V domenica di Quaresima
(Ger 31,31 – 34; Sal 50; Eb 5,7 – 9; Gv 12,20 – 33)
L’insegnamento principale della pagina di Vangelo di questa domenica è tratto dalla vita dei campi, in sintonia con la stagione che viviamo. Il grano comincia, infatti, a spuntare e forma distese verdi mosse dal vento. Dice Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni: «Se il chicco di grano non cade in terra e non muore, rimane solo; se invece muore, porta molto frutto». Il Vangelo è colmo di parabole e immagini prese dall’agricoltura, che per tanti popoli è la prima occupazione lavorativa. Gesù non si ferma, però, su questo piano: l’immagine del chicco di grano serve per trasmettere un grande insegnamento, che illumina la sua vicenda personale e, poi, quella dei suoi discepoli.
Il buon seme gettato è Lui stesso, Gesù. Come il chicco di grano, Egli è seminato nella Passione e morte sul Calvario, ma è rispuntato e ha portato frutto con la Sua risurrezione. Il grande frutto che Egli ci ha portato è la Chiesa stessa. In potenza tutta l’umanità è risorta dalla morte assieme a Cristo, non solamente i battezzati, perché Egli è morto per tutti: tutti sono stati redenti, anche chi ancora non conosce esplicitamente l’annuncio di Salvezza. Il brano evangelico si conclude con parole che non passeranno mai: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me».
Ogni vero uomo di cultura, che sia onesto intellettualmente e sappia riflettere, può concludere con Platone: «meglio sarebbe per noi una zattera più robusta, un Dio che si mostrasse e spiegasse tutti i misteri della vita, soprattutto perché sappiamo di essere immortali». Allora è importante sapere che Dio è corrispondenza piena alla mia ricerca umana e ama anche la tua corporeità, fino ad attirarla dove Lui è ora.
Dopo aver detto quanto riportato sopra sul chicco di grano, Gesù aggiunge: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Mt 16,25). Cadere in terra e morire, non è dunque solo la via per portare frutto, ma anche per salvare la propria vita, quindi continuare a vivere! Se il chicco rifiuta la terra, viene mangiato da qualche uccello, o inaridisce e ammuffisce in un angolo umido. Può essere anche ridotto in farina e mangiato, e finisce lì. Venendo seminato nella terra, invece, rispunterà, conoscerà il tepore della primavera e il sole dell’estate, vivrà una nuova vita.
Intuibile il senso spirituale della parabola. Se non passiamo attraverso la trasformazione della fede e del battesimo, se non accettiamo la croce, ma restiamo attaccati al nostro modo naturale di essere, sempre viziato di egoismo, la vita procede verso il suo esaurimento. Se accetti di trafficare tutti i tuoi talenti e accogli, con essi, la croce di Cristo, allora si aprono davanti a te orizzonti eterni. La salvezza della vita è il più fondamentale istinto di ogni vivente. E come si cerca di salvare la vita? Sembra che vi sia un’unica risposta: fuggendo la morte e tutto ciò che vi conduce. Ci chiediamo allora: può il Vangelo contraddire questa comune esperienza? Sembrerebbe un principio contrario alla missione di Gesù, che è venuto a portare la vita. Ma se deve portarla in modo definitivo, allora deve vincere il fondamentale nemico della vita, cioè la morte. I Padri della Chiesa paragonano Cristo ad un medico che è riuscito a curare l’ultima, inguaribile malattia.
Tutti amiamo la vita. In un certo senso, lo conferma anche il suicidio. Chi si uccide, si priva della vita perché la sua esistenza concreta non corrisponde alla vita che ama. Vivere significa avere molte esperienze. Alcuni esagerano: viaggiano continuamente, fanno escursioni, leggono sempre nuovi libri, organizzano incontri. Le tante esperienze aumentano, ma alla fine perdono vivacità, non entusiasmano più, a poco a poco le dimentichiamo e, alla fine, non le cerchiamo più. Succede una cosa strana: in questi casi amare la vita significa che ciò che avrebbe dovuto riempirla perde lentamente di significato. Uomini che hanno vissuto cercando di sfruttare appieno la vita, alla fine dichiarano: «mi sento svuotato». Altri cercano la sapienza e hanno imparato molte cose, ma si pone rapidamente d’innanzi il problema della memoria, che a poco a poco tutti perdiamo.
