Il Papa recita l’Angelus tra le rovine di Qaraquosh. Le sue parole toccano il cuore dei cristiani iracheni, ma si rivolgono indirettamente al mondo intero
di Michele Brambilla
L’Angelus del 7 marzo viene recitato non in piazza S. Pietro, ma nella cittadina irachena di Qaraquosh, che porta ancora tutti i segni dell’occupazione da parte dell’ISIS. Papa Francesco, nel corso del suo viaggio apostolico in Iraq, è accolto da una comunità cristiana che ha saputo risollevarsi grazie alla sua fede tenace, ma ha ancora bisogno dell’aiuto di tutti e teme l’arrivo di nuove persecuzioni.
«Sono grato al Signore per l’opportunità di essere in mezzo a voi questa mattina», dice il Papa con sollievo. «Ho atteso con impazienza questo momento. Ringrazio Sua Beatitudine il patriarca Ignace Youssif Younan», pastore dei siro-cattolici, «per le sue parole di saluto, come pure la signora Doha Sabah Abdallah e padre Ammar Yako per le loro testimonianze», che riportano alla memoria gli anni dello strapotere del “califfo” Al-Baghdadi. «La vostra presenza qui ricorda che la bellezza non è monocromatica» e l’Iraq non può vivere senza i suoi cristiani.
«Allo stesso tempo», constata il Pontefice «con grande tristezza, ci guardiamo attorno e vediamo altri segni, i segni del potere distruttivo della violenza, dell’odio e della guerra», ma «questo nostro incontro dimostra che il terrorismo e la morte non hanno mai l’ultima parola. L’ultima parola appartiene a Dio e al suo Figlio, vincitore del peccato e della morte». Il sangue dei cristiani è sempre seme di nuovi credenti: «anche in mezzo alle devastazioni del terrorismo e della guerra, possiamo vedere, con gli occhi della fede, il trionfo della vita sulla morte. Avete davanti a voi l’esempio dei vostri padri e delle vostre madri nella fede, che hanno adorato e lodato Dio in questo luogo. Hanno perseverato con ferma speranza nel loro cammino terreno, confidando in Dio che non delude mai e che sempre ci sostiene con la sua grazia. La grande eredità spirituale che ci hanno lasciato continua a vivere in voi. Abbracciate questa eredità! Questa eredità è la vostra forza» e guiderà la ricostruzione, alla quale Francesco esorta senza esitazioni. Richiama, in proposito, un celebre passo biblico: «il profeta Gioele dice: “I tuoi figli e le tue figlie profetizzeranno, i tuoi vecchi sogneranno e i tuoi giovani avranno visioni” (cfr Gl 3,1). Quando gli anziani e i giovani si incontrano, che cosa succede? Gli anziani sognano, sognano un futuro per i giovani; e i giovani possono raccogliere questi sogni e profetizzare, portarli avanti. Quando gli anziani e i giovani si uniscono, preserviamo e trasmettiamo i doni che Dio dà».
Un messaggio, a ben vedere, valido anche per l’Occidente post-pandemico, che deve riagganciarsi alla sua eredità spirituale e culturale per edificare un avvenire davvero solido. Tutto il mondo è ancora in travaglio a causa della pandemia: «sicuramente ci sono momenti in cui la fede può vacillare, quando sembra che Dio non veda e non agisca. Questo per voi era vero nei giorni più bui della guerra, ed è vero anche in questi giorni di crisi sanitaria globale e di grande insicurezza. In questi momenti, ricordate che Gesù è al vostro fianco. Non smettete di sognare! Non arrendetevi, non perdete la speranza! Dal Cielo i santi vegliano su di noi: invochiamoli e non stanchiamoci di chiedere la loro intercessione».
Il perdono è un elemento fondamentale della ricostruzione di una comunità: «il perdono è necessario per rimanere nell’amore, per rimanere cristiani. La strada per una piena guarigione potrebbe essere ancora lunga, ma vi chiedo, per favore, di non scoraggiarvi. Ci vuole capacità di perdonare e, nello stesso tempo, coraggio di lottare» per il trionfo della pace. «So che questo è molto difficile. Ma crediamo che Dio può portare la pace in questa terra» e non solo.
L’appello del Pontefice vale certamente per l’Iraq, ma si estende, ancora una volta, al mondo intero: «in ogni momento, rendiamo grazie a Dio per i suoi doni e chiediamogli di concedere pace, perdono e fraternità a questa terra e alla sua gente. Non stanchiamoci di pregare per la conversione dei cuori e per il trionfo di una cultura della vita, della riconciliazione e dell’amore fraterno, nel rispetto delle differenze, delle diverse tradizioni religiose, nello sforzo di costruire un futuro di unità e collaborazione tra tutte le persone di buona volontà».
L’ISIS aveva abbattuto ogni immagine cristiana, ma «mentre arrivavo con l’elicottero, ho visto la statua della Vergine Maria su questa chiesa dell’Immacolata Concezione, e ho affidato a lei la rinascita di questa città. La Madonna non solo ci protegge dall’alto, ma con tenerezza materna scende verso di noi. La sua effigie qui è stata persino ferita e calpestata, ma il volto della Madre di Dio continua a guardarci con tenerezza. Perché così fanno le madri: consolano, confortano, danno vita. E vorrei dire grazie di cuore a tutte le madri e a tutte le donne di questo Paese, donne coraggiose che continuano a donare vita nonostante i soprusi e le ferite. Che le donne siano rispettate e tutelate! Che vengano loro date attenzione e opportunità!».
Lunedì, 8 marzo 2021