak, Suez e di conseguenza Egitto, Africa settentrionale, senza parlare, chiaramente, dell’Europa. Quanto all’America, ormai non si può più parlare in senso stretto di una sua invulnerabilità a un attacco proveniente dall’Asia, dall’Africa, oppure dall’Europa, e sferrato attraverso gli Oceani o il Polo Nord. Tutte queste circostanze esigeranno una partecipazione militare ed economica molto più effettiva da parte delle stesse nazioni che non saranno direttamente attaccate nei loro cittadini e nei loro territori. Lo sforzo bellico mobiliterà, dunque, in un modo o nell’altro, le risorse del mondo intero.
In secondo luogo, questa guerra, alla quale forse prenderanno parte tutte le nazioni, sarà principalmente una guerra tra due nazioni. I russi e gli americani sono a tale punto superiori per forza e per potenza ai loro rispettivi alleati, che la vittoria di uno dei due blocchi sarà solamente il trionfo della nazione-guida del blocco vincente, che così conquisterà il dominio del mondo.
In terzo luogo, la guerra sarà ideologica. Se la nazione vincente sarà l’URSS, essa imporrà al mondo il suo modo di pensare, di sentire e di vivere. Contro questa prospettiva si armano le nazioni che non sono disposte a rinunciare alle loro tradizioni, ai loro costumi e alla loro anima nazionale. In altri termini, vi sono due civiltà, due culture, due mondi ideologici completamente diversi e antagonistici, l’uno di fronte all’altro. E la sopravvivenza della egemonia mondiale della cultura occidentale sarà impossibile, se la vittoria toccherà al blocco guidato dai bolscevichi.
In quarto luogo, da quanto abbiamo detto deriva una conseguenza. Se la guerra sarà ideologica, e se la questione ideologica che starà alla radice della lotta è la questione sociale, si può prevedere facilmente che in diversi paesi si manifesterà la tendenza a complicare la guerra mondiale con una guerra di classi intestina. È, dunque, possibile che la guerra mondiale sia aggravata da una rivoluzione sociale che, se non sarà mondiale, potrà certamente essere internazionale.
In quinto luogo, tutto porta a credere che la guerra sarà scientifica e porterà con sé possibilità di distruzione non ancora ben note al grande pubblico, ma certamente molto vaste. La tecnica sarà mobilitata contro l’uomo, e potrà determinare sconvolgimenti, distruzioni ed ecatombi inimmaginabili. Qualcuno pensa che la stessa civiltà umana potrà scomparire dalla faccia della terra. Senza dare una risposta né affermativa né negativa, accettiamo la ipotesi, molto meno improbabile, che, semplicemente, le distruzioni comporteranno per la civiltà un regresso che è ancora prematuro tentare di misurare.
Questo è il quadro delle prospettive oscure che la guerra apre davanti a noi.
La Chiesa e il comunismo
Dobbiamo ora esaminare che influenze possono avere queste prospettive sulla sicurezza, sullo splendore e sulla dilatazione della Cristianità.
A questo fine analizziamo la posizione dell’URSS e degli Stati Uniti di fronte alla Chiesa
Cominciamo dall’URSS. Le relazioni tra il comunismo e la Chiesa sono un argomento già mille volte trattato. Ci sembra, tuttavia, che il problema venga molto raramente posto nei suoi termini autentici.
Secondo la dottrina cattolica, Dio ha posto gli uomini in questo mondo perché lo amassero e lo servissero, e così conquistassero la visione beatifica e la vita eterna. Ma Dio non ha lasciato a nostro giudizio la possibilità di servirlo come volessimo. Ha promulgato una legge che non ha revocato e che non revocherà mai, la stessa per tutti gli uomini, in tutti i luoghi e in tutti i tempi, fino alla consumazione dei secoli. Questa legge ci comanda di professare la vera religione, di conservare la purezza secondo il nostro stato, di rispettare la proprietà altrui, e di accettare con amore ogni legittima superiorità, come quella archetipica dell’uomo di pensiero sul lavoratore manuale. Perciò non ci è lecito costituire uno stato di cose basato sulla empietà, sull’adulterio, sul furto e sulla rivolta, e sperare che la Chiesa finisca per conciliarsi con esso. Perché questa conciliazione fosse possibile, sarebbe necessario, o che la Chiesa abbandonasse la legge di Dio, oppure che Dio riformasse la sua stessa legge. Orbene, chi ammette una di queste due ipotesi, cade in eresia. La Chiesa condanna come eretica la semplice supposizione che un giorno la legge, in tutto o in parte, sia da Dio modificata o da essa abbandonata. Come si vede, la opposizione tra il comunismo da un lato e il cattolicesimo dall’altro è la maggiore che si possa immaginare.
