Ci racconta l’evangelista san Luca (XXIV, 13-35) che egli, che era stato uno dei discepoli di Gesù, si recava, con un compagno, da Gerusalemme ad Emmaus il giorno stesso della resurrezione, discorrendo perplessi di quanto era accaduto, della crocifissione del maestro e del racconto delle donne che avevano trovato vuoto il sepolcro. Un terzo viandante si unì a loro: era Gesù, ma essi non se ne resero conto perché «i loro occhi erano impediti di riconoscerlo». Alle loro perplessità Gesù rispose dicendo, con una certa durezza: «O uomini corti di intelletto e dal cuore così lento a credere tutto quello che i profeti hanno predetto! Non era necessario forse che il Cristo patisse tutto questo ed entrasse così nella sua gloria?». Poi spiegò loro le Scritture ed entrato con loro in una casa, a tavola «prese il pane, lo benedì e spezzandolo lo porse ai due». Allora i loro occhi finalmente «si aprirono e lo riconobbero; ma egli disparve dai loro sguardi». Quanti insegnamenti, quanti motivi di riflessione potremmo trarre da questa pagina evangelica, tante volte e per secoli e secoli rappresentata dall’arte cristiana! Anche noi molto spesso parliamo troppo di ciò che dovremmo semplicemente credere. Anche noi ci rattristiamo. Anche noi non sappiamo riconoscere Gesù quando è accanto a noi. Anche noi, resi dubbiosi dalle pagine di sedicenti teologi, ci domandiamo se davvero Gesù non sia stato semplicemente un «uomo che fu un profeta, potente nelle opere e nelle parole». Anche noi siamo «corti di intelletto e dal cuore così lento». Ma almeno sapessimo con la stessa certezza riconoscerlo nell’eucaristia, come i discepoli di Emmaus, come san Cleofe [o Cleofa] ed il suo condiscepolo. Sapessimo anche noi dire, come Cleofe e il suo compagno, «Rimani con noi perché si fa sera e il giorno sta per finire». Perché certamente Gesù, come allora in Emmaus, si fermerebbe con noi. Perché il nostro giorno, che la cosa ci sia più o meno evidente, sta per finire.
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, p. 43