Daniele Fazio, Cristianità n. 405 (2020)
1. Centralità della questione antropologica
Con il sintagma «rivoluzione antropologica» si vuole intendere il ribaltamento di una visione dell’uomo che nasce dall’incontro fra la tradizione greco-romana e il cristianesimo. Non si fa fatica a riconoscere, infatti, che la nozione di «persona», con le sue conseguenze etiche per tutta la storia della civiltà occidentale, sia scaturita da un dibattito secolare svoltosi all’interno del cristianesimo, ma ricorrendo a concetti che provenivano dalla cultura greca e dalla cultura romana. Tali sono, per esempio, le dispute circa l’Unicità e la Trinità di Dio o sulla duplice natura del Verbo incarnato.
La «rivoluzione antropologica», in un contesto ormai post-ideologico, rappresenta lo sfondo delle attuali questioni bio-politiche. Per meglio intenderci, anche in campo politico sovente si fronteggiano due visioni dell’uomo: una legata all’orizzonte della tradizione occidentale e che fa appello al diritto naturale, l’altra che promuove una visione dell’uomo opposta che mira addirittura alla liberazione dell’uomo dalla sua stessa natura (1). Per meglio dire, quando ci si sgancia dalla visione antropologica personalistica, cioè «laddove viene abbandonato ogni concetto platonico-teleologico dell’essenza dell’uomo e laddove anche l’immagine del figlio dell’uomo non viene più accettata come risposta irrinunciabile alla domanda “che cos’è l’uomo?”, subentra una nuova versione dell’Ecce homo, la versione di [Jean-Jacques] Rousseau [1712-1778], la versione di [Friedrich Wilhelm] Nietzsche [1844-1900][…] la via che si apre è infinita» (2).
Per capire meglio che cosa intendo per «rivoluzione antropologica» occorre far cenno brevemente al percorso che conduce a essa. Tale itinerario — e faccio qui esplicito riferimento all’interpretazione della scuola contro-rivoluzionaria cattolica — ha certamente fondamenti metafisici e spirituali. La Rivoluzione è la cifra che caratterizza in maniera preponderante la Modernità, a partire dal Rinascimento e fino alla Rivoluzione culturale del Sessantotto. Un processo plurisecolare che vede prima una frattura di carattere religioso con il protestantesimo, poi una frattura di carattere socio-politico con la Rivoluzione francese, quindi una frattura di carattere economico con il comunismo e infine una frattura di carattere antropologico, che caratterizza il nostro tempo, in cui l’uomo fatica a definire sé stesso quale essere razionale, sociale e creato a immagine e somiglianza di Dio (3).
Tale itinerario, definito più volte dallo stesso magistero pontificio come un processo di «scristianizzazione» dell’Occidente (4), ha peraltro contaminato anche le opzioni teologiche e socio-politiche cattoliche. Si ricordino le varie prospettive compromissorie: giansenista, cattolico-liberale, clerico-fascista, catto-comunista, con tutte le varianti presenti anche con orientamenti relativistici e perfino nichilistici.
La «rivoluzione antropologica» determina — soprattutto dopo l’«implosione» del comunismo sovietico — un confronto su un terreno inedito, che si gioca sul riconoscimento o meno di una visione personalistica dell’uomo diversa dalle nuove teorie liberal-radicali, utilitaristiche e transumaniste di vario genere. Per esempio, possiamo citare il costante dibattito sull’inizio e sulla fine della vita, che ha creato e crea polarizzazioni all’interno della comunità degli studiosi di bioetica con conseguenze di carattere politico. Da un lato vi sono gli assertori della sacralità della vita e dall’altro lato i difensori della «qualità» della vita, e le due opzioni sono all’origine di provvedimenti legislativi di segno opposto, quando si intende regolare tematiche quali la fecondazione artificiale, la sperimentazione sugli embrioni, la clonazione umana, l’aborto, l’uso delle pillole abortive o, ancora, il «testamento biologico» e l’eutanasia. Opzioni che generano visioni diverse anche riguardo al rapporto medico-paziente, alle priorità del sistema sanitario pubblico, al limite dell’artificiale rispetto al naturale e all’invasività della tecnoscienza in relazione alla natura dell’uomo.
Diversamente da quanto il filosofo italiano Giovanni Fornero ha affermato tempo fa (5), su tali tematiche si assiste non tanto alla contrapposizione fra bioetica cattolica e bioetica laica, quanto alla contrapposizione fra una visione della vita come intangibile, dal concepimento alla morte naturale, e una visione che fa appello esclusivamente alla asserita «qualità» di essa, ovvero a una vita che ha bisogno di «qualità» per essere degnamente vissuta. Ciò può essere corroborato anche dal fatto che nel corso del tempo e durante i dibattiti a favore della prima opzione si sono schierati personaggi che non professano alcuna fede religiosa. Viceversa, si deve pure registrare il fatto che alcuni settori facenti riferimento al cattolicesimo — soprattutto nel campo della prassi politica — hanno voluto distinguere i princìpi morali dalle scelte legislative, applicando una concezione della laicità che non solo rinchiude nell’ambito del privato la dimensione religiosa della vita, ma con essa oblìa anche la dimensione morale del cristianesimo, che risale al diritto naturale, conoscibile con l’ausilio della sola ragione (6).