Ora, i sovietici non si limitano a vivere secondo questi principi. Desiderano riformare secondo essi tutta la faccia della terra. Lo prova la esistenza, in tutti i paesi, di partiti comunisti mantenuti e diretti da Mosca; e soprattutto la bolscevizzazione brutale di tutti i territori che, in un modo o in un altro, sono caduti sotto il giogo russo, come capitò temporaneamente alla Spagna e al Messico, e come sta capitando ora alla Romania, alla Bulgaria, all’Ungheria, alla Cecoslovacchia, alla Polonia e alla Cina.
In altri termini, la guerra di conquista dell’URSS contro il mondo occidentale è propriamente una guerra ideologica, una sorta di crociata la cui vittoria significherà la fine della civiltà attuale e la revoca dell’editto di Milano con cui, nel 313, Costantino riconobbe alla Chiesa il diritto di esistere.
Di conseguenza, i cattolici devono lottare nel secolo XX contro i comunisti, come lottarono dal secolo XI al secolo XIII contro i saraceni. Siamo obbligati a condurre contro la falce e il martello una vera crociata. Questo è assolutamente chiaro.
Significa forse che tutti i nemici dell’URSS sono crociati, e che possiamo vedere in Truman, per esempio, un Goffredo di Buglione?
La Chiesa e gli Stati Uniti
Ecco una grave questione.
La prima cosa che si deve dire a suo proposito è che non è nuova. Di fatto, essa si pose già ai crociati medioevali. Costoro avevano nell’Impero Romano d’Oriente un naturale alleato. Infatti, i maomettani avevano fatto della monarchia bizantina il loro bersaglio preferito. Contro di essa sferravano i loro colpi migliori. Il desiderio di distruggerla era la loro ambizione più alta, che andavano soddisfacendo con metodo implacabile, e che giunsero a realizzare nel secolo XV, quando le truppe di Costantino XI Dragazes furono decimate sulle mura e per le vie di Costantinopoli dai soldati vittoriosi di Maometto II. Posto l’orientamento implacabilmente e ferocemente antibizantino della politica musulmana, tutto porterebbe a credere che i crociati dell’Europa occidentale abbiano ottenuto l’appoggio dell’Impero d’Oriente per la riconquista dei Luoghi Santi, tanto più che i bizantini, come cristiani, avevano gli stessi motivi religiosi dei crociati per interessarsi alla liberazione del Santo Sepolcro. È certamente vero che i crociati erano cattolici e i bizantini greco-scismatici; ma non sarebbe stato il caso di fare cadere i motivi di dissenso tra cristiani, davanti al comune nemico, formidabile e ferocemente anticristiano? La risposta avrebbe potuto essere soltanto affermativa. Si fece l’accordo. E la collaborazione tra scismatici e crociati funzionò così male, che non sarebbe forse assolutamente esagerato affermare che sarebbe stato meglio per questi ultimi affrontare i musulmani senza nessun aiuto bizantino. Infatti, in più di una occasione decisiva, l’Impero d’Oriente, geloso di una eccessiva potenza degli occidentali, si accordò con i musulmani, lasciando inopinatamente i crociati – privi dell’aiuto promesso – faccia a faccia con il nemico.
Che cosa ci insegna questo fatto storico? Che non vi devono mai essere alleanze tra cattolici e acattolici? Sarebbe portare eccessivamente oltre la tesi. Pio XI, si racconta, affermava che, se avesse dovuto collaborare con il demonio stesso per il bene della Chiesa, avrebbe accettato la collaborazione. E aveva assolutamente ragione. Ma … – e entra a questo punto il particolare che i crociati non presero nella dovuta considerazione – il demonio è sempre demonio, anche quando accidentalmente ci serve come strumento. I patti di alleanza temporanea che possiamo stringere con lui non lo trasformeranno in angelo di luce. E ogni collaborazione con lui non sarà assolutamente dannosa solamente se ci ricorderemo sempre delle riserve assai considerevoli con cui si deve agire verso un tale collaboratore!
