Marco Invernizzi, Cristianità n. 403 (2020)
Filippo Crispolti non è fra i più noti esponenti del movimento cattolico e tuttavia ha avuto un ruolo importante nel rapporto fra i cattolici e il conservatorismo, il nazionalismo e quindi il fascismo, come mette in luce la biografia appena pubblicata di Matteo Baragli, dottore di ricerca in storia contemporanea presso la Scuola Normale di Pisa (1).
Nato a Rieti in una famiglia di tradizione cattolica, Crispolti cresce praticamente insieme all’Italia unita e ne conosce tutti i problemi.
Le considerazioni che seguono nascono dalla lettura del testo di Baragli e non vogliono essere una recensione vera e propria, ma semplicemente offrire delle riflessioni che nascono dalla lettura del testo.
Il rapporto con il conservatorismo
Crispolti è esponente di quel cattolicesimo conservatore che si differenzia dagli intransigenti che avevano guidato l’Opera dei Congressi (2) fino alla presidenza di Giovanni Grosoli (1859-1937), di cui Crispolti era stretto amico e con il quale condivideva l’impostazione culturale e politica. Che cosa si intende con cattolicesimo conservatore? Gli storici hanno definito quelli che chiamo «conservatori» con il termine di «transigenti», in quanto assumono nei confronti della Questione Romana (3) un atteggiamento di apertura verso lo Stato italiano, nella prospettiva di dialogare con la Corona e di costituire un partito politico conservatore fedele agli insegnamenti della Chiesa. Questa posizione li differenzia dagli intransigenti, che guidano il movimento cattolico, in particolare l’Opera dei Congressi, con la prospettiva di organizzare il «Paese reale», stretto attorno al Papa prigioniero in Vaticano, che resiste al «Paese legale», cioè la classe dirigente dello Stato che aveva strappato Roma al Pontefice con la violenza delle armi.
Crispolti è un giornalista che lavora in diverse testate, fra cui L’Osservatore Romano, e quindi con Grosoli contribuisce alla nascita del cosiddetto trust, un insieme di testate cattoliche transigenti o conciliatoriste, che subiscono una condanna durante il pontificato di san Pio X (1903-1914).
La differenza fra intransigenti e conciliatoristi o transigenti non è dottrinale e quindi non riguarda il modernismo, che pure viene combattuto dalla Gerarchia in quegli anni: si tratta di una differenza sul «che fare». Da un punto vista politico il dubbio è se costituire un partito conservatore che entri nelle istituzioni italiane e cerchi di orientarle verso i princìpi cristiani oppure se continuare — fino a quando? — a mettere in pratica il non expedit voluto dalla Santa Sede dopo la Breccia di Porta Pia (1870) in segno di condanna contro lo Stato italiano che aveva strappato Roma alla Chiesa.
Per fare dei nomi, Giambattista Paganuzzi (1841-1923), Giuseppe Sacchetti (1845-1906) e don Davide Albertario (1846-1902) sono intransigenti, mentre il beato Contardo Ferrini (1859-1902), lo stesso Crispolti e Grosoli sono transigenti o conciliatoristi. Chi li definisse cattolici liberali non coglierebbe il problema e sposterebbe sul piano dottrinale una differenza di natura politica. Ciò naturalmente non significa che fra i due gruppi e all’interno degli stessi non vi fossero differenze anche dottrinali e in alcuni casi tali da pregiudicare la comunione con la Chiesa.
Tornando a Crispolti, il suo conciliatorismo nasce di fronte a un primo problema: il rapporto con la nazione.
I cattolici e l’idea di nazione
Il primo problema che ai cattolici si era posto di fronte al processo rivoluzionario del Risorgimento era la nascita dello Stato italiano unitario nel 1861. Non che l’Italia non esistesse prima come patria composta da popoli diversi ma uniti dalla religione cattolica e da altre tradizioni comuni. Però i cattolici, prima della Seconda «guerra d’indipendenza» — in realtà, seconda guerra austro-piemontese —, nel 1859, avevano a che fare con le diverse Italie degli Stati pre-unitari e per un decennio almeno dopo la definitiva unificazione del 1870 vissero nel dubbio se auspicare e operare per il ritorno dei capi di Stato sconfitti militarmente — il legittimismo — oppure se prendere atto dell’Unità e operare per riconquistare un’egemonia culturale e politica.