Non credo di esagerare — senza evidentemente dimenticare altri punti fondamentali dell’agenda socio-politica — affermando che per il Magistero e per i cattolici oggi la questione antropologica è centrale quanto lo fu la questione sociale al tempo di Papa Leone XIII (1878-1903) (7). E ciò non semplicemente per il fatto che l’agenda politica è chiamata a rispondere a queste nuove problematiche, ma perché la società ha subìto una evoluzione sempre più in senso individualistico, ovverosia è stata ridotta ad materiam primam. Già dieci anni fa il 41° Rapporto del Centro Studi e Investimenti Sociali (CENSIS) faceva notare come la società italiana fosse diventata fondamentalmente a base antropologico-individualistica. In essa il modello emergente non era quello basato sulle famiglie, sui gruppi sociali, sulle rappresentanze sindacali o partitiche, bensì quello del single (8); una società, in altri termini, «a coriandoli», ovverosia con un tenuissimo collante sociale, divenuta sempre più «liquida» in ragione soprattutto dell’eclissi delle «grandi narrazioni», le ideologie, siano esse di carattere religioso o politico-ideologico (9).
2. L’Italia, i cattolici e la politica
Se questo è il contesto socio-culturale, quale ruolo i cattolici devono assumere all’interno di questo scenario? È indiscutibile che non esista più un «contenitore politico» di ispirazione cristiana, come fu un tempo la Democrazia Cristiana, o più semplicemente — con tutti i limiti del termine — «un partito cattolico». Ciò non vuol dire che non vi siano più cattolici impegnati in politica o, peggio ancora, che non vi siano più cattolici, soprattutto in Italia. Ma come dovrebbero comportarsi costoro in uno scenario di minoranza o di insignificanza? Nel 2003 la Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato una Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, in cui definiva i princìpi della sacralità della vita, della promozione della famiglia e la libertà educativa e di religione come «valori non negoziabili» (10). Tale locuzione, su cui tante parole sono state profuse, in definitiva vuole ricordare che la società si erige su alcuni fondamenti, senza i quali non si può realizzare uno sviluppo umano integrale. La Nota dottrinale riuniva in modo schematico o sillabico gli orientamenti del magistero di san Giovanni Paolo II e certamente — precorrendo i tempi — quello del suo successore Benedetto XVI, che in veste di prefetto della Congregazione ne aveva promosso la pubblicazione, controfirmata dallo stesso Pontefice. Nella particolare situazione italiana il documento esprime un chiaro orientamento che colma, fra l’altro, un vuoto non solo nell’ambito dei criteri dottrinali, ma anche dei princìpi di azione secondo cui i cattolici devono muoversi in tempi di rivoluzione antropologica in campo politico. Ciò naturalmente è valido sia per chi è direttamente impegnato in politica sia per chi viene chiamato a effettuare una scelta elettorale, senza illudersi che la soluzione al ribaltamento della visione dell’umano provocata dalla rivoluzione antropologica sia solo politica, ma certamente nella speranza di salvare qualche percorso legislativo o di non permettere che quei brandelli sani che ancora persistono nella politica vengano totalmente destrutturati. Ciò naturalmente non fa dimenticare che viviamo in un mondo giunto veramente alla sua fine storica. Ne era ben conscio san Giovanni Paolo II, che nel Convegno della Chiesa Italiana di Palermo del 1995 così affermava: «Ora però non è più possibile farsi illusioni, troppo evidenti essendo divenuti i segni della scristianizzazione nonché dello smarrimento dei valori umani e morali fondamentali. In realtà tali valori, che pur scaturiscono dalla legge morale inscritta nel cuore di ogni uomo, ben difficilmente si mantengono, nel vissuto quotidiano, nella cultura e nella società, quando vien meno o si indebolisce la radice della fede in Dio e in Gesù Cristo. Perciò, mentre poniamo rispettosamente questo interrogativo a chi — pur non condividendo la nostra fede, ma essendo spesso verso di essa attento e sensibile — è sinceramente sollecito del bene dell’uomo e del futuro della nazione, ci sentiamo anche noi stessi fortemente interpellati» (11). Queste parole sottolineavano un altro aspetto essenziale e preliminare dell’azione dei cattolici al tempo della rivoluzione antropologica, ovvero la necessità di tornare a farsi missionari in un mondo non più cristiano, cosa che nel corso degli anni è divenuta sempre più evidente e oggi è più che mai urgente. Tuttavia, le due sfere — impegno politico in difesa dei princìpi etici ed evangelizzazione — non vanno disgiunte o messe in dialettica fra loro, ma tenute insieme, l’una — l’evangelizzazione — come premessa necessaria alla realizzazione di una società «a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (12).
