L’epidemia CoVid-19 e la grave crisi sanitaria, economica, sociale e politica conseguente ai lockdown imposti dai governi, sono presentati da più parti come una straordinaria occasione per ricostruire il mondo in modo migliore: «Build Back Better», dal motto dell’amministrazione entrante Usa Biden-Harris. In Europa il «Next Generation EU», a livello mondiale l’«Agenda ONU 2030» e, in Italia, il «Piano nazionale di ripresa e resilienza»: un fil rouge per il “Grande Reset” vaticinato dal World Economic Forum e dalle élites tecnocratiche mondiali.
di Maurizio Milano
Con l’approvazione del «Quadro finanziario pluriennale 2021-2027» e del Piano di rilancio europeo denominato «Next Generation EU», il 10 dicembre 2020 l’Unione Europea ha raggiunto l’accordo sullo stanziamento di un totale rispettivamente di 1.074 miliardi di euro di investimenti pubblici strategici, a cui si assommano i 750 miliardi di euro del Recovery Fund per aiuti immediati, distribuiti tra i vari Paesi europei (una metà circa a titolo di prestito e l’altra come contributi a fondo perduto). L’obiettivo della Commissione Europea, come affermato dalla sua presidente, Ursula von der Leyen, è quello di «modernizzare e rendere più resilienti, verdi e digitali i sistemi economici europei», con un bilancio alimentato per la prima volta dal debito comune. Vengono così definite le linee guida che dovranno seguire gli investimenti pubblici –e privati– negli anni a venire. L’approccio è di tipo top-down, calato dall’alto in modo dirigistico-accentratore; molti contenuti, anche se non tutti, sono anche viziati da pregiudizi ideologici: si va dall’ipotizzata «emergenza climatica di origine antropica» – da cui l’imperativo del Green New Deal di de-carbonizzare le economie europee entro il 2050 – alle tematiche gender,tra le quali anche l’agenda LGBT+; dal «diritto all’immigrazione» senza regole, per fronteggiare il crollo demografico, all’area all’«inclusività sociale», con afflati assistenzialistici e paternalistici. Prescindendo dal metodo errato, molti obiettivi possono anche essere condivisibili, come ad esempio l’importanza dell’innovazione tecnologica e digitale. Nel piano della Commissione, tuttavia, non si riconoscono i veri problemi che affliggono l’Europa: la crisi della famiglia, il collasso demografico, l’oppressione fiscale, la decadenza culturale frutto del rinnegamento delle radici cristiane che hanno costituito storicamente l’Europa, altrimenti destinata a rimanere una semplice penisola asiatica.
La cultura che ispira il progetto è diametralmente opposta alle radici culturali dell’Europa. Basti pensare al ricatto politico attuato dalla Commissione nei confronti dei due Stati “ribelli”, Polonia e Ungheria, presentati come ostili allo “Stato di diritto”, un vocabolo che va ad arricchire la neo-lingua significando d’ora in poi anche immigrazionismo senza regole e “valori” LGBT+: significati poco propizi alle ragioni della vita e della famiglia naturale. Alla fine, grazie alla mediazione di Angela Merkel, è prevalso il buonsenso, ma tutti abbiamo visto come il potere sappia mostrare alla bisogna un volto non solo paternalistico e condiscendente, ma anche minaccioso e ricattatorio. Emblematica al riguardo la reazione furiosa di George Soros, che con la sua potentissima Open Society è uno dei riferimenti culturali del nuovo mondo post-cristiano, contro i due Paesi est-europei. Le politiche fiscali espansive definite dal piano strategico europeo presenteranno il conto, per diversi anni a venire, in termini di maggior imposizione fiscale, maggior debito, falsificazione della libera e leale concorrenza, restrizione degli spazi di libertà personale e familiare. Le “Nuove Politiche Economiche”, la storia insegna, arricchiscono solo le nomenklature.
