« Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli » (Mt 5,17-19).
Qui il Signore Gesù ci consegna l’insegnamento più completo e profondo sul rapporto che il Vangelo e la sua persona intrattengono con la Legge e i Profeti, cioè con la totalità delle Scritture dell’Antico Testamento. Non è venuto ad abolirle, a distruggerle, ma a portarle a compimento. Il rapporto che lui vuole avere con il passato, non è “dialettico”, di eliminazione e sostituzione.
Compiere qui non significa semplicemente “mettere in pratica”, ma “realizzare”. Tutto quello che le Scritture prescrivono non deve affatto cadere, ma trova in Lui, nella sua vita una realizzazione superiore.
Quello che i profeti “intravvedono” nel chiaroscuro della loro visione profetica, che loro stessi non hanno compreso fino in fondo, trova ora in Lui, nella sua persona e nella sua vita, soprattutto nel mistero della sua Pasqua, cioè del suo “passaggio” « da questo mondo al Padre » (Gv 13,1), la sua realizzazione. Il compimento è – insieme – un superamento, perché la realtà va oltre le attese e le previsioni.
L’Antico Testamento, le sue prefigurazioni e le sue profezie non sono una fotografia o una anteprima del Nuovo. Gesù non viene solo a mettere in pratica quello che vi è descritto, ma a “compierlo”, cioè a continuare e a perfezionare il loro intrinseco dinamismo.