Ripercorrendo brevemente la storia degli ultimi due decenni del cattolicesimo in Italia, vi è da registrare che alla fine del pontificato di san Giovanni Paolo II si aprì un dibattito, spesso sottotraccia, circa la necessità di «de-ruinizzare» la Chiesa italiana, che in altri termini — la storia successiva lo ha confermato — ha significato togliere dall’agenda del cattolicesimo italiano la linea di fedeltà nelle scelte operative che il card. Camillo Ruini aveva tenuto rispetto ai grandi Leitmotiv del pontificato di san Giovanni Paolo II e in parte di Papa Benedetto XVI. Il cardinal Ruini è stato presidente della Conferenza Episcopale Italiana dal 1991 al 2007 e suo segretario generale nel quinquennio precedente. In tale veste, ha «traghettato» i cattolici italiani dalla fase di dispersione successiva al crollo della Democrazia Cristiana a nuove forme di azione in politica, riaffermando — al di là della presenza o meno di un partito d’ispirazione cristiana — l’importanza della presenza dei cattolici in ambito pubblico ritrovando la loro unità culturale e strategica intorno alla proposta dei princìpi non negoziabili (13). Con ciò aveva attirato l’attenzione della politica italiana sulle questioni che i cattolici avrebbero dovuto avere più a cuore e che urgevano anche in campo politico (14). In questo senso, Ruini trovò ascolto principalmente presso lo schieramento di centro-destra e nel suo leader Silvio Berlusconi e assai meno nello schieramento di centro-sinistra, fatte salve alcune eccezioni, popolato di «cattolici adulti» (15). Ricorda il cardinal Ruini: «Senza mitizzarla, quella strada ha portato dei frutti. Si è trattato di sottolineare contenuti molto importanti, non solo per i cattolici, e di chiedere alle forze politiche di impegnarsi su di essi, o almeno di non contrastarli. Questa linea ha avuto maggiori adesioni nel centrodestra, ma ne ha trovate anche nel centrosinistra» (16). I risultati di quegli anni, in qualche modo, frenarono l’agenda liberal-radicale d’implementazione della «cultura di morte». Ricordo in particolare due momenti: il primo, legato alla elaborazione, prima, e alla difesa, successiva, di una legge sicuramente non «cattolica» sulla procreazione medicalmente assistita, la n. 40 del 2004, una legge per certo non totalmente aperturista, tramite l’abile mossa politica di proporre l’astensionismo nel successivo referendum del 12-13 giugno 2005, che avrebbe voluto totalmente destrutturarla. In quell’occasione, fra l’altro, su impulso della CEI, in particolare del suo presidente, nasceva il Comitato Scienza&Vita, poi mutato in associazione, consacrato a dare risposte alle più urgenti questioni bioetiche. Il secondo risultato fu l’organizzazione di una imponente manifestazione di popolo a cui la CEI, in modo informale, tramite il Forum delle Associazioni familiari a essa facente capo, chiamò a Roma, in piazza San Giovanni in Laterano, centinaia di migliaia di cattolici italiani nel Family Day del 12 maggio 2007 per difendere la famiglia contro il tentativo del governo di centro-sinistra, guidato da Romano Prodi, di varare le unioni civili, i cosiddetti DICO, i diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi, incluse quelle omosessuali (17).
Durante la prima fase del pontificato di Papa Benedetto XVI — quando il testimone della presidenza della CEI passò al card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova — il cardinal Ruini assunse esclusivamente la guida del Progetto Culturale (18), iniziativa di elaborazione e promozione culturale in senso cristiano da parte della Chiesa italiana, mentre i rapporti politici fra Stato italiano e Santa Sede venivano tenuti dalla Segreteria di Stato, retta dal card. Tarcisio Bertone. La novità creata da questo affrancamento della CEI dalle questioni politiche italiane si tradusse in assenza d’indicazioni strategiche capaci di unire il mondo cattolico in un impegno comune sul fronte delle tematiche etico-politiche. Se gli elementi dottrinali nelle varie Prolusioni del card. Bagnasco alle Assemblee generali e ai Consigli permanenti erano chiari e in linea con il magistero dei Pontefici, il tentativo di innervare il tessuto sociale e politico ispirandosi a tali indicazioni andò sempre più sbiadendo. Il cardinal Ruini, invece, si impegnava, attraverso il Progetto culturale anzidetto, in un’opera pubblica di sintesi tra fede e cultura, le cui massime espressioni furono i convegni internazionali Dio oggi. Con Lui o senza Lui cambia tutto (10-12 dicembre 2009) e Gesù nostro contemporaneo (9-11 febbraio 2012), entrambi tenuti a Roma. A partire dal 2013, il cardinale si è ritirato dagli impegni pubblici, pur accettando nomine da parte della Santa Sede, come quella a presidente della commissione internazionale d’inchiesta sulle apparizioni mariane di Medjugorje, in Bosnia-Erzegovina, esperienza conclusasi comunque nel 2014. L’uscita, se così possiamo esprimerci, del cardinale dalla sfera pubblica privava i cattolici italiani della sua capacità di tradurre in scelte concrete le indicazioni strategiche dei Pontefici. Della sua presenza da protagonista in questi anni si è sentita la mancanza, perché il cattolicesimo italiano è privo di un’agenda chiara.