L’interventismo fiscale post-Covid va a completare il dirigismo europeo, già operativo da oltre un lustro con le politiche di easing quantitativo attuate dalla Banca Centrale Europea. L’espansione senza fine del bilancio della BCE, con migliaia di miliardi di euro creati ex-nihilo, sta infatti portando ad una sorta di “monetizzazione indiretta” dei debiti, in particolare quelli sovrani. Con una “repressione finanziaria”, che schiaccia verso e sotto lo zero i tassi nominali dei titoli obbligazionari, e l’obiettivo di far salire i prezzi del carrello della spesa, la BCE persegue, come le altre Banche Centrali, uno scenario pluriennale di “rendimenti reali negativi” per abbattere il valore reale dei debiti, a scapito ovviamente dei risparmiatori/creditori. Un lungo processo di trasferimento di ricchezza che eviterà, probabilmente, dei default de iure, senza placare progressivi e distribuiti default de facto. Se tutto andrà secondo i desiderata della BCE, in una decina d’anni i risparmiatori dell’area euro meno avveduti avranno perso circa un quarto/un quinto della loro ricchezza finanziaria in termini reali, un po’ per volta, a beneficio degli Stati e dei debitori privati. Gli errori di politica monetaria degli anni passati, che hanno incentivato l’indebitamento e l’azzardo morale, spingendo artificialmente i mercati azionari a beneficio solo di alcuni, vengono ora spesati sulla classe media, in particolare sui piccoli risparmiatori: un esempio perfetto di “socialismo finanziario”.
Il prossimo traguardo perseguito dalla Bce è quello di introdurre l’euro “digitale”, che in prospettiva potrebbe andare a sostituire completamente l’uso del contante, verso il miraggio della cashless society in cui nessuna transazione sarà più sottratta alla supervisione del “grande fratello” finanziario. A quel punto il risparmiatore, che già ora non investe più sull’obbligazionario, visti i tassi di interesse nulli-negativi, non potrà difendersi neppure rimanendo “liquido”, perché anche sulla liquidità – se divenisse digitale – potrebbero essere applicati interessi negativi. L’inflazione, poi, come già detto, farebbe il resto…
All’interventismo dell’Europa si aggiungono un livello superiore e uno inferiore: il primo è l’Agenda ONU 2030 per lo “sviluppo sostenibile”; il secondo è il recepimento in Italia del Piano strategico Next Generation EU. In entrambi i casi, l’approccio è sempre di tipo top-down, accentratore e dirigistico.
L’ONU persegue da anni, con accanimento, i suoi obiettivi ESG (acronimo di Environmental, Social, Governance) che vanno dalla solita emergenza climatica ai “diritti sessuali e riproduttivi” (aborto, sterilizzazione e contraccezione), dalla diffusione dell’agenda LGBT+, dall’inclusività sociale (che sa di Stato assistenziale) a nuove forme di governante dirigistiche. Un progetto che vedeva l’ostilità solamente degli Usa di Trump: con la nuova amministrazione Biden-Harris ci sarà, ovviamente, un’accelerazione. A tal proposito giova citare le prospettive evocate dal World Economic Forum del prof. Klaus Schwab, il quale vede nella stessa epidemia CoVid «un’opportunità unica» per procedere ad un “Grande Reset” dei sistemi economici, sociali e politici mondiali. Il Covid pare essere la “narrativa” per spingere il mondo verso il New Normal dell’«era post-pandemica», come lo definisce solennemente Schwab, con una governance mondiale molto più forte. Un futuro distopico da “Stato assistenzialistico” del Nord-Europa in cui l’autorità pubblica si prende cura di tutti i bisogni del cittadino “dalla culla alla bara”. La famiglia e la proprietà privata passano in secondo piano: Schwab, infatti, non ne parla mai nel suo libro, come non parla di natalità o di comunità intermedie e neppure di esigenze spirituali. Più tasse e più “sicurezza” garantita dall’alto, meno libertà e meno scelta individuale. Magari anche con l’elargizione di un “reddito universale di cittadinanza” accreditato direttamente sui conti correnti con divisa digitale, alla bisogna. Un “socialismo benevolo”, insomma– almeno per chi si dimostrerà “buon cittadino” e non farà domande scomode –, in un “mondo nuovo” in cui, però, c’è posto solo per l’individuo, lo Stato e la comunità internazionale. La collaborazione della grande finanza e del crony-capitalism (capitalismo clientelare), ovviamente, è necessaria alla realizzazione del progetto.
