Le preghiere rinascono sempre grazie alla comunione dei santi, che sono anche l’aggancio più solido alle nostre stesse radici culturali
di Michele Brambilla
Come dice Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale di mercoledì 7 aprile, «oggi vorrei soffermarmi sul legame tra la preghiera e la comunione dei santi. In effetti, quando preghiamo, non lo facciamo mai da soli: anche se non ci pensiamo, siamo immersi in un fiume maestoso di invocazioni che ci precede e che prosegue dopo di noi».
Siamo immersi in un continuum che comprende sia la dimensione spaziale che quella temporale: «nelle preghiere che troviamo nella Bibbia, e che spesso risuonano nella liturgia, c’è la traccia di antiche storie, di prodigiose liberazioni, di deportazioni e tristi esili, di commossi ritorni, di lodi sgorgate davanti alle meraviglie del creato… E così queste voci si tramandano di generazione in generazione, in un continuo intreccio tra l’esperienza personale e quella del popolo e dell’umanità a cui apparteniamo». Molto importante il fattore dell’appartenenza: «nessuno può staccarsi dalla propria storia, dalla storia del proprio popolo, sempre nelle abitudini portiamo questa eredità e anche nella preghiera». Si ripresenta, così, il tema fondamentale delle radici culturali.
In un certo senso, «le preghiere – quelle buone – sono “diffusive”, si propagano in continuazione, con o senza messaggi sui “social”: dalle corsie di ospedale, dai momenti di ritrovo festoso come da quelli in cui si soffre in silenzio… Il dolore di ciascuno è il dolore di tutti, e la felicità di qualcuno si travasa nell’animo di altri». Come afferma un antico proverbio latino, bonum diffusivum sui: il bene si diffonde da sé, nel senso che è auto-evidente.
Ritornando sul valore della storia, il Papa ricorda: «il dolore e la felicità, fanno parte dell’unica storia: sono storie che si fanno storia nella propria vita. Si rivive la storia con le proprie parole, ma l’esperienza è la stessa». I santi hanno vissuto spesso le nostre stesse difficoltà (Francesco non dimentica che il primo ad entrare in Paradiso è stato il “buon ladrone”), ma si sono affidati a Dio, davanti al quale, ora, intercedono per noi. Per questo «le preghiere rinascono sempre: ogni volta che congiungiamo le mani e apriamo il cuore a Dio, ci ritroviamo in una compagnia di santi anonimi e di santi riconosciuti che con noi pregano, e che per noi intercedono, come fratelli e sorelle maggiori transitati per la nostra stessa avventura umana. Nella Chiesa non c’è un lutto che resti solitario, non c’è lacrima che sia versata nell’oblio, perché tutto respira e partecipa di una grazia comune. Non è un caso che nelle antiche chiese le sepolture fossero proprio nel giardino intorno all’edificio sacro, come a dire che ad ogni Eucaristia partecipa in qualche modo la schiera di chi ci ha preceduto».
Come è noto, l’editto napoleonico di Saint-Cloud (1806) ha allontanato i cimiteri dalle chiese parrocchiali, e questo ha inciso sulla percezione del sacro nelle nostre società occidentali, ma «i santi sono ancora qui, non lontani da noi; e le loro raffigurazioni nelle chiese evocano quella “nube di testimoni” che sempre ci circonda (cfr Eb 12,1)» e che bisogna interpellare specialmente nei momenti più difficili: «il primo modo per affrontare un tempo di angustia è quello di chiedere ai fratelli, ai santi soprattutto, che preghino per noi. Il nome che ci è stato dato nel Battesimo non è un’etichetta o una decorazione! È di solito il nome della Vergine, di un Santo o di una Santa, i quali non aspettano altro che di “darci una mano” nella vita, di darci una mano per ottenere da Dio le grazie di cui abbiamo più bisogno».
I santi rimandano sempre a Gesù Cristo: «sono testimoni che non adoriamo – beninteso, non adoriamo questi santi –, ma che veneriamo e che in mille modi diversi ci rimandano a Gesù Cristo, unico Signore e Mediatore tra Dio e l’uomo. Un Santo che non ti rimanda a Gesù Cristo non è un santo, neppure cristiano. Il Santo ti fa ricordare Gesù Cristo perché ha percorso il cammino della vita come cristiano. I Santi ci ricordano che anche nella nostra vita, pur debole e segnata dal peccato, può sbocciare la santità» grazie alla misericordia divina, di cui, ricorda il Pontefice rivolgendosi ai pellegrini polacchi, è imminente la festa (II domenica di Pasqua).
Venerdì, 9 aprile 2021