La prospettiva legittimistica durò poco e si allontanò con il passare degli anni, diventando sempre più impraticabile, ma anche la prospettiva intransigente, che pure permise la fioritura delle tante opere sociali ed economiche cattoliche fra il 1870 e la Prima Guerra Mondiale (1914-1918), diventava altrettanto impraticabile perché priva di uno sbocco politico. Essa si concluse prima con la soppressione dell’Opera dei Congressi da parte della Santa Sede nel 1904, proprio a causa di esternazioni equivoche circa la Questione Romana da parte del presidente Grosoli, poi con il superamento del non expedit nelle elezioni del 1913, le prime a suffragio universale maschile, che dimostrarono come i cattolici erano ancora la maggioranza degli elettori o almeno una parte molto importante: il patto con i liberali moderati, il Patto Gentiloni — così chiamato dal nome del conte Vincenzo Ottorino Gentiloni (1865-1916) —, permise l’ingresso in Parlamento di 228 deputati eletti grazie al voto dei cattolici (4).
Crispolti non apparteneva alla corrente intransigente e come tutti i cattolici si dovette interrogare su quale atteggiamento avere nei confronti dell’Italia come patria, come nazione certamente esistente fin dal Medioevo almeno, come spiegava proprio in quegli anni il beato Giuseppe Toniolo (1845-1918), ma che ora si presentava come una realtà statuale unitaria.
Il tema della nazione non era facile. La Chiesa insegnava certamente ad amare la propria patria come la terra dei padri e ad avere nei suoi confronti atteggiamenti analoghi a quelli da tenere nei confronti dei genitori e degli avi, ma l’amore alla patria in quegli anni si era tinto del nazionalismo, sia quello democratico e rivoluzionario nato con la Rivoluzione francese sia quello successivo, reazionario e imperialista, che sfociò in Italia nel movimento fondato da Enrico Corradini (1865-1931) e da Luigi Federzoni (1878-1967) (5).
Crispolti sposò così un atteggiamento di esaltazione dell’italianità, cercando di evitare di cadere negli eccessi ideologici dei due nazionalismi ricordati, ma certamente entrando in maggiore sintonia con il secondo nazionalismo rispetto al primo. Ciò, per esempio, spiega il suo appoggio e quello dei cosiddetti «cattolici nazionali» alla guerra dell’Italia contro l’Impero Ottomano nel 1911-1912 per conquistare le regioni della Cirenaica e della Tripolitania in Africa Settentrionale. Questo gruppo di «cattolici nazionali» parve perdere ogni legame con la concezione politica legata all’idea di impero, secondo la quale diversi popoli possono coesistere sotto la guida di una dinastia, e invece tentò di «cristianizzare» l’idea di nazione per favorire la nascita di una sorta di nazionalismo cattolico.
I cattolici e la Grande Guerra
Il secondo problema che si pose davanti al movimento cattolico fu la Prima Guerra Mondiale, un problema strettamente legato al primo. Infatti la Grande Guerra è il conflitto che vede il trionfo dei nazionalismi contro gli Imperi superstiti — russo, austro-ungarico, germanico e ottomano —, che scompaiono tutti dopo la fine del conflitto (6). Di fronte alla guerra la Chiesa, attraverso il suo magistero e la sua diplomazia, mantiene un atteggiamento di neutralità fra i contendenti e nell’agosto del 1917 arriva con Benedetto XV (1914-1922) a definire il conflitto una «inutile strage» (7), facendo di tutto perché terminasse il prima possibile. Tuttavia gli episcopati nazionali e i relativi laicati si dividono e l’unità europea — già venuta meno con la Riforma e con le sue conseguenze — si spezza ulteriormente a causa di una guerra intestina che parte dal conflitto fra Germania e Francia per allargarsi poi alle altre nazioni.
Di fronte alla guerra, in Italia, accanto a una minoranza di cattolici cosiddetti «austriacanti», che simpatizzano per l’Impero austriaco come Stato cristiano ma che devono anche sopportare l’alleanza di quest’ultimo con l’impero prussiano, nazionalista e imperialista oltre che in gran parte protestante, vi è la maggioranza dei cattolici che sono per la neutralità, seguendo le indicazioni della Santa Sede. Vi è anche una minoranza favorevole alla guerra che a sua volta si divide fra i« cattolici democratici», che vogliono la guerra a fianco dell’Intesa contro gli imperi centrali, e i «cattolici nazionali» che sono per l’obbedienza alle scelte che farà lo Stato, pur cercando di conciliare queste scelte con quelle della Chiesa.
La decisione dell’Italia di entrare in guerra nella primavera del 1915 accelera l’ingresso dei cattolici nelle istituzioni, sia con l’entrata del cattolico democratico Filippo Meda (1869-1939) nel governo formato dall’on. Paolo Boselli (1838-1932), liberale, sia in generale con i cappellani militari che vanno al fronte accanto ai soldati e poi soprattutto, dopo la sconfitta di Caporetto, del novembre del 1917, con una esplosione di patriottismo che investe non solo l’Italia ma tutti i Paesi in guerra.