Ma c’è un altro modo di riempire la propria vita, ed è il modo migliore: riempire la propria vita con la carità, amando il prossimo. Ma cosa significa amare? Vivere per un altro, pensare a chi è vicino, dimenticare se stessi. Dimenticare se stessi è come perdere la propria vita. Chi ha dedicato tanto tempo ai figli non ha potuto fare altre esperienze, è morto a sé stesso. E’ qualcosa di tragico? Per rispondere a questa domanda c’era bisogno di un intervento superiore. Anche Cristo ha riempito la Sua vita terrena con l’amore ed è morto come tutti gli altri mortali, ma il Suo amore era divino, perciò si è mostrato più forte della morte. Questo va compreso a fondo: Cristo non ci ha redenti per il solo fatto di essere morto, ma perché la Sua morte è stata mossa da un amore divino immortale. In unione col Suo amore, anche l’amore umano acquista un valore immortale.
Per entrare nella vita eterna non è sufficiente morire, bisogna morire con Cristo. Chi ama in modo cristiano, muore in questo modo quotidianamente. Ogni giorno perde la vita e ogni giorno la salva per sé e per gli altri, risuscitando dai morti assieme al Risorto. La morte cristiana si paragona al seme seminato nella terra in autunno, che conserva la sua forza vitale e neanche l’inverno può distruggerlo. Gesù ha accettato di essere Figlio, per cui, al mattino, ascoltava il Padre, salvava la propria vita e chiunque lo incontrava respirava aria d’immortalità.
La vita eterna è tutt’altro che un accadimento futuro. Tutte le mattine chiedo che siano salvi la mia fede, le mie scelte di fondo, la mia relazione col prossimo, la mia famiglia, la mia preghiera. Tutto sia protetto da mille suggestioni, i “castelli in aria” che la nostra psicologia indebolita edifica instancabilmente, auto-giustificazioni e compromessi col peccato, desideri di novità, puro entusiasmo effimero e senza radici. Bisogna combattere questa tentazione senza lasciare alcun spazio di falsa autosufficienza. Tutto deve essere salvato nella nostra vita. Un anziano medico, con tanti pazienti, mi raccontava che spesso costoro espongono rapidamente i loro mali per ricevere altrettanto velocemente i medicamenti che calmino il dolore, ma lui, però, come se non li ascoltasse, continua a chiedere loro quando vanno a dormire, quando si alzano, che vita conducono ecc. Fa così comprendere che non vuole curare una malattia particolare, ma la persona intera, e per curarla bisogna osservare l’intera vita, altrimenti un farmaco è solo una droga con un effetto passeggero. Per salvare l’uomo bisogna suscitare la sua vera forza vitale, che poi da sola curerà la malattia.
Nella vita spirituale una tale forza vitale è l’amore per Cristo. Esso supera tutte le malattie spirituali e, alla fine, persino la morte, anche se apparentemente l’amore che si sacrifica conduce proprio lì. Oggi vediamo tanti single incapaci di una vera relazione d’amore. Si presentano innanzi al prossimo carichi di dubbi, paure, incertezze e contraddizioni non risolte. Presentarsi al prossimo con questa incertezza è come una dichiarazione di immaturità. Dimenticano, molti single, che il primo sposo dell’anima è Dio stesso, che risolve il solo vero problema: l’eternità, di fronte alla quale non c’è autosufficienza alcuna. Il primo problema da fissare, come un picchetto nella roccia, è la vita eterna, in bella presenza davanti al tribunale di Dio. Tutto il resto viene in sovrappiù, senza ricerche affannose di contatti affettivi falsi: coloro che pensano alla vita eterna attendendo che Dio accompagni Eva al suo Adamo. Il matrimonio è anzi tutto una compagnia robusta con Gesù Cristo, accolto come Salvatore: allora il buon seme cade su un terreno fertile, e la tua vita è un canto libero e veramente nuziale.
L’altra situazione che collego a questa parabola riguarda coppie felicemente sposate ma sterili, ossessionate dalla ricerca di un figlio a tutti i costi, risvolto di un’altra ossessione, quella di voler decidere noi stessi della nostra vita, senza accettare quei talenti che Dio ti ha dato e che le creature non possono scegliere.
Il Vangelo non è lontano, ma assai vicino a noi. Anche quando parla di chicchi di grano che cadono in terra e muoiono: saremmo noi stessi, i nostri corpi affidati alla terra, ma la parola di Gesù ci ha assicurato oggi che anche per noi ci sarà una nuova primavera. Risorgeremo da morte, come il meraviglioso grano in erba sulle nostre colline, e questa volta per non morire mai più.
Domenica, 21 marzo 2021