Mauro Ronco, Cristianità n. 405 (2020)
Relazione predisposta, e parzialmente letta, per la Scuola Estiva San Colombano, organizzata da Alleanza Cattolica a Triuggio (MB) dal 31 luglio al 2 agosto 2020.
1. Una breve autobiografia
Nei primi anni 1960 frequentavo a Torino il Liceo Classico Massimo D’Azeglio, che rappresentava l’espressione culturale del laicismo intransigente. Non sono riuscito a comprendere bene per quale ragione i miei genitori, cattolici praticanti, avessero scelto per la mia formazione quell’istituto. Non che tutti gli insegnanti fossero di formazione laicista; anzi, alcuni erano autenticamente cattolici. Era però l’ambiente culturale cittadino che dava il tono. E questo tono era somministrato dall’essere stato il D’Azeglio il luogo di incubazione del liberalismo di sinistra, l’«azionismo», che era divenuto nel secondo dopoguerra — tramite i letterati e le case editrici, soprattutto l’Einaudi — la cattedra che dettava legge nella letteratura, nella teoria politica e nella filosofia del diritto in Italia.
Ricordo fra tutti il nome di Norberto Bobbio (1909-2004) che era, già in quegli anni, il «padre nobile» di questo ambiente. I giovani appartenenti alle più importanti famiglie dell’élite culturale e industriale torinese avevano frequentato e frequentavano questo istituto, contribuendo anch’essi a dare un’impronta radicale alla vita studentesca. L’ambiente, che io percepivo come sottilmente ostile all’amore per l’ordine — amore che io avevo imparato dai miei genitori fin da piccolo — fortificò la mia avversione in pari misura al liberalismo e al comunismo. Mi trovai quasi sempre in assoluta minoranza nei dibattiti studenteschi — assai accesi e colti, per vero, rispetto a oggi — che si svolgevano nelle pause degli orari scolastici. Eravamo negli anni fra il 1962 e il 1964. L’entusiasmo per la ricostruzione successiva alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) si stava spegnendo. Torino era attraversata dallo scontro sociale fra la borghesia capitalistica — guidata dall’onnipotenza del gruppo Fiat — e la classe operaia, la cui rappresentanza era monopolizzata dal potente Partito Comunista Italiano. L’insegnamento a scuola era caratterizzato da un forte autoritarismo e da un sottile classismo: per alcuni insegnanti era un titolo di merito aver bocciato a fine anno, nelle IV e V ginnasio e nel primo anno di liceo, almeno il quaranta per cento degli studenti. E naturalmente a soccombere erano i giovani le cui famiglie erano meno dotate economicamente. Nessuna narrazione sui valori essenziali della vita trapelava dall’insegnamento; i classici erano studiati a fondo, ma i valori spirituali, la fede, la speranza della vita eterna, non facevano capolino nelle dure ore di lezione e di interrogazione.
Io mi trovavo a disagio. Schierato in un’ideale ala destra, impregnato dal desiderio di proclamare i valori dell’aristocrazia guerriera che avevano fatto la civiltà cristiana medioevale, constatavo con ansia che i compagni più preparati e studiosi criticavano, da sinistra, l’autoritarismo e il nozionismo che imperava nella scuola. Essi coglievano con acume le contraddizioni dell’autoritarismo classista per proiettare le critiche contro l’esistente in una prospettiva di lotta contro la tradizione, in specie contro quella italiana, rappresentata da quei ceti — gli agricoltori, la piccola e media borghesia — che si ostinavano a rispettare i princìpi etici fondamentali.
In questo clima culturale, che ritrovai ancora più pesante nella Facoltà di Giurisprudenza che iniziai a frequentare nell’autunno del 1965 — ove dominava ancora incontrastato l’insegnamento del positivista «duro» Hans Kelsen (1881-1973) — mi sentivo preso come in una tenaglia. Avevo ormai letto — su indicazione di Augusto Del Noce (1910-1989), padre del mio compagno in contro-rivoluzione inespressa Fabrizio, che aveva frequentato con me il D’Azeglio — Juan Donoso Cortés (1809-1853) e Joseph de Maistre (1753-1821), il beato Antonio Rosmini (1797-1855) di Per una storia dell’empietà, nonché alcuni libri dei filosofi del tradizionalismo pagano, come Julius Evola (1898-1974), o del tradizionalismo spiritualista, come René Guénon (1886-1951). Di quest’ultimo, soprattutto, mi aveva colpito Il Regno della quantità e i segni dei tempi (1).