Non vogliamo forzare la considerazione. L’esempio può essere applicato al problema di una collaborazione mondiale di tutte le forze anticomuniste soltanto con una infinità di sfumature che sarebbe gravemente ingiusto non esplicitare accuratamente. Ma, in ogni modo, con questo esempio, abbiamo sempre i due principi di qualsiasi collaborazione con gli avversari della Chiesa:
a. in tesi, è possibile;
b. non deve mai essere fatta senza cautele e riserve molto importanti, in mancanza delle quali la collaborazione può essere quasi così gravosa quanto la stessa sconfitta.
Nel caso presente, la collaborazione non è solamente possibile, ma è necessaria. Quando ci parlano della eventualità di gruppi che costituiscano una terza forza, nella ipotesi di una lotta sovietico-americana, ci viene voglia di sorridere. Infatti, sarebbe come dire che non siamo vitalmente interessati all’esito della lotta. Se i sovietici vinceranno, le potenze del gruppo neutrale saranno conquistate in un batter d’occhi. Lottando per schiacciare l’URSS, i nordamericani lotteranno per il destino di tutte le nazioni libere del mondo. Sarebbe, dunque, inconcepibile che queste assistessero alla lotta a braccia incrociate.
Tuttavia, da questa considerazione non deriva che la collaborazione con gli americani debba essere accettata dal mondo cattolico senza cautele né condizioni, né preoccupazioni. Assolutamente al contrario.
Ricordiamo, anzitutto, che l’anticomunismo americano, nella sua composizione, è molto eterogeneo. Vi sono anticomunisti che lo sono per un sincero orrore del bolscevismo. Ma ve ne sono di quelli che lo sono in uno spirito pagano, di pura conservazione di situazioni personali vantaggiose. Vi sono anche quelli che sono anticomunisti per il desiderio di aumentare la prosperità delle grandi imprese americane con le spoglie dell’URSS. Come vi sono anche quelli che vedono nell’URSS non tanto una potenza ideologicamente ostile, quanto un aggressore che mette in pericolo la stabilità della patria. Tra gli anticomunisti americani vi sono sindacalisti duri, che desiderano per la loro patria una organizzazione economica e sociale che, in ultima analisi, è un socialismo quasi assolutamente comunista. Vi sono politici che non hanno il sia pure minimo desiderio di estirpare il comunismo da qualsiasi angolo d’Europa, perchè da questa non si diffonda in America. E vi sono perfino quelli che vedono molto di buon grado i comunisti come alleati, purché siano anti-stalinisti. Questi ultimi sono legione. Basta vedere il consenso quasi generale della opinione pubblica nordamericana a proposito della politica di avvicinamento con tutti i gruppi comunisti dissidenti d’Europa, dai deputati che un poco ovunque stanno rompendo con il PC, fino alla Jugoslavia del maresciallo Tito, abbondantemente nutrita, armata e sostenuta dalla Casa Bianca.
Se si vuole avere un’idea della importanza di certe discrepanze tra l’autentica opinione cattolica e la linea di condotta della Casa Bianca, basterà riflettere su questi tre dati:
a. gli Stati Uniti mantengono un ambasciatore a Belgrado;
b. gli Stati Uniti non hanno un ambasciatore presso il Vaticano, e hanno persino ritirato il rappresentante personale che vi manteneva il presidente;
c. la rappresentanza a Belgrado è ben vista da tutti, ma la rappresentanza in Vaticano susciterebbe, nella maggioranza protestante della popolazione, un movimento di opposizione così vivace, che il governo preferisce non affrontarlo.
Si vede chiaramente che i cattolici, accettando lealmente la collaborazione americana, e soprattutto prestando agli americani un appoggio deciso di fronte al comune nemico, non possono vivere questa collaborazione con capi e soldati americani, come i crociati – affratellati nella stessa fede e combattendo tutti per un medesimo ideale potevano collaborare tra loro sotto la direzione di un cattolico della portata di Goffredo di Buglione. Vale assolutamente il contrario!
Non basta vincere la guerra: è necessario conquistare la vittoria
Concludiamo queste considerazioni ricordando che lo spirito con cui si combatte è lo spirito con cui si vince; lo spirito con cui si vince è lo spinto con cui si organizza la vittoria.
