Giovanni Codevilla, Cristianità n. 405 (2020)
1. L’aggettivo besprizornyj, che letteralmente significa privo di sorveglianza (prizor), privo di controllo (beznadzornyj), è sinonimo di abbandonato (zabrošennyj) e di senza casa (bezdomnyj), termini tutti che troviamo frequentemente nella normativa e nella pubblicistica degli anni 1920 e 1930, assieme a quello di obezdolennyj (diseredato), riferiti ai minori abbandonati a sé stessi, privi d’ogni conforto familiare o sociale e di ogni mezzo di sostentamento e dediti a una criminalità abituale e spietata.
Il fenomeno è una delle conseguenze delle fughe di massa durante la guerra, quando, secondo la stima di Vladimir Zenzinov (1880-1953) (1), nel 1916 il numero dei profughi sale a quattro o cinque milioni e quello dei minori abbandonati a circa 50.000.
Il dramma dell’infanzia abbandonata esplode in epoca sovietica, generato dal Terrore Rosso, dalla disgregazione della famiglia favorita dalla nuova legislazione rivoluzionaria e da una politica giudiziaria caratterizzata da arresti di massa e da un numero incredibile di condanne a morte, spesso inflitte per motivi inesistenti o banali (2), e, infine, dalla guerra civile che dilania il Paese e dalla prima grande carestia del 1921-1923 che porta perfino alla diffusione del cannibalismo (3). I besprizorniki sono anche la conseguenza di un sistema scolastico inefficiente e incapace di accogliere l’infanzia e del fallimento dell’«educazione sociale dei figli», lucidamente previsto da coloro che la dottrina bolscevica del tempo qualifica come «filistei borghesi», in omaggio a una dialettica che, a corto di motivazioni, ricorre all’insulto in sostituzione dell’argomentazione. Orbene, il «filisteo»Moisej Matveevič Rubinštejn (1880-1953) scrive, ancora nel 1918, che l’educazione sociale «[…] è la mortificazione del fattore vivo e personale, impregnato di una gamma complessa di sentimenti parentali e fondati sulle loro emozioni» e aggiunge che, «privata del calore del sentimento delle relazioni parentali, l’educazione sociale può condurre facilmente all’atomizzazione ed allo smembramento degli uomini» (4).
La storia darà ragione a Rubinštejn.
I besprizorniki sono fanciulli abbandonati dai genitori per mancanza di cibo o figli di persone uccise o arrestate, oppure che decidono di fuggire dalle loro case alla ricerca disperata della sopravvivenza. Scappano anche dagli orfanotrofi, nei quali, oltre a patire fame e freddo e condizioni igieniche inenarrabili, subiscono le angherie di altri minori aggressivi e rabbiosi. Sottrattisi alla totale indifferenza dei sorveglianti che dovrebbero educarli, si dedicano al furto, alla violenza, all’omicidio, alla prostituzione e all’uso di stupefacenti.
Alle indicibili condizioni di vita dei besprizornye gli studiosiitaliani dedicano uno spazio pressoché nullo, a differenza di quanto è avvenuto in altri Paesi, allora (5) e oggi (6).
Questo vuoto viene colmato da Luciano Mecacci, già ordinario di Psicologia Generale nell’Università di Firenze, profondo conoscitore della realtà sovietica: egli, infatti, aveva avuto modo di approfondire la conoscenza del problema dell’infanzia abbandonata, soggiornando in Unione Sovietica (URSS) negli anni 1972-1978 e studiando il progetto socio-pedagogico di Anton Semënovič Makarenko (1888-1939) nonché seguendo le ricerche di Lev Semënovič Vygockij (1896-1934) e Aleksandr Romanovič Lurija (1902-1977) (7). La sua ricerca muove quindi da una solidissima base e da una lunga esperienza di metodologia scientifica. Il risultato non poteva essere migliore, così da poter affermare che per la completezza dell’informazione, per il rigore e la dovizia delle citazioni, sempre massimamente puntuali, questo studio permette al lettore di conoscere, anche sul piano emotivo, uno dei problemi fondamentali del mondo sovietico degli anni 1920 e 1930, unitamente a quelli abitualmente trascurati da una pubblicistica ispirata al criterio del politically correct, come quello del cannibalismo che ha colpito l’Unione Sovietica soprattutto durante la prima grande carestia, ma anche successivamente o come gli orrori commessi dai collaboratori di quella Čeka,definiti«gloriosi»(slavnye čekisty): ancora ai giorni nostri il presidente Vladimir Vladimirovič Putin (8) non esita a ripetere che «non vi sono ex cekisti», a sottolineare il ruolo positivo svolto dalla polizia politica, dai cui ranghi egli stesso proviene.