Mi sentivo, come ho accennato, in una tenaglia. Mi rendevo conto dell’unità concettuale di liberalismo e comunismo. Nella vita politica ero oppositore strenuo del comunismo; ma non potevo aderire al moderatismo liberale. Avevo forte la certezza che la Chiesa cattolica fosse il baluardo di verità non soltanto sul piano della fede, ma anche sul piano metafisico e dell’ordine civile. Non avevo però alcuna formazione religiosa, né alcuna preparazione metafisica. La mia posizione era appesa a un filo. Gettarmi nelle braccia del neofascismo giovanile era una possibilità, cui però si frapponevano due ostacoli: il primo, la nessuna sintonia con i giovani che ne facevano parte; il secondo, il mio radicale conservatorismo. Rileggendo negli anni seguenti approfonditamente la storia del fascismo ho compreso la ragione per cui non potevo identificarmi in alcun modo in questo movimento: dalle suggestioni di Max Stirner (1806-1856) e di Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) a quelle di Giuseppe Mazzini (1805-1872) e Giuseppe Garibaldi (1807-1882), dall’anarco-sindacalismo al culto della violenza di Georges Sorel (1847-1922); dal futurismo al dannunzianesimo: ebbene non v’era un aspetto di ciò che confluì nel fascismo che non destasse la mia completa ripugnanza.
2. La rivolta del ’68
Nella primavera del 1967 l’Università di Torino fu occupata dai primi contestatori. Il movimento era sapientemente organizzato. Nulla di casuale ne caratterizzava le mosse. Il motto scritto nelle sue insegne era l’antiautoritarismo. Il suo capo nella Facoltà di Giurisprudenza era Luigi Bobbio, figlio di Norberto e a sua volta professore di diritto. Debbo dire che il tema politico era stato ben scelto. Effettivamente i professori stavano ben inquadrati nella categoria letteraria dei «baroni» ex lege tipici della decadenza feudale. Ricordo che i due professori che «facevano la selezione» al primo anno, quello di Diritto privato e quello di Diritto romano, erano quasi bizzarri nel loro autoritarismo. Nel caso in cui si superava il primo ostacolo — cioè se ci si era presentati con il codice aggiornato e non si era cominciata la prima risposta con un «dunque», perché altrimenti si veniva con ignominia immediatamente cacciati —, l’esame continuava con una «domanda-trappola»: durante le sue cento e più lezioni lungo l’anno accademico quel professore faceva qualche decina di esempi strani, certo utili a illustrare alcune situazioni tipiche del diritto civile, ma caratterizzati dai nomi dei protagonisti del rapporto giuridico. Vi era per esempio la zia Carolina, che aveva fatto un testamento senza mettere la data, data che però si ricavava implicitamente dall’atto. La domanda-trappola, perciò, era: «Parliamo di successione ex testamento. Che cosa ha fatto di errato sul piano giuridico la zia Carolina?». Se lo studente non rispondeva, il professore si innervosiva e diceva: «Vedo che lei non ha frequentato il corso. Come crede di poter conoscere il diritto privato?». Passava allora a una seconda domanda-killer e lo studente chiedeva umilmente di potersi ritirare. L’altro professore — di Diritto romano, un poco più sottile, era un importante uomo politico della Democrazia Cristiana — guardava anzitutto il libretto e controllava se vi aveva apposto la firma lunga o la firma corta. Se la firma era lunga eri spacciato. Qual era il criterio della firma? Il seguente: durante l’anno accademico, in maniera assolutamente casuale e senza preavviso, il professore faceva due o tre appelli generali, che duravano circa mezz’ora. Se risultavi assente a uno di questi tre appelli, ti metteva la firma lunga sul libretto. Allora, con la firma lunga, la prima domanda era una domanda-killer, del tipo: «Ci dica i nomi degli estensori che collaborarono con Triboniano (500 circa-542) nella stesura del Digesto». La risposta era alla pagina 400 e passa in una nota. Se superavi la prima domanda e la seconda e arrivavi impaurito alla terza, concludeva rapidamente l’esame gridando con sdegno: «diciotto». Si comprenderà che, con professori di questo tipo, l’accusa di autoritarismo per il modo in cui si svolgevano la didattica e la selezione non era priva di fondamento!
Si finì bene o male l’anno accademico. Nel dicembre del 1967 — dunque alla vigilia del ’68 — l’Università venne occupata nuovamente. Il capo a Giurisprudenza era sempre il figlio del professor Bobbio. Ciò dava grande autorità alla protesta. Il rettore — che era quel professore di Diritto civile di cui ho parlato prima — ebbe la brillante idea di far disoccupare l’Università dalla polizia. Alcune centinaia di studenti si sdraiarono per terra nelle aule e i poveri poliziotti ci misero qualche ora a portare via a braccia senza violenza gli occupanti tra le risate e gli sberleffi degli studenti. Il giorno dopo l’Università fu occupata nuovamente. Con un gruppo di amici entrammo in Università con un tricolore e strappammo la bandiera rossa che avevano issato su un pennone sito nella scalinata che portava al piano nobile. Fummo inseguiti e ci salvammo a stento. Io in particolare debbo ringraziare due giovani grandi e grossi — non so se fossero attivisti del Movimento Sociale Italiano o poliziotti, che mi protessero e ingaggiarono una zuffa furibonda in cui stesero a terra tre o quattro energumeni che si stavano scagliando contro di me. Credo che fossero poliziotti. Non li ho più rivisti fra gli studenti, ma sono ancora oggi loro grato.