Se, nello scontro imminente, le nazioni cattoliche e latine non conserveranno la coscienza molto viva della loro missione provvidenziale, dell’immenso futuro storico che rappresentano, delle tradizioni di civiltà e di cultura inestimabili che posseggono; se le nazioni cattoliche, e specialmente le nazioni latine, non ricorderanno che, povere o ricche, armate o disarmate, hanno diritto a occupare un posto di primissimo piano nella direzione del mondo per il solo fatto di queste tradizioni e di questa missione, di modo che ogni ordine internazionale che si costituisca senza di esse sia considerato fondamentalmente ingiusto e inaccettabile; se, dunque, queste nazioni non si muniranno delle migliori garanzie che tale sarà la loro situazione dopo la vittoria, avranno trasgredito per ingenuità, per indolenza, per imprevidenza al più sacro dei loro doveri.
Immaginiamo per un istante che cosa sarebbe una vittoria americana conquistata senza la partecipazione di noi cattolici, oppure senza la garanzia che al tavolo della pace la nostra partecipazione ci varrebbe una giusta posizione di onore e di potere. Che verrebbe a essere questa pace? Qualcosa di immensamente migliore della vittoria di Mosca, questo è certo. Ma, in ogni caso, qualcosa di immensamente triste, e che dobbiamo evitare in ogni modo.
Infatti le nazioni anglosassoni, e specialmente gli Stati Uniti (fatta eccezione, chiaramente, per i cattolici che si nutrono del vero spirito della Chiesa), incarnano, anch’esse, una concezione di vita fondamentalmente diversa dalla nostra; una concezione originata direttamente dal protestantesimo, in cui l’ottimismo derivante dalla negazione del peccato originale, la libertà e la promiscuità dei sessi, l’avversione allo spirito gerarchico, il profondo naturalismo, l’orrore per lo sforzo intellettuale serio, hanno una parte immensa. Gli americani (fatte sempre, chiaramente, le dovute eccezioni) sono orgogliosi di questo tipo di vita, di questa «filosofia» per altro abbastanza antifilosofica, che considerano la suprema sapienza. Senza accorgersene, stanno scivolando – e non molto lentamente – dal liberalismo verso un socialismo di Stato sempre più spinto, verso una uniformizzazione e una standardizzazione sempre più completa della vita. Se la vittoria degli Stati Uniti dovesse rappresentare la vittoria di questo spirito, il suo consolidamento in tutto il mondo, la conformazione di tutta la vita intellettuale, sociale e politica dei popoli a questa tavola di valori, non è forse vero che noi cattolici, che lottiamo per la salvezza di una civiltà ben diversa, avremmo ottenuto una vittoria che, se non sarebbe propriamente una vittoria di Pirro, non sarebbe da essa molto lontana?
In ultima analisi, quale guadagno avremmo? Sarebbe al suolo il nemico principale? Si e no. Si, perché sarebbe a terra l’URSS, che rappresenta la punta di lancia del comunismo. No, perché Tito e i «titoisti» che vanno comparendo in tutti i paesi salverebbero la bandiera comunista, e si siederebbero con i vincitori al tavolo della pace. No, ancora, perché lo stesso dinamismo della civiltà ottimista, capitalista e liberale degli Stati Uniti porta lentamente verso il comunismo. Il pericolo sarebbe stato rimandato. È già qualcosa … ma è poco.
Così, dunque, la vera formula della collaborazione deve essere questa: fervorosa, ma non ingenua o incondizionata.
* * *
Tutto questo diventerà più chiaro se prenderemo in considerazione un’altra caratteristica del conflitto che si avvicina. La guerra sarà mondiale, abbiamo detto, e sarà soprattutto la vittoria di una nazione, l’URSS o gli Stati Uniti. Questo equivale a dire che, se vinceranno gli Stati Uniti, essi saranno praticamente gli unici vincitori, e che il loro potere sarà immensamente superiore a quello di Cesare o di Carlo V. Non vi saranno altri gruppi che possano aspirare a questa sovranità mondiale, se prima e durante la collaborazione contro il comune nemico non saranno state prese le necessarie precauzioni.
Questo, dunque, è il momento in cui le nazioni latine – e soprattutto il grande blocco ibero-americano – giocheranno le loro carte per sapere se possono o no conquistare la vittoria. Infatti, cominciato il conflitto, l’ora della diplomazia sarà passata, e sarà necessario lottare o morire.
Plinio Corrêa de Oliveira