« Allora gli dissero: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo “. Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! » (Gv 6,30-35).
L’espressione “pane della vita” è solo una metafora per indicare la fede in Gesù: attraverso di essa siamo nutriti.
La fede non è solo un fatto intellettuale, ma è una questione di vita. C’è però anche un’altra interpretazione: Gesù intende qualcosa di estremamente realistico, dicendo che lui è pane. Questa interpretazione è orientata all’Eucaristia. Quale è l’interpretazione giusta?
Sono vere entrambe e corrispondono a due sezioni di questo discorso. Il pane mangiato come metafora della fede corrisponde alla prima sezione (6,35-47); che qui l’identificazione di Gesù con il pane sia intesa in senso metaforico non fa problema per gli ascoltatori, per i quali il solo problema è la sua pretesa di venire dal cielo. Ma nella seconda sezione (6,48-58) le cose si fanno ben più problematiche e il problema diventa come sia possibile “mangiare la carne” di Gesù (6,52).
Qui al segno come prefigurazione subentra il segno come realtà: il sacramento. Qui abbiamo lo scandalo e l’allontanamento di una parte dei discepoli. L’Eucaristia rimane un paradosso e uno scandalo che mette in crisi e alla prova la vera fede.
Non per nulla nella liturgia è chiamato semplicemente, ma radicalmente, il “mistero della fede”.