L’occupazione durò da novembre fino a maggio. Iniziò il grande indottrinamento degli studenti attraverso le contro-lezioni che si tenevano nelle aule dell’Università occupata. Qui erano affluiti alcuni esponenti della cultura marxista di un certo rilievo: giovani professori di filosofia, nonché sociologi e teorici della politica che scrivevano sulle riviste dell’avanguardia comunista. Il discorso passò dall’autoritarismo alla struttura di classe della società e alla rivoluzione comunista come via di liberazione. Intanto nelle Università occupate avveniva una diversa modalità della rivoluzione: la rivoluzione sessuale per la liberazione dei giovani dall’oppressione della società borghese e dalle regole della tradizione morale e religiosa.
3. Alleanza Cattolica nel Sessantotto
Che cosa c’entra Alleanza Cattolica con tutto questo? C’entra per me moltissimo. L’Università Cattolica di Milano fu occupata dopo l’Università di Torino. Mi sembra ai primi mesi del 1968. Un giorno lessi sul Corriere della Sera una notizia che mi illuminò: una trentina di giovani, che si proclamavano aderenti a un’associazione denominata Alleanza Cattolica, avevano cercato con la forza di entrare nell’Università Cattolica occupata dal Movimento Studentesco di Mario Capanna al grido di «Viva Cristo Re». Come ho detto, la mia mente fu illuminata, il mio cuore acceso di sacro fuoco, la mia sensibilità smossa dal torpore e dall’inerzia in cui rischiavo di precipitare.
Presi contatto con quei giovani e li incontrai a Pavia in un convegno delle forze della resistenza al comunismo che sembrava trionfare nelle Università. Sentii Agostino Sanfratello parlare di una civiltà gerarchica e sacrale che era esistita nel Medioevo e che avremmo dovuto ricostruire.
Andai a Piacenza e conobbi Giovanni Cantoni (1938-2020). Vidi in lui una figura paterna e insieme, per qualche aspetto, profetica. Figura paterna: mio padre ha sempre amato teneramente me, mia sorella e mio fratello; però, essendosi laureato in Medicina nel giugno del 1939, andò all’Accademia Militare Medica di Firenze nell’ottobre e poi fu ufficiale medico in vari fronti di guerra. Si trovava nell’ospedale militare di Napoli nel settembre del 1943 e nell’ottobre si ripresentò alle autorità regie dopo la dissoluzione dell’esercito nelle settimane precedenti. Venne congedato come capitano medico nel giugno del 1946. Si dedicò al lavoro in modo straordinario. Nei venti anni dal 1946 al 1968 ci vedemmo molto raramente. Quando incontrai Cantoni, vidi in lui, nelle lunghe conversazioni dei primi anni, almeno fino al 1973, data di inizio delle pubblicazioni di Cristianità, un’autorità simile a quella paterna, che mi spiegava e illustrava le cose, religiose, metafisiche e politiche, che io sentivo già vere dentro di me, ma che non ero mai riuscito a esplicitare compiutamente. Fui attratto dalla sua calma e dalla sua serietà. Conobbi sua moglie Sabina e fui conquistato dalla purezza del loro rapporto coniugale. In breve: riconobbi in Alleanza Cattolica una sorta di famiglia.
