Da Vita Nuova del 26/10/2018. Foto da culturanuova.net
È stata pubblicata recentemente l’edizione bilingue, latino e italiano, dell’opera principale di uno dei più importanti umanisti italiani del XV secolo, “Dignità ed eccellenza dell’uomo” di Giannozzo Manetti (Bompiani, Testi a fronte, 2018). Manetti (1396-1459), discendente di un’agiata famiglia di commercianti fiorentini, è riuscito a conciliare gli affari di famiglia con l’impegno politico — ha rappresentato il governo di Firenze in numerose ambascerie, tra l’altro a Genova, Venezia, Roma e Napoli — e con lo studio tanto di filosofi pagani antichi e moderni quanto di teologi cristiani che leggeva nella lingua originale. Per la sua conoscenza anche dell’ebraico, papa Niccolò V (1447-1455) lo aveva incaricato di tradurre la Sacra Scrittura in latino, compresi i testi ebraici, incarico rimasto però incompiuto a causa della morte del pontefice.
Le radici della nostra civiltà
“Dignità ed eccellenza dell’uomo” è un’opera importante per comprendere le radici cristiane dell’Umanesimo italiano, spesso descritto unicamente come esaltazione dell’uomo e dei valori terreni in contrapposizione alla cultura cattolica che aveva contraddistinto i secoli precedenti, una interpretazione condivisa almeno in parte anche dal professore Stefano U. Baldassari che nella sua introduzione sostiene che il tema più originale del suo trattato è «la lode dell’ingegno umano». La civiltà europea è caratterizzata dalla particolare attenzione per la dignità e i diritti dell’uomo, valori che hanno le loro radici anche nella tradizione umanistica iniziata dall’Umanesimo rinascimentale, per questo una corretta interpretazione dell’Umanesimo non riguarda solamente gli specialisti, ma è importante per riconoscere le radici della nostra civiltà. Per inquadrare correttamente l’opera di Manetti si deve tener conto dell’aspro dibattito culturale del suo tempo che contrapponeva da una parte le correnti culturali che egemonizzavano il sapere nelle università con filosofi, spesso definiti peripatetici, che con la loro interpretazione delle opere di filosofia naturale di Aristotele negavano, tra l’altro, la creazione e la provvidenza divine, il libero arbitrio e l’immortalità dell’anima umana, e dall’altra la Chiesa cattolica e i più importanti umanisti italiani che difendevano libero arbitrio e immortalità dell’anima, e si schieravano di fatto a difesa della fede cattolica e della religione in generale.
L’anima e le doti dell’intelletto
Un altro grande umanista italiano, Marsilio Ficino (1433-1499), ha descritto nella sua “Lettera a Giovanni Pannonio” con precisione il clima culturale del tardo Medioevo: «tutto il mondo è occupato dai peripatetici, che si dividono in due sette, alessandrini e averroisti. I primi ritengono che il nostro intelletto sia mortale; i secondi pretendono che sia unico. Gli uni e gli altri distruggono nello stesso modo, dalle fondamenta, ogni religione». E nel 1513, anche il Concilio Lateranense V ha condannato «tutti quelli che affermano che l’anima intellettiva è mortale o che è unica per tutti gli uomini, o quelli che avanzano dei dubbi a questo proposito: essa infatti non solo è veramente, per sé ed essenzialmente, la forma del corpo umano, […] ma è anche immortale». Nella sua opera Manetti descrive tanto la bellezza e la razionalità della natura, creata da Dio per accogliere l’uomo, la cui dignità particolare dipende dal fatto di essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio, quanto l’eccellenza del corpo umano, destinato a essere ricettacolo dell’anima spirituale, immateriale e immortale. In queste descrizioni l’Autore manifesta la capacità di ammirare e di provare stupore davanti alla bellezza e alla complessità della creazione. Le doti dell’intelletto, come creatività, sensibilità per la bellezza e apertura alla trascendenza, non sarebbero un prodotto casuale, ma devono essere riconosciute come «doni di Dio onnipotente […] in modo da poter vivere su questo mondo sempre contenti e felici attraverso le buone azioni, e poter poi usufruire in eterno della divina Trinità, dalla quale proviene per noi tutto quello che abbiamo già elencato».
