Dio ci ama senza alcun merito nostro perché è Egli stesso amore.
di Michele Brambilla
«Nel nostro cammino di catechesi sulla preghiera», dice Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale di mercoledì 3 marzo, «oggi e la prossima settimana vogliamo vedere come, grazie a Gesù Cristo, la preghiera ci spalanca alla Trinità – al Padre, al Figlio e allo Spirito –, al mare immenso di Dio che è Amore. È», infatti, «Gesù ad averci aperto il Cielo e proiettati nella relazione con Dio», essendo consustanziale al Padre e allo Spirito Santo. «Noi davvero non sapevamo come si potesse pregare: quali parole, quali sentimenti e quali linguaggi fossero appropriati per Dio», allora Gesù si è fatto Maestro anche nel pregare.
Il Papa rammenta che «non tutte le preghiere sono uguali, e non tutte sono convenienti: la Bibbia stessa ci attesta il cattivo esito di tante preghiere, che vengono respinte» perché «Dio guarda le mani di chi prega: per renderle pure non bisogna lavarle, semmai bisogna astenersi da azioni malvagie. San Francesco pregava: “Nullu homo ène dignu te mentovare”, cioè “nessun uomo è degno di nominarti” (Cantico di frate sole). Ma forse il riconoscimento più commovente della povertà della nostra preghiera», afferma il Santo Padre, «è fiorito sulle labbra di quel centurione romano che un giorno supplicò Gesù di guarire il suo servo malato (cfr Mt 8,5-13)», tanto che le parole spese in quell’occasione dal soldato romano sono così pregnanti da essere entrate a pieno diritto nella liturgia cattolica: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto».
Il Pontefice domanda: «perché l’uomo dovrebbe essere amato da Dio», al di là di ogni merito? È possibile solo se «è Gesù a rivelare il cuore di Dio. Così Gesù ci racconta con la sua vita in che misura Dio sia Padre. Tam Pater nemo: Nessuno è Padre come Lui. La paternità che è vicinanza, compassione e tenerezza. Non dimentichiamo queste tre parole che sono lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. È il modo di esprimere la Sua paternità con noi». Dio ama perché non può che amare, come ha dimostrato Cristo salendo persino sulla croce per noi.
La paternità di Dio si riverbera nella maternità universale della Chiesa. Hanno fatto il giro del mondo le immagini della suora cattolica birmana che tenta di fare da scudo ai manifestanti inermi nel corso dei cortei contro il golpe militare del 2 febbraio: è lo stesso Papa a ricordare che «giungono ancora dal Myanmar tristi notizie di sanguinosi scontri, con perdite di vite umane. Desidero richiamare l’attenzione delle Autorità coinvolte perché il dialogo prevalga sulla repressione e l’armonia sulla discordia. Rivolgo anche un appello alla Comunità internazionale, perché si adoperi affinché le aspirazioni del popolo del Myanmar non siano soffocate dalla violenza. Ai giovani di quell’amata terra sia concessa la speranza di un futuro dove l’odio e l’ingiustizia lascino spazio all’incontro e alla riconciliazione».
Incontro e riconciliazione che sono anche gli obbiettivi dell’imminente viaggio in Iraq: «da tempo desidero incontrare quel popolo che ha tanto sofferto; incontrare quella Chiesa martire nella terra di Abramo. Insieme con gli altri leader religiosi, faremo anche un altro passo avanti nella fratellanza tra i credenti. Vi chiedo di accompagnare con la preghiera questo viaggio apostolico, perché possa svolgersi nel migliore dei modi e portare i frutti sperati. Il popolo iracheno ci aspetta; aspettava san Giovanni Paolo II, al quale è stato vietato di andare» nel 2000. Ribadisce: «non si può deludere un popolo per la seconda volta. Preghiamo perché questo viaggio si possa fare bene».
Giovedì, 4 marzo 2021