Nei mesi iniziali del pontificato, Papa Francesco, richiamando implicitamente i princìpi non negoziabili, così si esprimeva: «[…] certamente è necessario dare il pane a chi ha fame; è un atto di giustizia. Ma c’è anche una fame più profonda, la fame di una felicità che solo Dio può saziare. Fame di dignità. Non c’è né vera promozione del bene comune, né vero sviluppo dell’uomo, quando si ignorano i pilastri fondamentali che reggono una Nazione, i suoi beni immateriali: la vita, che è dono di Dio, valore da tutelare e promuovere sempre; la famiglia, fondamento della convivenza e rimedio contro lo sfaldamento sociale; l’educazione integrale, che non si riduce ad una semplice trasmissione di informazioni con lo scopo di produrre profitto; la salute, che deve cercare il benessere integrale della persona, anche della dimensione spirituale, essenziale per l’equilibrio umano e per una sana convivenza; la sicurezza, nella convinzione che la violenza può essere vinta solo a partire dal cambiamento del cuore umano» (19). Inoltre, l’esortazione apostolica postsinodale Evangelii gaudium che, in qualche modo, esprime l’anima missionaria del suo magistero e quindi ha ricadute anche sull’azione dei laici cattolici, non nega l’importanza dei princìpi etici cui uniformare il tessuto sociale, ma li affida alla cura delle varie conferenze episcopali nazionali. Il Pontefice è intervenuto più volte direttamente su tematiche quali la «colonizzazione ideologica» svolta dalle teorie del gender, sull’inizio della vita e sull’eutanasia (20).
Tali questioni sono presenti anche nell’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia (21), nell’enciclica Laudato si’ (22) e nell’esortazione apostolica postsinodale Christus vivit (23). Mentre nell’ultima enciclica a carattere sociale, Fratelli tutti, vi è un ampio richiamo alla considerazione della verità morale in campo personale e nella formulazione delle leggi (24).
Ma la cosiddetta «conversione missionaria» del pontificato conserva in posizione centrale il compito della nuova evangelizzazione di un mondo che muore e quindi non si limita a una semplice difesa di ciò che rimane del vecchio mondo, ma vuole costruirne uno nuovo riportando il messaggio del Vangelo nel cuore di ogni uomo e al centro della società. Del resto, la conformità alla morale, anche a quella sociale, non può che essere conseguenza della conversione e dunque dello sforzo di modificare i propri comportamenti secondo il modello cristiano, ricevendo dalla grazia, proveniente da Dio stesso, la forza per attuarlo. Se così non fosse, l’impegno di riforma del mondo da parte del cattolico, nel contesto formalmente pluralistico attuale, si tradurrebbe in una mera agenda politica da far prevalere su altre agende, riducendo la missionarietà cattolica a competizione partitica. Del resto, sono costanti gli appelli del Santo Padre affinché l’impegno dei cattolici nella vita politica tenga presente non solo la condivisione di istanze razionali, ovvero il diritto naturale, bensì anche la chiara apertura alla dimensione soprannaturale. «Chiedo a Dio — scrive Papa Francesco — che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune. Dobbiamo convincerci che la carità “è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici”. Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale» (25).
3. Distinguere per unire
Tenuto conto del contesto storico e socio-ecclesiale sopra descritto, è doveroso chiedere quale ruolo preciso debba assumere chi, da laico cattolico, s’impegna in politica.
L’azione deve svolgersi a due livelli: il primo, ostacolando le iniziative politiche e amministrative che favoriscono la «rivoluzione antropologica»; quindi, proporre iniziative legislative che favoriscano la vita, la famiglia, la libertà di educazione e religiosa, allargando sempre più lo sguardo alle nuove emergenze, come quella della disoccupazione, dell’immigrazione e della salvaguardia del creato. Questo secondo aspetto oggi è ancora più urgente in quanto la politica non può non avere come punto-cardine il contrasto dell’«inverno demografico» (26), che è un fattore cruciale rispetto alla ripresa economica: la denatalità, infatti, è uno dei fattori principali della crisi economica occidentale.
La dialettizzazione fra tematiche antropologiche e tematiche eminentemente socio-economiche che il mondo cattolico italiano subisce crea una spaccatura non transitoria nel laicato e nell’associazionismo cattolici, anche se nessuna associazione laicale dovrebbe delegittimare le altre solo perché non impegnate nel proprio settore. Ogni laico cattolico deve essere libero di occuparsi di qualsiasi problematica antropologica e sociale, seguendo la precisa sollecitazione in tal senso che viene dalla dottrina sociale della Chiesa.
Nel corso del tempo si è assistito a tentativi organizzati di affrontare la rivoluzione antropologica. Fin dal 2015 si è costituito il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, protagonista di due Family Day svoltisi a Roma, il 20 giugno 2015 e il 30 gennaio 2016. Ad essi si aggiunge il raduno del 17 ottobre 2020, in Piazza del Popolo, pure a Roma, per mostrare la propria opposizione al cosiddetto progetto di legge «Zan-Scalfarotto» in materia di omotransfobia.
