di Marco Invernizzi
La Prima guerra mondiale (1914-1918), che si è conclusa cento anni fa, costituisce uno degli eventi più importanti della storia moderna per le conseguenze che ha provocato, secondo forse soltanto alla Rivoluzione Francese (1789-1799).
Una frase come quella pronunciata a Parigi, nel centenario dell’Armistizio davanti a 72 capi di Stato e di governo, dal presidente francese, Emmanuel Macron, «Il patriottismo è l’esatto contrario del nazionalismo e dell’egoismo», esprime una verità importante che merita però di essere approfondita giacché innesca una serie di altre domande.
Prima domanda. Contro quale concezione del mondo e contro quale sistema politico il nazionalismo ha provocato la Prima guerra mondiale? La storia è impietosa e costringe a riflettere. Prima del 1914 esisteva un mondo che cercava ancora, seppure faticosamente, di riferirsi a un sistema di princìpi contro i quali oggi Macron e il suo partito si battono. Erano le radici cristiane che l’Europa dell’Unione Europea non ha voluto riconoscere come impegnative per la nuova costruzione comune. Il sistema politico che il nazionalismo smantellò faceva riferimento a una parola, “impero”, che significa integrare le diversità nazionali, culturali e religiose in un progetto politico unitario, ma inclusivo, sotto la guida di una famiglia. Il contrario dell’Europa burocratica che si preoccupa soprattutto del benessere del sistema finanziario slegato da ogni altro riferimento, che non valorizza ma inibisce le particolarità nazionali, ovvero quell’Europa triste e senza anima che la UE sta cercando di costruire con scarso successo.
Seconda domanda. Dalla Prima guerra mondiale è nata la Rivoluzione socialcomunista del 1917 in Russia grazie all’egoismo del nazionalismo tedesco che si servì dei bolscevichi di Lenin (Vladimir Il’ič Ul’janov, 1870-1924) per colpire a morte, dall’interno, l’impero russo. Per decenni, fino al 1989, il comunismo nato nel 1917 ha rappresentato l’“altra Europa”, quella del “socialismo reale”, che tanto male ha fatto ai popoli che è riuscita a sottomettere. Per decenni gli anticomunisti che hanno detto questa verità sono stati osteggiati, insultati, spesso perseguitati. Vogliamo dirlo in pubblico, almeno adesso, che sembra costare meno di qualche tempo fa?
Terza domanda. La Santa Sede venne esclusa dalle trattative diplomatiche alla fine della guerra, trattative che provocarono una tale umiliazione per la Germania da spingerla a un rinnovato nazionalismo su cui si è poi innestata la conquista del potere da parte di Adolf Hitler (1889-1945). Ricordando le parole profetiche del suo predecessore Papa Benedetto XV (1854-1922), che nel 1917 la definì una «inutile strage», nel centenario della fine di quel terribile primo conflitto di portata mondiale, alla recita dell’Angelus di domenica 11 novembre, Papa Francesco ha detto che «sembra che noi non impariamo».
In effetti, sembra proprio che sia così. Non abbiamo imparato che i nazionalismi e le ideologie si vincono riconoscendo che i popoli e gli uomini hanno un padre comune e delle radici, radici che nel caso dell’Europa sono cristiane, le quali sono invece state sradicate sistematicamente per cento anni. Papa Benedetto XV auspicava che nascesse, «[…] in sostituzione delle armi, l’istituto dell’arbitrato con la sua alta funzione pacificatrice, secondo le norme da concertare e la sanzione da convenire contro lo Stato che ricusasse o di sottoporre le questioni internazionali all’arbitro o di accettarne la decisione». Al posto degli imperi, per assolvere a questa funzione pacificatrice fra gli Stati nazionali, è sorta, dopo la fine della guerra, la Società delle nazioni e, dopo la Seconda guerra mondiale (1939-1945), l’Organizzazione delle Nazioni Unite, ma ormai le diverse ideologie in lotta fra loro avevano trasformato l’Europa in un campo di battaglia, dove si è svolta quella “guerra civile europea” che è costata sofferenze innumerevoli a tutti e che ha diffuso tanto odio per troppi decenni.
Inoltre, come conseguenza di questo secolo di continua erosione delle radici che sono all’origine dell’Europa, oggi poche persone restano sensibili a questi richiami e quindi bisogna ricominciare da capo, dai preamboli della fede ai Novissimi, come diceva il Venerabile Pio XII (1876-1958) molti anni fa e come i Pontefici sostengono da decenni, invitando alla nuova evangelizzazione.
Fra pochi mesi si terranno le elezioni europee. Saranno una occasione possibile anche per ricordare queste radici, per dire in pubblico che abbiamo sbagliato strada per cent’anni ma che possiamo ancora rimediare. Sempre che qualcuno voglia provare a imboccare un’altra strada.
Mercoledì, 14 novembre 2018