4. Giovanni Cantoni come padre e come profeta
Cantoni mi apparve — ferma restando la distinzione da lui a lungo coltivata e vigorosamente insegnata fra profezia e prognosi — anche profeta. Profeta è colui che rappresenta con la forza della parola e con la sua condotta la verità delle cose, più esattamente, la verità della condizione esistenziale e storica in cui tu ti trovi. Vi è un profetismo dell’Antico Testamento, ma ve n’è anche uno nel Nuovo. Sarebbe assurdo il contrario. Nell’economia del Nuovo Testamento si esprimono nella loro piena attualità le potenzialità che sono rappresentate nell’Antico. Questo profetismo della Nuova Alleanza è stato un poco oscurato dalla forte accentuazione del sacerdozio. Questo è ovvio. Il sacerdote della Nuova Alleanza è un alter Christus; è Cristo stesso quando agisce nei sacri misteri. Ciò ha portato all’oscuramento sul piano comunicativo del profetismo. Ma non vuol dire che non vi siano i profeti nell’economia della Nuova Alleanza. Chi sono questi profeti? Sono quegli uomini e quelle donne, o religiosi o laici, che con la loro presenza culturale o con la loro azione pubblica hanno tenuto alte le insegne di Cristo Re e di Maria Regina nelle guerre per la difesa della fede e della Cristianità. Alcuni di questi uomini e di queste donne hanno ricevuto anche riconoscimenti nella loro vita da parte dell’autorità ecclesiastica. Ma per lo più sono stati perseguitati. Quasi sempre sono stati sconfitti. Possiamo fare qualche esempio: santa Caterina da Siena (1347-1380) prima di tutto, patrona d’Italia. Il suo profetismo dove sta? Nella sua strenua battaglia, spesso spesa anche contro la codardia di Papi, affinché il Pontefice tornasse nella sede di Roma. Un altro esempio: il domenicano sant’Antonino da Firenze (1389-1459), lottatore strenuo contro l’usura e gli usurai che divoravano i poveri nella ricca Toscana della prima espansione capitalistica; il frate cappuccino beato Marco D’Aviano (1631-1699) che, con il crocefisso alzato, incita i combattenti cristiani a liberare Vienna dall’assedio turco; i «capitani coraggiosi» della Vandea, che andarono verso morte sicura alzando gli stendardi del Sacro Cuore di Gesù; Gabriel García y Moreno (1821-1875), presidente dell’Ecuador, che colpito a morte dai killer inviati dalle logge massoniche ebbe la forza di gridare, prima di morire, «Dios no muere»; il cappuccino san Pio da Pietrelcina (1887-1968), che rinnovò in sé stesso per gran parte della sua vita la passione di Cristo, sospingendo le anime elette verso il sacrificio, mentre la società circostante si impaludava nell’edonismo.
Né sono mancati i profeti sul piano della guerra culturale alla Rivoluzione: Giambattista Vico (1668-1744), anzitutto, che fu talmente grande da riproporre in veste rinnovata il diritto naturale classico contro lo sfiguramento che del diritto aveva fatto la Rivoluzione protestante: il tutto per la promozione della Cristianità, come egli espressamente scrisse al card. Lorenzo Corsini (1652-1740), il futuro Papa Clemente XII (1730-1740), nella lettera di presentazione della prima edizione della sua Scienza Nuova, nel 1725. Così possiamo ricordare in questa linea del profetismo laico il dottor Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), la cui opera Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (2)costituisce una sintesi imperitura per la lotta efficace contro la Rivoluzione.
Ora, io vidi in Giovanni Cantoni un profeta. In che cosa e in quale modo?
5. Il significato della rivolta del 1968 e il carattere provvidenziale di Alleanza Cattolica
Ritorno al 1968. Sentiamone alcuni «reduci». Lidia Ravera: «È stato scegliere la giovinezza». «Ha reso possibile il femminismo, rivoluzione ancora non finita e che è bene continuare. Tra le cose positive: lo svecchiamento dei costumi nel nostro Paese, il divorzio, l’aborto, lo stato di famiglia che è cambiato». «La politica riguarda la nostra felicità, abbiamo detto, deve continuare a essere così» (3). Mario Capanna: «È stata una straordinaria liberazione». «Ha lasciato un’eredità straordinaria». Capanna esalta i risultati nel campo dei nuovi diritti, soprattutto nel mondo del lavoro: «la settimana lavorativa di 40 ore, il diritto delle assemblee in fabbrica e la parità normativa tra impiegati e operai» (4). Dacia Maraini: «Una grande rivoluzione. Sono cambiati i rapporti sia nella famiglia che nella società. E le leggi, tutte le grandi leggi del mondo civile, fino a quella attuale sul fine vita. Tutto è cominciato a cambiare nel ’68» (5).
Il filosofo neo-marxista Diego Fusaro ha scritto: «Il Sessantotto non fu contro il capitale, ma contro la classe borghese e i suoi valori: etica del limite, autorità, figura del padre, religione della trascendenza, comunità tradizionale. Furono queste determinazioni a essere criticate dai sessantottini ben più del nesso di forza classista e asimmetrico del capitale. E, infatti — come capitalismo — ne scaturì non la fine del capitale, ma la fine del mondo borghese: ciò che rafforzò il capitale, ora liberatosi di quei valori (limite, padre, autorità, religione) con i quali fino allora aveva convissuto e che ora erano divenuti insopportabili ostacoli per il capitale stesso, ancora prima che per i sessantottini» (6).
