di Michele Brambilla
Nell’antico Israele l’interpretazione della Legge era affidata principalmente a tre scuole: i sadducei, a cui appartenevano i sommi sacerdoti, che concepiva ormai solo una salvezza intra-mondana, concordemente con l’occupante romano; i farisei, di estrazione più popolare, meticolosi nel rispettare e nel far applicare ogni precetto; e gli scribi, custodi e burocrati della parola scritta, al servizio dei sacerdoti. Nessuna delle tre vedeva di buon occhio la predicazione di Cristo.
Il Vangelo della XXXI domenica del Tempo ordinario (cfr. Mc 12, 28-34) presenta tuttavia la sorprendente figura di uno scriba che, anziché interrogare Gesù in maniera ostile, ascolta davvero e per questo viene elogiato dal Maestro. La domanda dello scriba, ricorda Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 4 novembre, verte sul «[…] comandamento dell’amore: amore di Dio e amore del prossimo», comandamento che da solo che riassume l’intero Decalogo. «Scegliendo queste due Parole rivolte da Dio al suo popolo e mettendole insieme, Gesù ha insegnato una volta per sempre che l’amore per Dio e l’amore per il prossimo sono inseparabili, anzi, di più, si sostengono l’un l’altro. Pur se posti in sequenza, essi sono le due facce di un’unica medaglia: vissuti insieme sono la vera forza del credente», nel cui operare si intersecano Cielo e Terra.
«L’evangelista Marco non si preoccupa di specificare chi è il prossimo, perché il prossimo è la persona che io incontro nel cammino, nelle mie giornate», senza fare preferenze, che per il Papa non sono un comportamento da cristiani. «Se ci esercitiamo a vedere con lo sguardo di Gesù, ci porremo sempre in ascolto e accanto a chi ha bisogno. I bisogni del prossimo richiedono certamente risposte efficaci, ma prima ancora domandano condivisione. Con un’immagine possiamo dire che l’affamato ha bisogno non solo di un piatto di minestra, ma anche di un sorriso, di essere ascoltato e anche di una preghiera, magari fatta insieme».
Francesco individua chiaramente due pericoli speculari. «Sarebbe illusorio», dice, «pretendere di amare il prossimo senza amare Dio; e sarebbe altrettanto illusorio pretendere di amare Dio senza amare il prossimo». Il pericolo dell’attivismo senza Dio e senza ascolto autentico incombe anche sulle parrocchie, sui movimenti e sulle associazioni: «questo interpella le nostre comunità cristiane: si tratta di evitare il rischio di essere comunità che vivono di molte iniziative ma di poche relazioni; il rischio di comunità “stazioni di servizio” ma di poca compagnia, nel senso pieno e cristiano di questo termine». La preghiera è l’antidoto perfetto, specie se indirizzata a Colei che nel Cenacolo, dopo la Passione e la Risurrezione di Cristo, intercedeva già per la Chiesa nascente. «La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere e testimoniare nella vita di ogni giorno questo luminoso insegnamento».