L’impegno maggiore è stato ed è quello di combattere la diffusione delle teorie del gender soprattutto in campo giuridico ed educativo. Il momento di esordio è stato in occasione del disegno di legge sulle unioni civili, meglio conosciuto come «DDL Cirinnà», dal nome della relatrice, parlamentare del Partito Democratico, successivamente approvato dal Parlamento. La natura del Comitato, senz’altro d’ispirazione cristiana, è però apartitica e aconfessionale. In tal modo si è espressa l’autonomia operativa del laicato italiano, che ha ritenuto di manifestare e organizzarsi indipendentemente dai vescovi in alcune iniziative specifiche, raccogliendo anche adesioni di altre confessioni religiose ed evitando accuratamente di trasformarsi in partito. In concomitanza e in collaborazione con il Comitato è sorto anche un raggruppamento di parlamentari di ogni partito che annovera un centinaio di aderenti. Da questo sforzo di tenere alta la fiaccola della difesa della vita e delle tematiche etiche in generale è nato indirettamente l’importante tentativo — anche se dopo alcuni anni di latitanza e di distinguo — volto a riunire numerose sigle dell’associazionismo cattolico e non, per opporsi all’ipotesi, ormai sempre più concreta dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale sul cosiddetto «caso Cappato», della depenalizzazione dell’aiuto al suicidio e al tentativo di far approvare al Parlamento una legge pro-eutanasia. Proprio l’11 settembre 2019, attorno all’attuale presidente della CEI, card. Gualtiero Bassetti, in un convegno tenutosi a Roma, si riuniva gran parte di tali sigle, ora costituitesi nel Comitato Spontaneo «Polis pro persona», condividendo le parole del porporato e offrendo linee di azione ben precise ai parlamentari su tale urgente questione.
Un ruolo importante è svolto anche dal Centro Studi Rosario Livatino — costituitosi nel 2015 e formato da magistrati, avvocati, docenti universitari e notai, che traggono esempio dal magistrato agrigentino ucciso da mano mafiosa nel 1990 —, che studia temi riguardanti in prevalenza il diritto alla vita, la famiglia e la libertà religiosa.
Ma per fronteggiare l’emergenza del momento non basta semplicemente la difesa, che pur non va accantonata. La rivoluzione antropologica non può avere una semplice risposta politica: la partita si gioca innanzitutto nell’ambito della mentalità, della cultura, delle relazioni, in definitiva della sfera esistenziale di ognuno. Oggi non viviamo più in una società cristiana, anzi gli stessi cristiani, anche in Occidente, non possono più neanche essere considerati una maggioranza, perché molti battezzati vivono prescindendo dalla fede. La fede e la cultura, intesa come mentalità e stile di vita, hanno subito un radicale divorzio. Se, come dice l’ultimo rapporto del CENSIS «al volgere del 2018 gli italiani sono soli, arrabbiati e diffidenti» (27), non saranno le leggi a cambiare questo stato di cose, bensì un rinnovato impulso verso la fede che passa attraverso quello che fino dagli inizi del pontificato di san Giovanni Paolo II — ma già eletta a priorità nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di san Paolo VI (1963-1978) — è stata definita «nuova evangelizzazione», ovvero l’annuncio del Vangelo a un mondo che cambia, un Vangelo non edulcorato o succube del mondo che è cambiato.
A un tale impegno serve non solo la fede, ma pure la ragione, la quale ultima ha anch’essa subìto un processo di svilimento. Oggi, infatti, non si ha più fiducia nella capacità della ragione di conoscere le cose e da esse evincere una legge. Il processo di scristianizzazione in Occidente è anche un processo di «de-ellenizzazione» (28), ovvero di messa in discussione del primato della ragione a favore di quello dei desideri, degli istinti, delle passioni. E se la ratio non guida più la legge, perché il suo posto è preso dalle mode del momento, si rischia di dar veste giuridica ad aberrazioni. È dunque urgente, senza perdere d’occhio l’impegno direttamente politico, considerare l’ambito pre-politico, quello culturale, quale luogo fondamentale in cui agire per ridurre, soprattutto all’interno del mondo cattolico, la disomogeneità attraverso l’impegno formativo.
Inoltre, accanto a una riconsiderazione del proprium dell’uomo che è la sua facoltà razionale, certamente — anche per non scadere in una forma di cripto-razionalismo — la via della nuova evangelizzazione passa anche per la «via del cuore», coniugando verità e misericordia, avendo sempre più la consapevolezza di agire in una sorta di grande «ospedale da campo» (29) e proponendo al prossimo «terapie» che sconfiggano la malattia senza distruggere il corpo del malato. Scrive Papa Francesco: «Se l’amore ha bisogno della verità, anche la verità ha bisogno dell’amore. Amore e verità non si possono separare. Senza amore, la verità diventa fredda, impersonale, oppressiva per la vita concreta della persona. La verità che cerchiamo, quella che offre significato ai nostri passi, ci illumina quando siamo toccati dall’amore. Chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità, che esso stesso apre i nostri occhi per vedere tutta la realtà in modo nuovo, in unione con la persona amata. In questo senso, san Gregorio Magno ha scritto che “amor ipse notitia est”, l’amore stesso è una conoscenza, porta con sé una logica nuova. Si tratta di un modo relazionale di guardare il mondo, che diventa conoscenza condivisa, visione nella visione dell’altro e visione comune su tutte le cose. Guglielmo di Saint Thierry, nel Medioevo, segue questa tradizione quando commenta un versetto del Cantico dei Cantici in cui l’amato dice all’amata: I tuoi occhi sono occhi di colomba (cfr Ct 1,15). Questi due occhi, spiega Guglielmo, sono la ragione credente e l’amore, che diventano un solo occhio per giungere a contemplare Dio, quando l’intelletto si fa “intelletto di un amore illuminato”» (30).