Il Sessantotto ha rappresentato la sintesi di una serie di fasi della Rivoluzione: rivoluzione relativa al rapporto dell’uomo con Dio; rivoluzione relativa al rapporto dell’uomo con gli altri; rivoluzione relativa al rapporto dell’uomo con sé stesso. Per l’Italia, poi, il Sessantotto rappresentò anche la rivoluzione dell’Italia contro sé stessa. Giovanni Cantoni fu intrepido difensore della fede cattolica in un momento drammatico in cui sembrava che il fumo di Satana fosse penetrato fin dentro il sacro recinto della Chiesa. «Sembrava?» No. San Paolo VI (1963-1978) disse che il «fumo di Satana» (7) era entrato nella Chiesa e pregava il Signore e la Vergine Santissima di impedire il disastro. Cantoni combatté — e ci fece combattere — una grande battaglia con la preghiera al Cuore Immacolato di Maria per la diffusione del messaggio di Fatima, affinché la Madonna assistesse il mondo e l’Italia dal rischio dell’oppressione comunista e, soprattutto, affinché la quinta colonna del tradimento ecclesiale non soffocasse la vita della Chiesa.
Il Sessantotto fu rivoluzione politica. Condotta su due versanti correlati: il comunismo e il liberalismo laicistico. Cantoni ci fece combattere prevalentemente contro il comunismo, perché era in quel momento il nemico più pericoloso, ma allo stesso tempo, contro il liberalismo. Voi mi direte: come? Rilanciando la dottrina sociale della Chiesa, che era caduta in oblio, che egli fece riemergere dalle catacombe e che diffuse e fece diffondere con una generosità grande e con una determinazione di cui non ho trovato esempi uguali.
Il Sessantotto fu rivoluzione dei costumi; rectius: fu la rivoluzione che aiutò il processo diretto a fare di ciascun uomo l’autodistruttore di sé stesso, come recita il titolo di un bel libro del filosofo belga Marcel De Corte (1905-1994) (8). Cantoni combatté e ci fece combattere una battaglia su tutti i fronti in cui si svolgevano il conflitto per la famiglia contro l’aborto, la guerra contro la droga e quella a favore della famiglia; le innumerevoli campagne a sostegno della cultura della vita contro la cultura di morte, di cui così efficacemente ha parlato nelle sue encicliche san Giovanni Paolo II (1978-2005).
Giovanni Cantoni fu profeta anche per quanto riguarda la storia e il futuro dell’Italia. Il Sessantotto fu pure, fra le altre cose, una esplosione rinnovata di odio contro l’Italia, quell’Italia che, in uno slancio meraviglioso di evangelizzazione, aveva solcato i monti e i mari per svolgere una missione universale di civilizzazione e che, con una fatica plurisecolare, aveva trasformato una terra montuosa e povera nella perla più preziosa fra tutte le nazioni.
L’Italia aveva subito nel secolo XIX uno sfregio crudele. L’unificazione forzata delle varie regioni in dispregio dell’unità degli italiani intorno alla loro fede e alle loro tradizioni — diverse ma omogenee tra loro — introdusse un lungo periodo di separazione, se non di opposizione, fra lo Stato e la società. Le logge massoniche si appropriarono dell’intero potere statale. Gli eredi del mazzinianesimo e del garibaldinismo trasformarono il Parlamento, soprattutto a partire dalla presa di potere della Sinistra nel 1876, in un mercato degli affari, coperto da una vacua e pericolosa millanteria di sapore militarista. L’avventurismo delle élites culturali interventistiche, i legami della massoneria italiana con gli interessi della Francia laicistica, il bolso rigurgito di risorgimentalismo condussero alla tragedia della Prima Guerra Mondiale (1914-1918). Nonostante le colpe e gli errori delle classi dirigenti, il popolo delle trincee, i giovani ufficiali della migliore borghesia e gli innumerevoli contadini e operai che costituirono l’esercito italiano cementarono con il loro sacrificio l’unione del popolo italiano.
6. La rivoluzione contro l’Italia nel dopoguerra
Ma le gravi deviazioni teoriche e pratiche del fascismo, nonché la forza delle potenze straniere, precipitarono di nuovo l’Italia nell’abisso. Tutto sembrava pronto per la consegna del Paese nelle mani del social-comunismo, sostenuto dalla sottile ma influente presenza del liberalismo di sinistra, meglio conosciuto come azionismo. Senonché, il 18 aprile 1948 accadde un evento inatteso. La mobilitazione del popolo cattolico, avvenuta grazie alla presenza viva nella società della Chiesa italiana, impedì la vittoria del socialcomunismo e consegnò la nazione alle forze politiche di centro.