I cattolici e il Partito Popolare Italiano
Il terzo aspetto che investe il mondo cattolico si presenta alla fine della guerra in seguito alla nascita del Partito Popolare Italiano (PPI) fondato a Roma da don Luigi Sturzo (1871-1959) nel gennaio del 1919. Sturzo vuole introdurre i cattolici nelle istituzioni liberali per ampliare la partecipazione popolare e dei cattolici al potere in una prospettiva federalistica. Nel PPI confluiscono tutte o quasi le forze cattoliche, dagli ex intransigenti come Paganuzzi e Filippo Sassoli de’ Bianchi (1836-1938), ai sindacalisti «bianchi» come Guido Miglioli (1879-1954), a quelli che non vogliono rinunciare alla confessionalità come il francescano Agostino Gemelli (1878-1959) e mons. Francesco Olgiati (1886-1962), fondatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, e infine i democratici che seguono Sturzo.
Ma il PPI dura poco. L’Italia viene investita dal movimento fascista, fondato a Milano nel 1919 e in grado di arrivare alla presidenza del Consiglio con Benito Mussolini (1893-1945) già il 30 ottobre del 1922, sfruttando la pressione extra parlamentare esercitata dalla «Marcia su Roma», l’adunata — non repressa dal governo — di tutte le squadre fasciste d’Italia a Roma il 28 ottobre di quell’anno. Il PPI e più in generale il mondo cattolico, nonché la Segreteria di Stato, sono costretti a prendere una posizione di fronte al regime nascente. E la posizione della Santa Sede sarà diversa da quella del Partito Popolare, sacrificato sull’altare dell’accordo diretto con il regime, che sfocerà nei Patti Lateranensi del 1929 (8).
Se don Sturzo è costretto all’esilio, Crispolti segue una strada diversa, quella di entrare nel sistema fascista per tentare di «cattolicizzarlo», cercando sempre di tenere insieme fedeltà alla Chiesa e obbedienza allo Stato.
Nominato senatore nei giorni della Marcia su Roma, aderisce al Centro Nazionale Italiano (CNI), un gruppo di ex-popolari che sostiene il governo di Mussolini, pur rifiutando incarichi ufficiali. Ma la Santa Sede vuole concludere direttamente un accordo con il regime e ciò spiega la condanna del CNI da parte di Pio XI (1922-1939) con un testo pubblicato su L’Osservatore Romano del 27 marzo 1928. Crispolti e i cattolici filo-fascisti, se posso usare questa definizione, cercano di minimizzare, ma il distacco rimane. La Conciliazione poi segnerà definitivamente il venir meno dell’utilità di qualsiasi posizione politica filofascista in ambito cattolico: la Santa Sede aveva negoziato e ottenuto quanto possibile e comunque vi era stato un rapporto senza mediazioni fra il regime e la Chiesa italiana, guidata dal vescovo di Roma e dal Segretario di Stato, il card. Pietro Gasparri (1852-1934).
Conclusioni
Che dire al termine di questa stagione politica? Il Concordato ha segnato la fine di un’epoca storica caratterizzata dalla costruzione dell’Italia moderna, unificata geo-politicamente nel 1861-1870, ma unita culturalmente soltanto con la limitata apertura delle istituzioni ai cattolici nel 1929. Con il Concordato terminava la principale contrapposizione che aveva caratterizzato il periodo post-risorgimentale, quella fra cattolici e Risorgimento, fra Chiesa e Stato. Come ha spiegato Oscar Sanguinetti, ci furono indubbi vantaggi per la Chiesa e per il bene comune del Paese, ma i cattolici dovettero pagare un prezzo non modesto, quello di rinunciare a una presenza politica volta ad aiutare la nascita di una civiltà cristiana. Infatti, il periodo del «Paese reale» contrapposto al «Paese legale», il tempo del movimento cattolico e in particolare dell’Opera dei Congressi svanì nel nulla, non tanto da un punto di vista storiografico, quanto nella vita culturale interna della comunità ecclesiale. I grandi dirigenti dell’Opera dei Congressi che costruirono l’Italia reale fra la Breccia di Porta Pia e la Prima Guerra Mondiale sono scomparsi nell’oblio e con essi l’ingiustizia con cui è nata l’Italia moderna e la resistenza dell’«opposizione cattolica», per richiamare il titolo del libro di Giovanni Spadolini (1925-1994) (9).