La dottrina sociale della Chiesa, tentativo di sintesi di fede, ragione ed esperienza storica, parte integrante della visione cristiana della vita, va fatta uscire, dunque, dallo stretto ambito della discussione fra specialisti e proposta attraverso un’opera formativa, indirizzata soprattutto ai laici cattolici che hanno bisogno di conoscere la morale sociale naturale e cristiana per orientarsi in questo mondo, non solo nelle scelte elettorali da compiere, ma anche nell’impegno specifico che devono profondere per la costruzione — con altri — di una società migliore, rispondendo alla loro più schietta vocazione. Le due direzioni dell’impegno dei cattolici oggi sono state in qualche modo individuate anche nell’intervista concessa dal cardinal Ruini al Corriere della Sera nel 2019. In essa sicuramente propone la sua strategia di dialogo con tutte le forze politiche e l’impegno per i cattolici in politica di «[…] operare all’interno di quelle forze che si dimostrino permeabili alle loro istanze» (31), ragion per cui — voce fuori dal coro nell’opera di costruzione di muri di ampi settori dell’episcopato e del mondo cattolico contro la Lega — esorta a dialogare con il segretario di quella formazione politica, Matteo Salvini (32), e conferma altresì il declino del cattolicesimo di sinistra: «penso anch’io che il “cattolicesimo democratico”, in concreto il cattolicesimo politico di sinistra, in Italia abbia sempre meno rilevanza» (33). Tuttavia, la novità fondamentale dell’intervista è l’attenzione alla dimensione propria della «rigenerazione umana e cristiana» dell’uomo contemporaneo a fronte della rivoluzione antropologica. Quando, infatti, il cardinale sostiene che manca un’identità antropologica cristiana —, ricollega il fatto alla crisi antropologica del nostro tempo, pone cioè l’attenzione al problema primario, i fondamenti su cui poggiare anche l’impegno politico. La crisi certamente dipende dal fatto che la certezza della natura trascendente del nostro essere — l’anima e la sua immortalità — vacilla da più di due secoli e oggi è stata totalmente rimossa. Non si tratta, dunque, di ritornare al passato, ma di impegnarsi nel tempo presente, con l’ausilio della fede e della ragione, per contribuire a costruire un futuro migliore. Un impegno che consiste nel duplice lavoro di riforma della persona, cioè della conversione a Gesù Cristo, unico mediatore della salvezza, e della costruzione di un contesto sociale depurato dal neopaganesimo e che tenga conto degli assiomi morali che valorizzano e non deturpano la dignità dell’uomo. Scriveva lo storico olandese Johan Huizinga (1872-1945): «Ora, noi non neghiamo la magnificenza passata, né la disprezziamo. Sappiamo che molte cose in molte epoche, e anche poco addietro, eran migliori di oggi. Possiamo immaginare che una civiltà avvenire in alcune forme, di cui oggi rimpiangiamo la sparizione, mostrerà nuovamente maggior somiglianza con precedenti periodi, ma questo sappiamo con certezza: un ritorno all’antico in generale non può darsi. Vi è solo un avanzare, anche se talora si coglie la vertigine davanti a profondità e lontananze sconosciute; anche quando l’immediato avvenire ci si spalanca davanti come un abisso circonfuso di nebbia» (34). Secondo questa prospettiva l’apostolato, lato sensu, culturale non può che rivelarsi prioritario rispetto allo stesso impegno politico. Proprio su questo piano si deve superare ogni tentazione divisiva all’interno del tessuto ecclesiale e ci si deve impegnare nell’opera della nuova evangelizzazione, per vincere la sempre più diffusa indifferenza e a volte ostilità verso il cristianesimo, che oggi è più che mai sconosciuto soprattutto in quelle terre che ebbero il privilegio della prima evangelizzazione. La distinzione fra i vari carismi delle associazioni laicali non può che trovare un momento unitario nell’impegno missionario. Da questo punto di vista, risulta molto significativo quanto il Papa emerito Benedetto XVI ha affermato circa le radici della cultura europea e la situazione attuale: «Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. Quaerere Deum— cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura» (35).
Note:
(1) «Campo primario e cruciale della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica, in cui si gioca radicalmente la possibilità stessa di uno sviluppo umano integrale. Si tratta di un ambito delicatissimo e decisivo, in cui emerge con drammatica forza la questione fondamentale: se l’uomo si sia prodotto da se stesso o se egli dipenda da Dio» (Benedetto XVI [2005-2013], Lettera enciclica «Caritas in veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009, n. 74).
(2) Robert Spaemann (1927-2018), Rousseau. Cittadino senza patria. Dalla «polis» alla natura, trad. it., prefazione di Sergio Belardinelli e postfazione di Leonardo Allodi, Ares, Milano 2009, p. 20.