Soddisfatto della sconfitta del comunismo e allontanato il pericolo del soggiogamento dell’Italia all’Unione Sovietica, questo popolo tornò nelle famiglie, nelle fabbriche, negli uffici, nelle scuole, nei campi, contribuendo, lungo la linea popolare già tracciata dal fascismo, alla realizzazione del «miracolo economico» italiano. Se vi fu un notevole progresso sul piano economico, la vita morale e politica segnò però un grave regresso del nostro popolo. Infatti, dopo il 18 aprile, a fronte di una fragile Democrazia Cristiana, trasformata ben presto nel semplice luogo di contrattazione del potere, il «partito anti-italiano» (9), vero cavallo di Troia del Paese, composto tanto da una destra filomassonica quanto dalla sinistra socialcomunista, riprese rapidamente, sotto la guida della fazione comunista, il lavoro di divisione e di demoralizzazione del popolo. Mentre la parte conservatrice del popolo si lasciava ammaliare dalle sdolcinature sentimentali diffuse dalle canzonette d’amore, facendosi attrarre da un consumismo fatuo, il partito anti-italiano, grazie soprattutto alla letteratura e alla cinematografia, contagiò le classi elevate convincendole in ordine a una pretesa mancata modernizzazione dell’Italia, predicando loro falsamente che tale mancata modernizzazione — in realtà, l’attaccamento alle tradizioni patrie — fosse dovuta alla presenza ingombrante della Chiesa cattolica. Il grande merito dell’Italia — di aver arrestato la Riforma protestante e di aver sostenuto una meravigliosa Riforma cattolica, vera fucina di santi e di sante, creatrice di opere a sostegno dei poveri e dei deboli, e generatrice di arte e di bellezza senza pari al mondo nella splendida età barocca — venne addebitato a colpa del nostro Paese.
La presenza ancora significativa dei valori tradizionali nelle famiglie, nel lavoro e nella società divenne così un torto irrimediabile. Le forze oscure diffusero allora, per screditare il cattolicesimo e la patria, il modello dell’italiano cinico e profittatore, dell’italiano senza princìpi e senza valori, che soltanto per ipocrisia avrebbe mantenuto la pratica esterna della religione allo scopo di occultare la sua presunta indolenza morale e la sua atrofia sociale. L’ethos italiano del sacrificio, del risparmio, dell’amore per la famiglia, del rispetto per gli anziani, per i malati e i deboli fu schernito e vilipeso.
7. L’azione di Alleanza Cattolica contro la Rivoluzione dopo il Sessantotto
Il Sessantotto fu, dunque, anche una rivoluzione contro l’Italia. A quel popolo erede delle grandezze storiche, quel popolo che nel 1571 aveva combattuto a Lepanto — sulle navi di Genova, di Venezia, di Pisa, di Roma, dei Savoia, ma anche sulle navi di Spagna, ove i combattenti napoletani erano la maggioranza — per impedire l’invasione dell’islam, e nel 1620 alla Montagna Bianca, in Boemia, per la difesa contro il protestantesimo; ebbene, a quel popolo fu alfine strappato il cuore di carne per sostituirlo con un cuore di pietra.
La contestazione del Sessantotto provocò la rottura della continuità generazionale. I figli contro i padri, per provocare la frattura all’interno della famiglia; la donna contro l’uomo, per indebolire la famiglia. Si scatenò la lotta di classe intrafamiliare, come espressione di una onnipervadente lotta di classe; i giovani contro gli anziani; tutti contro l’autorità paterna e contro il principio della concordia politica. E poi, peccato fra i peccati, delitto fra i delitti, la propaganda a favore dell’aborto e la tragica rottura del vincolo di maternità fra la madre e suo figlio.
Ebbene, anche per questo aspetto Giovanni Cantoni fu profeta. Il suo insegnamento non fu solo astrattamente contro-rivoluzionario; non fu solo antiprotestante e anticomunista; ma fu anche un insegnamento concreto, che si tradusse in azione, affinché i princìpi eterni delle verità di fede, della verità metafisica e politica trovassero applicazione in Italia, come patria privilegiata fra le nazioni perché sede del Papato e culla dell’evangelizzazione nel mondo. Nessuno può dimenticare la sua efficace introduzione all’edizione italiana di Rivoluzione e Contro-Rivoluzione (10), in realtà un compendio essenziale della storia italiana con l’indicazione dei rimedi che costituiscono le condizioni per il rinnovamento e — diciamo pure questo termine — per il vero Risorgimento d’Italia. E chi può dimenticare l’impulso che Cantoni dette allo studio delle insorgenze antinapoleoniche e antirivoluzionarie in tutte le regioni d’Italia tra la fine del ’700 e il periodo della cosiddetta Restaurazione?