Con il Concordato finì l’esperimento clerico-fascista crispoltiano, ormai inutile e che peraltro non era riuscito a «convertire» il regime, ma chiuse anche Fede e ragione, diretta da don Paolo de Tőth (1881-1965) (10), l’ultima rivista del cattolicesimo che non si era arreso alla Rivoluzione nazionalista e liberale. Soprattutto si smisero di evocare quelle figure del mondo cattolico che avevano caratterizzato i decenni post-risorgimentali, tanto che oggi per fare riferimento a una presenza politica dei cattolici si deve partire, per essere compresi, da don Luigi Sturzo e da Alcide De Gasperi (1881-1954), quasi che i cattolici prima del 1919 non fossero esistiti e non avessero operato, sebbene non partecipando alle elezioni politiche.
La mancata elaborazione della ferita di Porta Pia e della successiva «riparazione» del 1929 è costata e può costare ancora molto cara, perché ha favorito la mancanza di una interpretazione della storia condivisa da parte del mondo cattolico nelle sue diverse espressioni. A partire da questa mancanza ognuno ha cercato una soluzione, fra cui appunto quella clerico-fascista.
A mio avviso questa scelta è fallita soprattutto perché non è riuscita a presentare i propri princìpi in modo pubblicamente forte e convincente, nonostante l’integrità morale e dottrinale dei suoi esponenti, come per esempio Filippo Crispolti. Pur fallita, quella prospettiva continua a suscitare il timore che possa essere ripresa, come per esempio si evince dal titolo di un articolo di Andrea Riccardi, Il nazional-cattolicesimo, un pericolo per la Chiesa (11).
Forse sarebbe proprio ora, come sembra auspicare lo stesso Riccardi, di mettere da parte certe paure e di ripercorrere veramente tutta la storia della presenza pubblica dei cattolici in Italia, dalle Insorgenze antirivoluzionarie a oggi (12), senza censure preventive e pregiudizi ideologici.
Marco Invernizzi
Note:
1) Cfr. Matteo Baragli, Filippo Crispolti. Un profilo politico fra cattolicesimo e nazione (1857-1942), Morcelliana, Brescia 2019.
2) Cfr. il mio I cattolici contro l’unità d’Italia? L’Opera dei Congressi (1874-1904). Con i profili biografici dei principali protagonisti, Piemme, Casale Monferrato 2002.
3) Cfr. Renato Cirelli, La Questione Romana. Il compimento dell’unificazione che ha diviso l’Italia, con una introduzione di M. Invernizzi, Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1997.
4) Cfr. il mio L’Unione Elettorale Cattolica Italiana 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici, Cristianità, Piacenza 1993.
5) Cfr. il mio Il movimento nazionalista in Italia, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale (a cura di), Dizionario del pensiero forte, nel sito web <https://alleanzacattolica.org/il-movimento-nazionalista-in-italia> (gl’indirizzi Internet dell’articolo sono stati consultati l’11-7-2020).
6) Cfr. Oscar Sanguinetti, Grande Guerra e Rivoluzione, ibid., nel sito web <https://alleanzacattolica.org/grande-guerra-e-rivoluzione>.
7) Benedetto XV, Esortazione apostolica «Dès le début» ai Capi dei popoli belligeranti, del 1°-8-1917.
8) Cfr. O. Sanguinetti, Novanta anni fa: la Conciliazione, in Cristianità, anno XLVII, n. 396, marzo-aprile 2019, pp. 39-62; cfr. altresì Idem, voce Conciliazione, in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale (a cura di), Dizionario del pensiero forte, nel sito web <http://alleanzacattolica.org/la-conciliazione>.
9) Cfr. Giovanni Spadolini, L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Vallecchi, Firenze 1996; su cui cfr. il mio «L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98». Una lettura, in Cristianità, anno XXIII, n. 240, aprile 1996, pp. 5-10.
10) Su di lui, cfr. il mio Paolo de Töth (1881-1965), in IDIS. Istituto per la Dottrina e l’Informazione Sociale (a cura di), Dizionario del pensiero forte, nel sito web <http://alleanzacattolica.org/paolo-de-toth-1881-1965>.
11) Corriere della Sera, 10-12-2019.
12) Lo ha fatto recentemente il vescovo di Reggio Emilia, mons. Massimo Camisasca, con il lungo documento I cattolici italiani e la politica. Discorso alla Città e alla Diocesi in occasione della solennità di San Prospero, del 24-11-2019 (consultabile nel sito web <http://www.diocesi.re.it/wd-interventi-vesc/i-cattolici-italiani-e-la-politica>).