(3) Cfr. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario con materiali di «fabbrica» del testo e documenti integrativi, presentazione e cura di Giovanni Cantoni (1938-2020), Sugarco Edizioni, Milano 2009.
(4) «Purtroppo, alla metà dello scorso millennio ha avuto inizio, e dal Settecento in poi si è particolarmente sviluppato, un processo di secolarizzazione che ha preteso di escludere Dio e il cristianesimo da tutte le espressioni della vita umana. Il punto d’arrivo di tale processo è stato spesso il laicismo e il secolarismo agnostico e ateo, cioè l’esclusione assoluta e totale di Dio e della legge morale naturale da tutti gli ambiti della vita umana. Si è relegata così la religione cristiana entro i confini della vita privata di ciascuno» (Giovanni Paolo II [1978-2005], Discorso ai partecipanti al III Forum Internazionale della Fondazione Alcide De Gasperi, del 23-2-2002; cfr. anche Benedetto XVI, Lettera enciclica «Spe salvi» sulla speranza cristiana, del 30-11-2007, nn. 16-23).
(5) Cfr. Giovanni Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Mondadori, Milano 2005.
(6) Cfr. Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009.
(7) «Già Paolo VI aveva riconosciuto e indicato l’orizzonte mondiale della questione sociale. Seguendolo su questa strada, oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell’uomo» (Benedetto XVI, Lettera enciclica «Caritas in Veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, cit., n. 75).
(8) Cfr. Censis, 41° Rapporto sulla situazione del Paese 2007, Franco Angeli, Milano 2007, e Idem, 51° Rapporto sulla situazione del Paese 2017, Franco Angeli, Milano 2017.
(9) Cfr. Jean-François Lyotard (1924-1998), La condizione postmoderna, 1979, trad. it., Feltrinelli, Milano 2004.
(10) «Se il cristiano è tenuto ad “ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali”, egli è ugualmente chiamato a dissentire da una concezione del pluralismo in chiave di relativismo morale, nociva per la stessa vita democratica, la quale ha bisogno di fondamenti veri e solidi, vale a dire, di principi etici che per la loro natura e per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono “negoziabili”» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, del 24-11-2002, n. 3).
(11) Giovanni Paolo II, Discorso alla Chiesa italiana per la celebrazione del III Convegno ecclesiale, del 23-11-1995.
(12) Idem, Discorso al Convegno della Chiesa italiana, Loreto, dell’11-4-1985.
(13) «[…] il rinnovamento nell’impegno sociale e politico dei cattolici va sviluppato coerentemente a ogni livello, superando le intolleranze reciproche e le tendenze a dividersi e aprendo a spazi adeguati a persone, competenze ed energie nuove. Queste a loro volta sono chiamate a non sottrarsi alle loro responsabilità, specialmente ora quando il bisogno è più grande e minori appaiono le lusinghe di vantaggi personali. L’impegno sociale e politico va d’altronde costantemente accompagnato da un’opera di formazione spirituale e morale che valga a prevenire il distacco tra la fede professata e l’esperienza di vita. E può svolgersi fruttuosamente solo in presenza di un più vasto lavoro culturale, che costituisce lo spazio entro cui matura il consenso intorno ai valori e alle vie della loro realizzazione» (Card. Camillo Ruini, Prolusione alla XXXVI Assemblea Generale della Conferenza Episcopale italiana, Collevalenza, 26-10-1992, in Idem, Chiesa del nostro tempo. Prolusioni 1991-1996, Piemme, Casale Monferrato, 1996, pp. 142-143). E ancora: «Si è infatti praticamente conclusa l’esperienza di una presenza unitaria organizzata in ambito politico […]. Per mantenere nella nuova situazione la rilevanza sociale e pubblica della fede è necessaria anzitutto la comune adesione ai contenuti dell’antropologia e dell’etica cristiana, espressi nella dottrina sociale della Chiesa e riguardanti in concreto la persona e la famiglia, la vita e la bioetica, l’educazione e la scuola, la libertà e la giustizia, l’economia e il lavoro, i rapporti tra lo Stato e i corpi sociali intermedi, la pace e la solidarietà nazionale e internazionale, con le conseguenti responsabilità dell’Italia in Europa e nel mondo» (Idem, Prolusione alla XL Assemblea Generale della Conferenza Episcopale italiana, ibid., pp. 343-344).
(14) «Mi esprimo al riguardo con la duplice preoccupazione di non dare spazio ad alcuna confusione tra la Chiesa e la comunità politica, che sarebbe nociva anzitutto per l’evangelizzazione, e d’altro lato di non cedere alle tendenze che conducono alla privatizzazione della fede e finalmente alla sua irrilevanza per la vita concreta, anche qui con esiti perniciosi per l’evangelizzazione […]. Sarebbe del resto assai strano che, quando tanti si pronunciano sulle forme che dovrebbe prendere l’impegno dei cattolici, soltanto i Vescovi rimanessero assenti e silenziosi, essi che hanno certamente in proposito una competenza e una responsabilità loro proprie. Guardando in concreto ai problemi recentemente sollevati, occorre chiarire anzitutto che la difesa della democrazia e della libertà politica è certamente un obiettivo dell’impegno dei cattolici, ma non è affatto il solo; è, per meglio dire, la condizione previa affinché i cristiani possano liberamente e pubblicamente impegnarsi “a far sì che le strutture sociali siano o tornino ad essere sempre più rispettose di quei valori etici, in cui si rispecchia la piena verità sull’uomo”, come ha sottolineato il Santo Padre nel suo discorso al Convegno di Loreto» (Idem, Prolusione al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale italiana, Roma 23-9-1991, ibid., pp. 61-62).