Nel fervore di questo lavoro nacque e si sviluppò Alleanza Cattolica, come frutto dell’opposizione ordinata e organica alla rivoluzione del Sessantotto, che sarebbe poi stata chiamata IV Rivoluzione, ma che Giovanni Cantoni individuò fin da subito come costituente una sorta di compendio di tutte le fasi precedenti della Rivoluzione e come ripresa — per l’Italia — di quel progetto dissolutivo del popolo che il cosiddetto Risorgimento aveva intrapreso, ma che non era riuscito integralmente a compiere per la resistenza tenace della Chiesa e del laicato cattolico.
Non va dimenticata, infine, la lotta implacabile che egli combatté e fece combattere in quel lungo decennio — 1968-1978 — contro il tradimento interno alla Chiesa, contro la quinta colonna della Rivoluzione che ammorbava l’insegnamento della dottrina nei seminari e deformava l’informazione sui settimanali diocesani; la lotta contro la quinta colonna che disprezzava le manifestazioni della religiosità popolare, trascurava i pellegrinaggi, aggiornava la pastorale attraverso il «dialogo» con il miscredente, con il «cristiano anonimo» che non credeva ai misteri della fede e invece credeva, à la Pierre Teilhard de Chardin S.J. (1881-1955) o à la Karl Rahner S.J. (1904-1984), alla rivelazione nella storia di un Cristo inventato dalla fantasia pseudo-filosofica e non al vero Cristo, insieme della fede e della storia, che la Chiesa per due millenni ha fatto oggetto di insegnamento dottrinale e di azione pastorale.
Cantoni ci indusse a riprendere i pellegrinaggi, che furono tanti di numero e diretti ai santuari mariani sparsi in tutto il Paese. Fummo in Italia i più zelanti diffusori del messaggio della Madonna a Fatima. Alla Madonna Cantoni affidò in più occasioni Alleanza Cattolica. Divenimmo il punto di riferimento di tutta la resistenza interna alla rivoluzione nella Chiesa. Ricordo che si avvicinarono a noi personaggi come l’arcivescovo Arrigo Pintonello (1908-2001) e don Dario Composta S.D.B. (1917-2002), il più grande studioso del diritto naturale in epoca contemporanea. Non posso qui citare tutte le personalità che ci sostennero e che contribuirono a fare di Alleanza Cattolica un centro vivo di resistenza alla Rivoluzione nella Chiesa. Occorre rileggere la rubrica di Cristianità «In memoriam» per vedere quanti e di quale qualità furono gli amici dell’associazione, per i quali ancora oggi preghiamo affinché sostengano la sua battaglia.
8. Il profetismo di Giovanni Cantoni
La Rivoluzione sa che non potrà vincere completamente la sua guerra antiumana se non riuscirà a schiacciare Santa Romana Chiesa e a impadronirsi — se ciò fosse possibile — della stessa sede di Pietro. Che non sia possibile, perché Nostro Signore Gesù Cristo ha promesso che le forze degli inferi non prevarranno contro la Chiesa, non vuol dire che il «principe di questo mondo» non provi continuamente, con la scaltrezza che gli conviene, a soffocare, a oscurare, ad alterare la voce della Chiesa e della sua suprema autorità.
Ebbene, nel ventennio successivo al 1968 fu intessuto il tentativo di sostituire l’eterodossia ai deliberati del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). La rivoluzione penetrò dentro il sacro recinto della Chiesa.
Cantoni fu veramente profeta anche in questo. Il profetismo dell’Antico Testamento è caratterizzato dai moniti — spesso duri e implacabili — nei confronti dei capi religiosi di Israele, che portavano per la loro infedeltà il popolo alla rovina. Anche il profetismo del Nuovo Testamento ha questa caratteristica. Cantoni in quel decennio svolse mirabilmente quel compito: con prudenza e riverenza, ma anche con fermezza.
Ricordiamo per tutti il profeta Osea che visse nel 700 avanti Cristo, perché è il profeta che applica al rapporto di Dio con Israele l’esperienza personale del tradimento della donna che ha amato. Israele, nazione santa, è stata sposata da Dio; essa si è comportata come una donna infedele, come una prostituta, e ha provocato il furore e la gelosia del suo sposo divino. Questi però la ama sempre: la castigherà, ma per ricondurla a sé e riportarla alle gioie del primo amore. Il monito di Osea rivolto ai sacerdoti infedeli è durissimo: «[…] contro di te, sacerdote, muovo l’accusa. Tu inciampi di giorno e il profeta con te inciampa di notte e fai perire tua madre. Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e io dimenticherò i tuoi figli… Essi si nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità. Il popolo e il sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro condotta e li retribuirò dei loro misfatti» (Osea, 4,3-9).
