« Che cosa vi pare? Se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che si è smarrita? In verità io vi dico: se riesce a trovarla, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si perda » (Mt 18,12-14).
Dio ama ciascuno di noi. Il suo amore infinito è per tutti, nessuno – assolutamente nessuno – escluso. Chi sono “i piccoli” di cui parla la parabola? I bambini e tutti coloro che sono fragili come bambini. Chi riconosce la propria fragilità e si affida a lui, sarà da lui cercato, ritrovato, sollevato e ricondotto. Questa è la gioia del perdono che sperimentano tutti coloro che – in qualsiasi situazione – lo invocano.
Io non l’ho ancora provata? Allora mi conviene far subito una cosa decisiva: inginocchiarmi davanti al Signore Gesù e chiedergli umilmente perdono. Cercare un confessionale e sottopormi con fiducia al tribunale di quella misericordia che è costata il sangue di Gesù. Una gioia incredibile non tarderà ad investirmi. Non è un mio pensierino personale, è detto in un passaggio un po’ dimenticato nei documenti (pastorali…) del Concilio ecumenico di Trento: il sacramento della penitenza ci dona « la pace e la serenità della coscienza insieme ad una vivissima consolazione dello spirito » (DS 1674).
Il perdono è qualcosa di personale. Riguarda me, con la mia vita e la mia storia. Non si lascia ridurre a statistica… non sono “uno dei tanti”. Il perdono lo devo cercare con il cuore ed accogliere nel cuore, perché mi è offerto da un Cuore. Un Cuore che parla ad un cuore… non ad un numero. E quelli che si credono forti? Che si sentono a posto? Dio ama anche loro e cerca anche loro.
Se siamo apostoli facciamo in modo che Gesù li possa incontrare. Aiutiamoli ad abbattere quel muro fatto di orgoglio e supponenza che impedisce al pastore di abbracciarli, raccoglierli, sollevarli, trasportarli…