« Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose loro: “Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!””. Poi aggiunse: “In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro”. All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino » (Lc 4,24-30).
Gesù si mette in compagnia dei profeti dell’Antico Testamento, molti dei quali erano stati rifiutati e anche uccisi dai loro compatrioti israeliti (Lc 11,47; 13,33-34; At 7,52). In particolare si richiama alla missione di Elia ed Eliseo per gettare luce su quello che gli sta succedendo.
Questi profeti vissero in tempi bui, in cui Dio sembrava aver dimenticato il regno di Israele, per gettare uno sguardo di predilezione sui popoli pagani. Così Elia fu mandato ad una vedova di Sidone (1Re 17,1-16) e Eliseo guarì la lebbra di un generale degli Aramei (2Re 5,1-14). Gesù vuole spiegare che « l’anno di grazia del Signore » (Lc 4,19), di cui ha appena annunciato la venuta, sarà ugualmente un tempo di benedizione al di fuori dei confini di Israele suscitando una reazione sdegnata e violenta.
Per fare una applicazione alla nostra situazione oggi: siamo abituati a pensare alla nostra Europa come al centro del Cristianesimo e ci è difficile prendere atto che questo “centro” si è spostato. L’Europa, l’Occidente, non fa più riferimento a Cristo, anzi positivamente lo rifiuta. Il cristianesimo però non è finito, perché fiorisce altrove e – a partire da lì – può rifiorire anche nella nostra vecchia Europa.
Dobbiamo solo riconoscere – che ci piaccia o no – i “segni dei tempi”. Il “mestiere” del profeta è un mestiere difficile e Gesù porta questa difficoltà a compimento. Nel destino del profeta c’è un’insuperabile ed ineliminabile “solitudine”. Noi cristiani siamo tutti profeti e siamo inviati come profeti (con il Battesimo siamo stati unti sacerdoti, re e profeti). Annunciare la Verità di Dio con le parole e con la vita è tutt’altro che facile.
Ma è la più bella, soddisfacente e meravigliosa avventura che possa capitare ad un uomo e ad una donna in questo mondo!