Domenica delle Palme
(Isaia 50, 4 – 7; Salmo 21; Filippesi 2, 6 -11; Marco 14, 1 – 15, 47)
Ascoltiamo quest’oggi, nella Santa Messa, il racconto della Passione del Signore secondo Marco: essa ci conduce al cuore dell’insegnamento cristiano. La croce è uno dei supplizi più atroci che l’uomo abbia mai inventato per i suoi simili: la tortura, l’infamia e la morte si danno convegno per distruggere ogni traccia di umanità e dignità. Ma da quando Cristo l’ha portata sulle spalle e vi ha disteso sopra il Suo corpo, la croce si è rivestita di luce e di bellezza: il patibolo dell’ignominia è divenuto la fonte della Salvezza. In nessun altro momento Gesù è così Dio, è così Salvatore, come quando è appeso alla croce (Livio Fanzaga, Cristianesimo Controcorrente, cap. 14, n° 316).
La Passione di cristo ha pienamente senso anche per ognuno di noi, che non ci troviamo in condizioni drammatiche: infatti essa non è ancora conclusa, investe il presente, coinvolge ciascuno di noi. Quando Gesù iniziò il Suo ultimo viaggio verso Gerusalemme, che si sarebbe concluso con la Sua morte, uno degli apostoli disse agli altri che erano titubanti: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11, 16). E’ questo il sentimento che deve primeggiare nel cuore di ogni vero credente, per dare inizio alla Settimana Santa (cfr Raniero Cantalamessa, Gettate le reti, p. 104).
La Passione di Cristo si prolunga nella passione dell’uomo di oggi, di milioni di creature. Anche oggi Cristo continua ad essere in agonia (e lo rimarrà sino alla fine dei secoli, secondo l’espressione di Pascal), tradito, venduto, condannato, abbandonato dagli amici, deriso, torturato, buttato fuori dalla città. Cristo continua ad apparire schiacciato sotto il peso della croce, e passa lungo le nostre strade, insanguina i nostri marciapiedi. La sua interminabile Via Crucis ha stazioni obbligate negli ospedali e in un’infinità di luoghi segreti. Il suo grido continua a lacerare l’aria, frantumandosi e amplificandosi in una litania agghiacciante di grida disperate. I nostri occhi dovranno aprirsi sulla realtà bruciante della Passione che assume un’ampiezza spropositata.
Non è possibile comprendere ciò che accade esternamente, senza comprendere la “fase segreta” della Passione, che si svolse nel momento iniziale, nell’orto degli Ulivi. L’Agonia del Signore diviene così una specie di “Epifania nascosta”, contemplata solo da soli tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni, presenti anche nell’episodio della Trasfigurazione. Nel Getsemani è contenuto tutto quanto avverrà poi: «cominciò a sentire paura e angoscia» (Mt 26,37). Gesù è letteralmente atterrito, invaso dall’orrore; è un inizio inaspettato, sconvolgente. Il Getsemani, infatti, ci presenta un Maestro in preda all’indecisione, all’angoscia di fronte alla prospettiva della Passione imminente, che inizia con la paura. Questa la novità grande annunciata dai Vangeli: Dio si è fatto uguale a noi anche nella paura.
La Passione è un cammino progressivo nella solitudine più innaturale per la vita della persona umana, immagine e somiglianza di Dio, chiamata alla salvezza mediante relazioni d’amore. Toccherà l’abisso più profondo sulla croce, allorché il Figlio si sentirà abbandonato anche dal Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato». La solitudine è la componente principale della Passione: gli Apostoli avevano giurato che non l’avrebbero mai abbandonato, per nessun motivo, ma al momento dell’arresto si sono dati tutti alla fuga. Nessuno gli risponde. Non il Padre, non Pietro. L’unica parola che ascolta è quella di Giuda, da cui riceve anche un bacio, ma è quello del tradimento. Gesù è “lasciato” solo. In fondo, anche gli Apostoli sono dei traditori, nel senso che “consegnano” (tradire = consegnare) Gesù alla solitudine prima ancora che ai nemici. Nel giardino si intrecciano due solitudini: una se l’è imposta Gesù stesso, staccandosi dal gruppo e trattenendo solo tre dei suoi discepoli; l’altra, vile e meschina, la provocano quei medesimi. I tre apostoli devono stare ad una certa distanza, quasi a dire che innanzi alla sofferenza dell’uomo esiste una soglia invalicabile anche per l’amico più intimo.
A una certa profondità di tristezza, si rimane necessariamente soli: occorre mantenere una certa distanza per non invadere uno spazio sacro. Si può, si è obbligati a partecipare, senza tuttavia pretendere di intromettersi e profanare lo spazio dell’altro. Nessuno riesce a capire totalmente il dolore di una persona, ma esiste anche una distanza colpevole, che è quella dell’indifferenza, dell’incapacità a compromettersi, dell’assenza, quando «viene l’ora». Tra invadenza e assenza, tra indiscrezione e indifferenza si apre uno spazio che viene riempito dalla comunione nei confronti del fratello sofferente.
Nel Getsemani anche i tre apostoli più vicini al Signore non vegliano neppure un’ora. Sebbene avvertiti dallo stesso Cristo, si fanno cogliere dal sonno e vengono rimproverati. Gesù va così incontro alla morte con una sensazione di fallimento. «Simone, dormi?…». Nessuna risposta da parte dell’apostolo. Forse Gesù avrebbe gradito anche solo un’ammissione di debolezza, purché sincera. Invece, nulla: silenzio e sonno esprimono insieme l’estraneità più agghiacciante. In fondo il rinnegamento inizia nel Getsemani: Pietro dimostra di non conoscere quell’Uomo già nell’Orto degli Ulivi, da quel momento in poi perde di vista il Maestro. Durante il processo il misconoscimento avverrà dinanzi ad estranei, ma nel Getsemani è di fronte all’interessato. Un pisolino e Gesù è già divenuto un estraneo. Gesù, quando lo scorge durante il processo, lo chiama Simone: era il vecchio nome dell’apostolo, perché in quel momento non è più Pietro, cioè “roccia”. Il discepolo Simone è già lontano, è già scomparso. Si intuisce che questo episodio della Passione, raccontato nei particolari, è un ricordo personale di Pietro, rimasto dolorosamente nel cuore del futuro Pontefice. Si sentì interpellare col nome “sbagliato”, ma in quel momento era l’unico appellativo che gli era rimasto.
Nel Venerdì Santo adoriamo, allora, la croce del Signore con la più autentica delle veglie di riparazione, nel dialogo cuore a cuore col nostro Salvatore. Perseveri tutto il Sabato Santo questo clima di preghiera: sia davvero fedele, cioè adorante. Bello essere fedeli nel momento della croce, bello affermare con convinzione, assieme al centurione romano, «veramente quest’uomo era il Figlio di Dio». Gesù non mancherà di premiare coloro che hanno perseverato con Lui nell’ora della prova premiandoli con la Sua dolcissima visita, come fu per Maria, che non si recò al sepolcro ad accudire Colui che era risorto perché lei, che serbava ogni cosa meditandola nel suo cuore, aveva già ricevuto per prima l’annuncio pasquale del Figlio.
Domenica, 27 marzo 2021