Di Matteo Fraschini Koffi Dakar da Avvenire del 17/03/2021
«Questa violenza deve finire ora». Chance Briggs, direttore dell’organizzazione umanitaria, Save the children, è scioccato da quello che sta succedendo nel nord del Mozambico, da anni alla mercé di un’offensiva jihadista difficile da arrestare. Sono migliaia i morti e centinaia di migliaia i profughi. Gran parte dei quali bambini. «Queste storie hanno sconvolto me e i nostri operatori – ha commentato Briggs alla stampa, in seguito a un rapporto pubblicato ieri dall’organizzazione –. Bambini e ragazzini sono stati addirittura decapitati dai militanti islamisti nella provincia di Cabo Delgado». Sono gravissime le testimonianze raccolte dalle agenzie umanitarie e dai pochi giornalisti che hanno avuto accesso alla regione. «Uno dei miei quattro figli è stato decapitato dai terroristi, aveva solo 11 anni – ha raccontato una vittima del conflitto scappata qualche settimana prima da Cabo Delgado –. Hanno bruciato il mio villaggio e quello di mio padre».
Altri sopravvissuti hanno rivelato che molti dei loro familiari, di cui non hanno più notizie, sono stati catturati dai jihadisti. «Non so cosa sia accaduto a mia nipote – ha detto un profugo alla stampa –. I terroristi potrebbero averla uccisa oppure hanno deciso di darla in sposa a qualcuno dei loro militanti». Gli sfollati sono stati costretti a scappare attraverso la foresta o lungo i fiumi, spesso mangiando solo foglie di banane per giorni. I responsabili di tali violenze sono i cosiddetti shabaab (giovani, in arabo). Sebbene non abbiano alcun legame certo con il gruppo jihadista presente in Somalia, i metodi sono simili. Alcuni esperti credono che siano persino peggiori. Uno dei gruppi jihadisti si chiama Ansar al-Sunna, riconosciuto dal dipartimento di Stato degli Stati Uniti come «organizzazione terroristica straniera ». I suoi militanti hanno lanciato «decine di attacchi che hanno causato la morte di centinaia di civili». In seguito ai combattimenti, Amnesty international ha accusato di crimini di guerra l’esercito del Mozambico, le compagnie militari private, e gli islamisti che operano nella provincia di Cabo Delgado. «Molti jihadisti nel nord del Mozambico hanno prestato giuramento al Daesh – spiegano gli analisti –. Dal 2017 stanno seminando terrore in una zona remota del Paese dove numerose industrie energetiche hanno scoperto grandi giacimenti di gas». «C’è stata un’escalation negli ultimi anni», racconta don Angelo Romano, della Comunità di Sant’Egidio, organizzazione che ha condotto i negoziati alla fine della guerra civile nel 1992.
E sottolinea: «Da parecchi mesi, i jihadisti controllano la città di Mocimboa da Praia e non vi sono notizie su quanto accade all’interno». Il conflitto è ormai sfuggito di mano alle autorità locali. Dall’inizio delle violenze, oltre 2.500 persone sono rimaste uccise e 700mila hanno abbandonato le proprie abitazioni. Mentre la comunità internazionale era concentrata sulla pandemia, una parte del Paese implodeva mese dopo mese. Cabo Delgado, inoltre, sta ancora cercando di gestire le terribili conseguenze provocate dal cambiamento climatico. Il ciclone Kenneth nel 2019 e le inondazioni dell’anno scorso hanno stravolto gran parte del territorio, sia lungo la costa che nell’interno. Papa Francesco ha rivolto numerosi appelli per la riconciliazione in Mozambico durante il suo viaggio apostolico. E ha espresso solidarietà anche in alcune telefonate e incontri con il vescovo di Pemba, Luiz Fernando Lisboa.
Le Nazioni Unite stanno cercando di portare aiuti da mesi, ma i fondi tardano ad arrivare. A causa dei continui fallimenti da parte delle forze di sicurezza locali, il presidente mozambicano, Filipe Nyusi, ha invece licenziato funzionari della leadership politica militare. Era successo anche in passato. Gli Stati Uniti hanno confermato che le loro forze speciali addestreranno i soldati mozambicani per tre mesi. Nel nord sono comunque già operativi da almeno un anno mercenari provenienti da alcuni Paesi stranieri tra cui Russia e Sudafrica. Le aziende petrolifere e le agenzie umanitarie avevano già evacuato gran parte del personale per questioni di sicurezza.
Foto da Ansa