Filosofia e verità di fede
Gli umanisti italiani hanno citato frequentemente autori pagani antichi, ciò che è stato considerato come un loro ritorno al paganesimo e un rifiuto del cattolicesimo, ma questo non corrisponde alle loro intenzioni. Sono soprattutto le teorie di autori che hanno formulato una filosofia morale, come Marco Tullio Cicerone (106-43 a.C.), a essere proposte come esempio e citate per dimostrare che verità di fede e una sana filosofia sono compatibili, e commentandone una citazione, Manetti precisa: «abbiamo riportato queste parole di Cicerone del tutto concordi con la verità e la fede cattolica». La conformità alla fede cattolica è il criterio per vagliare le teorie degli autori pagani, e dichiara «che le antiche opinioni di tutti gli scrittori pagani, nei casi in cui sembrino discrepare dalla dottrina cattolica ortodossa, devono essere considerate un bel nulla», ed effettivamente sono confutate teorie filosofiche che considerano l’anima mortale e corruttibile come pure teorie della reincarnazione. L’ingegno umano consente di raggiungere una certa conoscenza della realtà e di creare opere eccellenti nei vari campi, ma «la vera saggezza non è nient’altro che una sicura conoscenza dell’unico e vero Dio. Tutta la saggezza dell’uomo sembra consistere in questo soltanto: conoscere e onorare Dio più di ogni altra cosa». Per Manetti l’eccellenza umana raggiunge il suo massimo grado nel dono attribuito ai sacerdoti di celebrare i sacramenti e, in particolare, di «preparare e consacrare il santissimo corpo di Cristo».
Il libero arbitrio
La consapevolezza della particolare dignità dell’uomo e dell’eccellenza delle sue funzioni psichiche superiori non dovrebbe degenerare nell’antropocentrismo, con il rischio di esasperare individualismo e presunzione di essere completamente autonomi, generando «l’invidia, la superbia, l’indignazione, il desiderio di dominare, l’ambizione e altre simili perturbazioni dell’anima». Dobbiamo riconoscere che «Dio o la natura ci hanno somministrato non immeritatamente un libero potere sulla mente, in maniera tale che attraverso tale facoltà potessimo sfuggire e sottrarci ai mali, e scegliere e ricercare il bene. Questo potere è stato definito dai teologi “libero arbitrio”». L’uomo è libero di scegliere, ma il libero arbitrio lo obbliga a perseguire il bene avendo presente che «Dio quindi ha creato l’uomo perché questi riconoscesse e adorasse il creatore attraverso la conoscenza e l’accertamento delle sue opere straordinarie». L’uomo deve apprezzare la bellezza del creato, godere dei beni terrestri, ma non può dimenticare la sua vera vocazione, deve condurre una vita virtuosa con «un’attenta e scrupolosa osservanza dei comandamenti divini, la quale per noi costituisce l’unico mezzo con cui possiamo raggiungere la patria celeste ed eterna». Manetti non è l’unico umanista cristiano, e si trova sulla stessa linea dei più importanti esponenti dell’Umanesimo italiano, cominciando da Francesco Petrarca (1304- 1374) che dichiarava nel “De ignorantia” di sentirsi “cristianissimo” e sosteneva che quando Cicerone parlava di un unico Dio reggitore e creatore di ogni cosa usava «espressioni che non sono solo del linguaggio filosofico, ma quasi di quello di noi cattolici», e arrivando a Marsilio Ficino, che ha dedicato la sua opera più importante, “La teologia platonica”, alla critica di filosofi “peripatetici” e pagani in difesa dell’immortalità dell’anima umana.
Ermanno Pavesi