Nella recente analisi Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid, redatta dal “Gruppo dei Trenta”, un influente think-tank di cui Mario Draghi è Co-Chair e membro dello Steering Committee, viene presentata un’approfondita riflessione sullo stato e sull’evoluzione del settore produttivo privato post-epidemia. Alla “fase 1” della gestione emergenziale della crisi deve ora seguire una strategia orientata al futuro dell’economia: perché, come dice il rapporto, «il problema è peggiore di quanto non appaia». Il report non è focalizzato su di un Paese in particolare, ma certamente casca a fagiolo per l’Italia.
di Maurizio Milano
Dopo 9 mesi di misure straordinarie per gestire la fase acuta della crisi, inizialmente sanitaria e, subito dopo, anche economica per la crisi di liquidità del settore privato innescata dai vari lockdown, si impone una riflessione più strategica sugli scenari che si prospettano per l’economia reale, in specie per i business privati di dimensioni piccole e medio-piccole, man mano che termineranno gli aiuti straordinari alle imprese e ai privati, il blocco dei licenziamenti, ecc.
Viviamo tempi di profonda incertezza e difficili per tutti, almeno nel settore privato, ma l’analisi parte da un punto fermo, distinguendo tra «crisi di liquidità» e «crisi di solvibilità»: anche un’impresa sana e redditizia può incorrere in una fase temporanea di crisi di liquidità, ma tutt’altro discorso vale per imprese strutturalmente “insolventi”, che non sono redditizie a causa del loro posizionamento commerciale, della loro struttura dei costi, a prescindere da crisi esogene.
Il sostegno alla liquidità per le prime imprese è più che giustificato, se si tratta di un aiuto temporaneo per superare una fase difficile e rimettersi in piedi con le proprie gambe, secondo logiche sussidiarie. Continuare, invece, a fornire liquidità a imprese strutturalmente insolventi non fa altro che sprecare risorse, per definizione scarse: una sorta di “accanimento terapeutico” che va a mantenere artificialmente in vita imprese «zombie…morti che camminano», falsificando la libera e leale concorrenza e inficiando le prospettive e i tempi di una ripresa sana, anche dal punto di vista occupazionale.
In altri termini, dice l’analisi, è giunto il momento di allargare lo sguardo e comprendere che non è più possibile né opportuno proseguire con aiuti a pioggia, indiscriminati. Occorre invece accettare l’avvio di un processo, scrive il report, di «distruzione creatrice», facendo riferimento alla famosa definizione data dall’economista austriaco Joseph Schumpeter (1883-1950). Un concetto espresso anche da Luigi Einaudi (1874-1961), ex-presidente della Repubblica Italiana, il quale ricordava nelle sue Lezioni di politica sociale (ed. Einaudi, Torino 1964, pag. 24) che in un’economia libera anche i fallimenti hanno una funzione regolatrice, perché impediscono di continuare ad utilizzare male «terre, capitali, materiali, macchine, impiegati, operai». Sul punto è molto precisa anche l’osservazione del celebre economista statunitense Milton Friedman (1912-2006), che nel suo libro La tirannia dello status quo (trad. it., ed. Longanesi, 1984, pag. 127) afferma: «Il sistema economico basato sull’impresa privata è spesso descritto come un sistema basato sul profitto. C’è un errore. Si tratta di un sistema basato sui profitti e sulle perdite. Se possibile, la parte delle perdite è ancora più vitale che la parte dei profitti: […] un’impresa privata che non riesce a usare le proprie risorse efficacemente perde denaro ed è costretta a cambiare strada. Un’impresa di stato che non riesce a usare le proprie risorse efficacemente [se] va in perdita è più probabile che ottenga un più cospicuo finanziamento dal Congresso piuttosto che sia costretta a cambiare strada. Anzi, il Congresso può anche prescriverle di espandersi».
Anche le ricadute occupazionali si legano a queste riflessioni: tenere in vita un’impresa, pubblica o privata che sia, strutturalmente inefficiente per “difendere i posti di lavoro”, secondo logiche vetero-sindacaliste, impedirebbe ristrutturazioni salutari che libererebbero risorse preziose verso impieghi più profittevoli. Questi aiuti pubblici indiscriminati contribuiscono a falsificare la concorrenza, creando rendite di posizione, a frenare la creazione della ricchezza e, quindi, per un’eterogenesi dei fini, a rallentare la ripresa dell’occupazione nel lungo periodo. Certamente i periodi di crisi e ristrutturazioni non piacciono a nessuno, ma nondimeno è giunto il momento di prendere, scrive il report, «scelte difficili». Va gestita con saggezza la fase di transizione lato assistenza e di riqualificazione occupazionale dei lavoratori, che dovranno spostarsi tra aziende e settori. L’analisi ne parla: è però imprescindibile accettare fin d’ora che molte imprese, terminata la crisi, non potranno riaprire l’attività, e non avrebbe senso “salvarle” con denaro pubblico se strutturalmente insolventi e fuori mercato.
Nell’analisi si evidenzia anche l’errore di un «eccessivo decisionismo diretto da parte dei governi e un coinvolgimento sub-ottimale dell’esperienza del settore privato che potrebbe essere utilizzata per meglio indirizzare gli aiuti», nonché «un focus eccessivo sulla provvista di credito, che rischia di appesantire le imprese di debiti, promuovendo un uso inefficiente delle risorse, che genererebbe problemi nel futuro». Con un monito importante sul «livello di spesa pubblica che si rivelerebbe insostenibile col potenziale perdurare della crisi economica in corso». In altri termini, è ora che il settore privato si renda protagonista, senza illudersi di potere beneficiare all’infinito di sussidi pubblici. C’è anche un monito a non porre eccessivi vincoli alle imprese in difficoltà, o a indirizzare gli aiuti a pochi settori e imprese solo per seguire l’agenda green e la spinta alla digitalizzazione. Anche il salvataggio di quelle imprese che si erano assunte troppi rischi andrebbe evitato per non continuare ad incentivare l’«azzardo morale».
Il monito che il think-tank co-presieduto da Mario Draghi lancia al mondo cade in un momento davvero cruciale: nei prossimi mesi anche in Italia inizieranno ad arrivare gli aiuti e i finanziamenti stanziati nel Recovery Fund e non ci sono dubbi che non possiamo permetterci il lusso di sperperarli secondo logiche clientelari e assistenzialistiche. Un giorno, infatti, l’epidemia terminerà, ma sarà l’economia ad essere ammalata.
L’analisi del “Gruppo dei Trenta” è lunga ed articolata, e varrà la pena riprenderla a più riprese, non perché se ne debba obbligatoriamente condividere ogni elemento, ma perché sicuramente autorevole e non ignorabile. Portiamoci a casa, per il momento, il monito più che opportuno alla leadership politica a pensare in modo strategico e a superare la logica degli “aiuti a pioggia” di Stato, quella dell’assistenzialismo e del capitalismo clientelare. Di Alitalia, infatti, ne basta una, e proprio non vorremmo vedere moltiplicati interventi assurdi che distruggerebbero ancora risorse, ostacolando la qualità e i tempi della ripresa, anche occupazionale. Sarebbe ancora una volta a beneficio dei pochi e a danno dei più.
Domenica, 20 dicembre 2020