Al dirigismo dell’Europa e a quello Onu si aggiunge, nel suo piccolo, il piano del governo italiano, anch’esso con velleità da pianificatore centrale onnisciente e illuminato. La crisi fiscale sarà probabilmente evitata, grazie soprattutto alla copertura Bce di cui abbiamo detto, ma al costo comunque di un progressivo impoverimento della classe media; per non parlare dell’ulteriore perdita di quel poco di sovranità nazionale che ancora avevamo. I circa 209 miliardi del Recovery Fund (di cui 82 a fondo perduto e 127 a titolo di prestito, da restituire in 10 anni), che dalla primavera/estate 2021 inizieranno ad arrivare nel nostro Paese -elargiti in tranches semestrali nei prossimi 6 anni – saranno infatti gestiti in modo centralistico da una cabina di regìa ristretta: il presidente del Consiglio dei Ministri, il ministro dello Sviluppo Economico, il ministro dell’Economia, a cui si aggiungerà una task force di super-manager “indipendenti” e di “tecnici”. I dettagli potranno cambiare per la negoziazione in atto tra le forze politiche, ma la sostanza non cambia: il parlamento, la società civile, il mondo delle imprese sono per lo più fuori dalla stanza dei bottoni. Tranne, ovviamente, quel “capitalismo clientelare” così scaltro nell’attirare i flussi degli investimenti pubblici a proprio favore. Le linee guida sono comunque decise dall’Europa: i fondi, ad esempio, non si potranno utilizzare per abbassare l’imposizione fiscale e il grosso della torta andrà destinato alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, oltre che alla digitalizzazione del Paese. Il rischio di malversazioni e di falsificazioni della concorrenza è evidente: dopo i monopattini elettrici, i banchi con le rotelle e la gestione fallimentare di Ilva e Alitalia, che cosa escogiterà l’esecutivo giallo-rosso? Se fanno paura le decisioni delle élites tecnocratiche dell’Onu e della UE, non meno sgomento si prova di fronte alla guida politica italiana, forse meno ideologica ma senza dubbio incapace. Non ci attende una tragedia, che avrebbe la sua dignità, ma piuttosto uno spettacolo da commedia dell’arte…
La grande vittima della nuova stagione di governance – mondiale, europea e italiana – sembra essere la sussidiarietà, a partire dalla libertà e dall’autonomia delle famiglie e dell’economia non assistita. Ne usciremo con più Stato, più regole interne e internazionali e meno libertà. Aumenterà la dipendenza dagli Stati e degli Stati: già, perché anche gli Stati potrebbero essere dei validi “corpi intermedi” a tutela delle proprie comunità nazionali, come ci hanno insegnato Polonia e Ungheria, ma non ce lo attendiamo dall’Italia. Non con questa classe dirigente.
Ci troviamo agli inizi di uno straordinario esperimento di “ingegneria sociale”, dietro cui esiste una regia coordinata ai più alti livelli, con piani da attuare con un mix di politica monetaria, politica fiscale e propaganda. Le beghe politiche interne al nostro Paese, in fondo, sono dettagli trascurabili in un grande affresco già abbozzato dalle élites mondiali.
Detto ciò, la crisi in corso potrebbe essere vista anche da noi cattolici come un’opportunità per cambiare in meglio, anche se non ci sono mai automatismi. Nel suo Messaggio all’assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 settembre 2020, in occasione del settantacinquesimo anniversario dell’organizzazione, il Santo Padre propone un «modello economico che promuova la sussidiarietà, sostenga lo sviluppo economico a livello locale», mettendo al centro la famiglia, «nucleo naturale e fondamentale della società», contro ogni «colonialismo ideologico». Perché, conclude Papa Francesco, «da una crisi non si esce uguali: o ne usciamo migliori o ne usciamo peggiori».
Mercoledì, 16 dicembre 2020