II domenica di Pasqua o della Divina misericordia
(At 4, 32 – 35; 1 Gv 5, 1 – 6; Gv 20, 19 – 31)
La prima apparizione di Cristo risorto agli Apostoli è quella che viene raccontata nella pagina odierna, ed è l’episodio del famoso ingresso del Signore nel cenacolo, a porte chiuse. Tommaso, che non era presente alla prima apparizione, ma è sempre stato contrassegnato dal desiderio di approfondire la ragionevolezza della Fede, stenta a credere ai racconti degli apostoli, probabilmente perché troppo aderenti ad una resurrezione non solo dell’anima, ma anche del corpo. Questa, infatti, è la grande novità, legata unicamente al Nostro Salvatore. Dell’immortalità dell’anima, per altro molto intuibile, ne hanno fatto menzione tante culture, ma che “nulla di noi andrà perduto” lo afferma solo la corporeità di Gesù risorto, che entra nel cenacolo dominando anche la materia. Il Suo corpo risorto è tangibile, come il nostro attuale, ma nella pienezza salvifica manifesta attributi angelici, come era la corporeità dei nostri progenitori prima del peccato originale. Questo miracolo, che diversi santi vissero nella loro corporeità post peccatum, non può essere dovuto che all’onnipotenza di Dio.
Che un corpo possa penetrare un altro corpo, non può avvenire solo grazie alla “sottigliezza” che contrassegnava il corpo dei progenitori prima del peccato originale. Nell’agiografia, un miracolo molto simile a quello del cenacolo è attribuito a san Raimondo da Penafort, giurista domenicano (1175 – 1275), che entrò a porte chiuse dentro una stanza dove si stava svolgendo un capitolo generale dei domenicani, durante il quale lui stesso avrebbe risolto un problema gravoso con un suo dotto intervento.
San Tommaso, con il suo famoso contatto con le piaghe del Signore, scioglie ogni dubbio, e per primo esprime certezza nella divinità del Signore. Dopo aver posto il dito nel fianco squarciato di Gesù dirà: «mio Signore e mio Dio». Si tratta della la prima affermazione della divinità di Cristo da parte degli Apostoli. Breve, sintetica, e non ammette alcun dubbio, come accade nella certezza della fede. Il buon verbo proferito da Tommaso fu raccolto, non a caso, da colui che sarà il primo dottore della Chiesa, cioè l’apostolo san Giovanni, che lo metterà all’inizio del brano più lirico della Bibbia, il Prologo del suo Vangelo: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1,1).
Dopo quest’ultimo atto di fondazione della Fede cristiana, Tommaso partirà per la sua vita apostolica, nessuno lo vedrà più. Giungerà fino in India, terra che tutt’oggi esprime un cristianesimo eroico nella testimonianza, come si è manifestato nell’opera di santa Teresa di Calcutta. Dovremmo tutti ringraziare Tommaso perché, dopo di lui, l’annuncio del Vangelo è corredato da una santa constatazione, anch’essa perfettamente razionale.
Cosa ci fa un’anima in Paradiso senza il corpo? Ben sappiamo che tutto quanto viviamo nel cuore deve potersi esprimere in parole, sguardi, gestualità, azioni. Certo non è semplice, innanzi ad un residuo di polvere, parlare di resurrezione della carne. Era indispensabile la tomba vuota di Cristo e l’apostolo Tommaso per fondare quanto professiamo nel Credo («carnis resurrectionem» nel Simbolo degli Apostoli), che diverrà l’atto, con il quale Dio suggellerà l’ultimo giorno della vita del cosmo, quando il Signore Gesù ritornerà ad aprire le nostre tombe per ridare corpo sangue e nervi a quella polvere, trasformando il mondo in cieli e terra nuova.
Questa pagina di Giovanni è caratterizzata dal saluto di pace, «pace a voi», ripetuto tre volte, a cui corrisponde la gioia degli Apostoli. Gesù stesso è pace: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,6); «Io sono risurrezione» (Gv 11,25). Pace e resurrezione vanno indossati come l’abito dell’anima, da cui quello splendore personale grazie al quale i pittori hanno sempre dipinto i santi con un cerchio di luce sul capo. Il fatto della pace è inequivocabile, soprattutto sul volto di ogni credente, che professi la divinità di Cristo: «Voglia il cielo che con la faccia illuminata da una coscienza pura, contempli la gloria del Signore come uno specchio, e proceda di gloria in gloria, in Cristo Gesù, Signore nostro. A lui onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen»(dalle Catechesi di Gerusalemme).
La bellezza dell’anima, si riverbera sul mistero del volto umano (novecento fasci muscolari che, certo, non governiamo direttamente): «E’ la cosa più bella che l’uomo possa fare per essere utile al prossimo» (Sofocle) presentarsi con un volto trasfigurato dalla dolcissima presenza dello Spirito del Signore Gesù, «questa bellezza basta da sola a persuadere gli uomini, senza bisogno di oratori» (William Shakespeare). Certo, Tommaso fu privo di qualunque rispetto umano, come certi compagni di classe che non temono di passare per ingenui chiedono spiegazioni, togliendo un peso a tutta la scolaresca. Adesso che tutto è constatato, Gesù può venire di nuovo «a porte chiuse», cioè non da fuori ma dall’interno, nella parola e nell’Eucarestia. Passando per la Chiesa cattolica, con la sua Parola e i suoi Sacramenti, siamo proclamati beati assieme a tutti coloro che, pur non avendo visto, hanno creduto. «Origene spiega il perché: La Scrittura contiene la parola di Dio, e la stessa parola ha creato anche la nostra anima e parla nella nostra coscienza. Quando leggiamo i testi del libro sacro, percepiamo la loro affinità con la nostra anima. Le parole della Scrittura per il cuore sono come un balsamo che mitiga il dolore e dà la giusta direzione ai pensieri. Succede anche l’opposto, cioè quello che hanno sperimentato i discepoli sulla via di Emmaus. La propria esperienza di vita, gioiosa o tragica, quando si proietta nella Bibbia, dà una comprensione più profonda del testo. L’anima e la Scrittura, in armonia, ci insegnano a conoscere la verità» (T.Spidlik – Il Vangelo di ogni giorno, vol II, p. 111).
Due grandi virtù si incrociano all’interno delle letture bibliche di questa domenica pasquale: sono l’amore e la fede, «le due stelle del firmamento cristiano, stelle del mattino e della sera, dell’inizio e della fine e di sempre nel buio della vita» (Paul Claudel). La seconda lettura le unisce mirabilmente in un nodo che non deve essere mai sciolto o spezzato: «Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato».
La prima lettura è tutto amore efficacie ed operativo, infatti dei primi cristiani si diceva che
«avevano un cuor solo ed un’anima sola», nella condivisione dei beni. D’altra parte è più facile essere caritatevoli che giusti, «è molto più bello dare che ricevere» (At 20,35). Concludo considerando che queste apparizioni avvengono sempre il primo giorno della settimana, cioè in domenica, giorno della resurrezione, anche della carne, per cui rallegratevi nel Signore: «Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete… Andate, mangiate carni prelibate e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno preparato. Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza» (Ne 8,9 e sgg).
Che la gioia del Signore sia davvero la vostra forza! Nella vostra famiglia, nel luogo del vostro lavoro, negli incontri occasionali, nelle amicizie, nelle frequentazioni, non nascondiamo la nostra fede, né ostentiamola, ma emergano sempre la gioia, la luce e la bellezza che sempre salveranno il mondo.
Domenica, 11 aprile 2021