In un importante articolo scritto su Cristianità nell’ottobre del 1985, a vent’anni dalla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II e in previsione del secondo Sinodo straordinario convocato da san Giovanni Paolo II, Giovanni Cantoni ricordava le parole di questo Pontefice scritte nel 1980 a tutti i vescovi a proposito dell’eucarestia, ritenendosi in dovere di «[…] chiedere perdono — in nome mio e di tutti voi, venerati e cari Fratelli nell’Episcopato — per tutto ciò che per qualsiasi motivo, e per qualsiasi umana debolezza, impazienza, negligenza, in seguito anche all’applicazione talora parziale, unilaterale, erronea delle prescrizioni del Concilio Vaticano II, possa aver suscitato scandalo e disagio circa l’interpretazione della dottrina e la venerazione dovuta a questo grande Sacramento e prego il Signore Gesù perché in futuro sia evitato, nel nostro modo di trattare questo sacro Mistero, ciò che può affievolire o disorientare in qualsiasi maniera il senso di riverenza e di amore dei nostri fedeli» (11).
Cantoni, su questa linea, concludeva con accenti di speranza profetica: «Non resta quindi che pregare la Vergine santissima, Mater Ecclesiae, affinché la seconda assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi avvii a soluzione almeno qualcuno dei problemi che affliggono il corpo di cui il Signore Gesù è mistico capo e risponda almeno a qualcuno degli interrogativi che in esso circolano» (12).
Note:
Relazione predisposta, e parzialmente letta, per la Scuola Estiva San Colombano, organizzata da Alleanza Cattolica a Triuggio (MB) dal 31 luglio al 2 agosto 2020 (cfr. la cronaca in questo numero, alle pp. 86-87).
Cfr. René Guénon, Il Regno della quantità e i segni dei tempi, 1945, trad. it., Edizioni di Studi Tradizionali, Torino 1969 (n. ed., Adelphi, Milano 2009).
(2) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009); con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, trad. it., a cura e con Presentazione di Giovanni Cantoni, Sugarco, Milano 2009.
(3) Mauretta Capuano, Sessantotto, 50 anni dopo. Lidia Ravera: «È stato scegliere la giovinezza», in ANSA.it Speciali, nel sito web <https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2018/01/27/sessantotto-50-anni-dopo.-lidia-ravera-e-stato-scegliere-la-giovinezza_bdd00f11-ecf3-4825-b4db-1b35728ebcd8.html> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 4-11-2020).
(4) Eadem, Il sessantotto, Capanna: «Una straordinaria liberazione», nel sito web <https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2018/01/26/-68-mario-capanna-una-straordinaria-liberazione_35a50667-507b-488b-86e5-8613da855d98.html>.
(5) Eadem, Il sessantotto, Dacia Maraini: «Una grande rivoluzione», nel sito web <https://www.ansa.it/sito/notizie/speciali/2018/01/26/il-sessantotto-dacia-maraini-una-grande-rivoluzione-anche-come-metodo_40f9c89c-ae8d-4f45-9d96-ecb508a14c50.html>.
(6) Diego Fusaro, Il Sessantotto, l’anno più sciagurato della storia recente, ne Il Fatto Quotidiano, 23-1-2018.
(7) PAOLO VI, Resoconto dell’omelia per il Nono Anniversario dell’Incoronazione di Sua Santità «Resistite fortes in fide», del 29-6-1972.
(8) Cfr. Marcel de Corte, L’homme contre lui-même, Nouvelles Éditions Latines, Parigi 1962, trad. it., Fenomenologia dell’autodistruttore, Borla, Torino 1967.
(9) Sulla nozione di «partito anti-italiano» cfr. Massimo Introvigne, Centocinquant’anni dopo: identità cattolica e unità degli italiani, in Francesco Pappalardo e Oscar Sanguinetti (a cura di), 1861-2011. A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia. Quale identità?, Atti del convegno omonimo, Roma, 12 febbraio 2011, Cantagalli, Siena 2012, pp. 5-33.
(10) Cfr. G. Cantoni, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a P. Corrêa de Oliveira,trad. it., 3a ed. it., con una lettera-prefazione di S.E. mons. Romolo Carboni (1911-1999), arcivescovo titolare di Sidone e nunzio apostolico in Perù,accresciuta di «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» vent’anni dopo in prima edizione mondiale, Cristianità, Piacenza 1977, pp. 7-50.
(11) Idem, Dal Concilio Ecumenico Vaticano II al secondo Sinodo straordinario, in Cristianità, anno XIII, n. 126, ottobre 1985, pp. 3-4 (p. 4). Il riferimento è a Giovanni Paolo II, Lettera «Dominicae cenae», del 24-2-1980.
(12) Ibidem.