(15) L’espressione «cattolicesimo adulto» venne utilizzata dall’on. Romano Prodi — presidente del Consiglio dal 1996 al 1998 e dal 2006 al 2008, nonché creatore della formula politica denominata «L’Ulivo», che sanciva la definitiva alleanza fra cattolicesimo democratico e le forze post-comuniste e radicali — proprio per distinguersi dalla linea della CEI soprattutto in riferimento al referendum sulla legge n. 40 del 2004.
(16) Card. C. Ruini, «La Chiesa dialoghi con Salvini. I sacerdoti sposati? Un errore», intervista a cura di Aldo Cazzullo, in Corriere della Sera, Milano 3-11-2019.
(17) Cfr. Alfredo Mantovano, La guerra dei «Dico», Rubbettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 2007.
(18) Sulla natura del Progetto Culturale, cfr. Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, Progetto culturale orientato in senso cristiano. Una prima proposta di lavoro, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1997.
(19) Francesco, Discorso alla comunità Varginha (Brasile), del 25-7-2013.
(20) Altri atti del magistero di Papa Francesco sulle tematiche etiche sono: Discorso ai membri dell’eccellentissimo Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, del 13-1-2014; Discorso al Movimento per la Vita italiano, dell’11-4-2014; Discorso all’Ufficio internazionale cattolico per l’infanzia, 11-4-2014; Discorso ai partecipanti del Colloquio internazionale sulla complementarità tra l’uomo e la donna, promosso dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, del 17-11-2014; Discorso ai partecipanti all’incontro promosso dall’Associazione Scienza&Vita, del 30-5-2015; Discorso alla Federazione internazionale delle Associazioni di Medici Cattolici, del 28-5-2018; Discorso ai partecipanti al IV Seminario sull’Etica nella gestione della salute, del 1°-10-2018; Discorso alla Federazione Nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, del 20-9-2019; Messaggio per la XXVIII Giornata mondiale del malato, dell’11-2-2020.
(21) Cfr. Idem, Esortazione apostolica postsinodale «Amoris laetitia» ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate, agli sposi cristiani e a tutti i fedeli laici, sull’amore nella famiglia, del 19-3-2016, nn. 42, 48, 56, 83 e 179.
(22) Cfr. Idem, Lettera enciclica «Laudato si’» sulla cura della casa comune, del 24-5-2015, nn. 120-123.
(23) Cfr. Idem, Esortazione apostolica postsinodale «Christus vivit» ai giovani e a tutto il Popolo di Dio, del 25-3-2019, nn. 34 e 78.
(24) Cfr. Idem, Lettera enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità e l’amicizia sociale, del 3-10-2020, nn. 208-210.
(25) Idem, Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24-11-2013, n. 205.
(26) Sul tema cfr. il convegno nazionale, organizzato da Alleanza Cattolica e dal Comitato Difendiamo i Nostri Figli, Oltre l’inverno demografico. Impegni per la prossima Legislatura, svoltosi a Roma il 27 gennaio 2018; una cronaca in «Oltre l’inverno demografico». Roma, 27 gennaio 2018, in Cristianità, anno XLVI, n. 389, gennaio-febbraio 2018, pp. 49-52.
(27) CENSIS, 52° Rapporto sulla situazione del Paese-2018, Franco Angeli, Milano 2018, p. 3.
(28) Cfr. Benedetto XVI, Discorso «Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni» in occasione dell’incontro con i rappresentanti della scienza nell’Aula Magna dell’università di Regensburg, del 12-9-2006.
(29) Cfr. Francesco, Meditazione mattutina nella Cappella della Domus Sanctae Marthae «Oltre i formalismi», del 1°-4-2014.
(30) Idem, Lettera enciclica «Lumen fidei» sulla fede, del 29-6-2013, n. 27.
(31) Card. C. Ruini, intervista cit.
(32) «Non condivido l’immagine tutta negativa di Salvini che viene proposta in alcuni ambienti. Penso che abbia notevoli prospettive davanti a sé; e che però abbia bisogno di maturare sotto vari aspetti. Il dialogo con lui mi sembra pertanto doveroso, anche se personalmente non lo conosco e quindi il mio discorso rimane un po’ astratto. Sui migranti vale per Salvini, come per ciascuno di noi, la parola del Vangelo sull’amore del prossimo; senza per questo sottovalutare i problemi che oggi le migrazioni comportano» (ibidem).
(33) Ibidem.
(34) Johan Huizinga, La crisi della civiltà, 1935, trad. it., PGRECO, Milano 2012, p. 11.
(35) Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti della cultura nel Collège des Bernardins a Parigi, del 12-9-2008.