2. La rapida crescita del numero di questi derelitti non viene arginata dalla generosa attività svolta dalla Lega per la Salvezza dei Bambini (Liga spasenija detej), fondata nell’autunno 1918 (9), che riesce a organizzare in breve tempo quattordici colonie e un sanatorio nei pressi di Mosca, oltre a circoli per la correzione dei bambini più irrequieti, come pure alcuni giardini d’infanzia, e che rimane attiva fino alla primavera del 1920, quando inizia il conflitto con le autorità sovietiche.
In contemporanea con la nascita della Lega viene costituito, con ordinanza del Soviet dei Commissari del Popolo del 4 gennaio 1919 (10), il soviet per la difesa dei bambini (Sovet zaščity detej), di orientamento bolscevico. La rilevanza del fenomeno dell’infanzia abbandonata e criminale assume proporzioni crescenti e semina il terrore nelle città dell’Unione Sovietica.
All’inizio del potere sovietico il problema della delinquenza minorile, ereditato dall’ancien régime e certamente aggravato dagli eventi bellici e dagli altri fattori sopra menzionati, non ha ancora assunto proporzioni tali da allarmare il legislatore, il quale, peraltro, si vede ben presto costretto ad adottare provvedimenti draconiani.
Infatti, un decreto del Soviet dei Commissari del Popolo del 14 gennaio 1918 (11), oltre a creare delle speciali commissioni per i minori, abolisce i tribunali dei minorenni e organizza ricoveri e colonie correzionali affidate alla competenza del Commissariato del Popolo per la Previdenza Statale, presso il quale viene costituita una speciale sezione per i minori.
Il 25 maggio 1918 il Congresso della Giustizia della Siberia, degli Urali e del Turkestan approva la normativa sulle commissioni per i minori per giudicare i reati da essi commessi e il Regolamento sulle Colonie minorili, ora affidate alla competenza del Commissariato del Popolo per la Giustizia (12).
Il citato decreto del 14 gennaio dichiara penalmente non responsabili i giovani fino al compimento del diciassettesimo anno, mentre per i giovani di età superiore condannati alla privazione della libertà l’Istruzione Provvisoria del Commissariato del Popolo per la Giustizia prevede la creazione di riformatori e di colonie rurali (13).
Il primo riformatorio, la Matrosskaja Tišina, viene organizzato a Sokol’niki, alla periferia di Mosca nelle foreste in cui la famiglia imperiale praticava la caccia con il falcone (14), ma è destinato a sopravvivere solo pochi mesi, fino al novembre 1919. Lo statuto del riformatorio, elaborato dal Commissariato del Popolo per la Giustizia, insiste sulla necessità di evitare la reclusione dei giovani nelle prigioni, viste come apparati «antiquati», e propone il ricorso a mezzi sociali di rieducazione nella lotta contro la criminalità. Lo statuto, altresì, si pone l’obiettivo di trasferire i giovani reclusi in età fra i 17 e i 21 anni in speciali istituti scolastici di rieducazione (15).
I Princìpi Direttivi del Diritto penale del 12 dicembre 1919 (16) e il decreto del Soviet dei Commissari del popolo del 4 marzo 1920 (17) istituiscono due tipi di case per i minori privati della libertà: le Case di Lavoro (Trudovye doma), che si trovano nelle aree urbane, e le Colonie di Lavoro (Trudovye kolonii), organizzate nelle aree extra urbane.
Viene, inoltre, ristabilita la responsabilità penale per i minori fra i 14 e i 18 anni e si afferma la necessità dell’applicazione di una sanzione penale qualora le misure di carattere pedagogico si rivelino insufficienti. Peraltro, il progetto della polizia politica diretta da Feliks Dzeržinskij (1877-1926) di relegare l’infanzia abbandonata in speciali istituti sarà destinato al fallimento: i besprizorniki si daranno alla fuga, girovagando per l’immenso Paese, vestiti di stracci, vivendo nella lordura di asili di fortuna e dando vita a una peculiare associazione con le sue regole criminali, dedita al furto, al delitto, alla prostituzione e al consumo di droga.
Il Codice Penale della Repubblica Socialista Federativa Sovietica di Russia(RSFSR) del 1922 (18) fissa il limite di imputabilità al compimento del quattordicesimo anno, età elevata a 16 anni «[…] nei confronti di quei minori per i quali si ritiene possibile limitarsi a misure di influenza medico-pedagogica» (art. 18), norma ripresa dal Codice del 1926 (art. 12), peraltro modificata dall’ordinanza del Comitato Esecutivo Centrale di Tutta la Russia del 30 ottobre 1929, che fissa l’età per l’imputabilità a sedici anni, disponendo che nei confronti dei minori fra i 14 e i 16 anni le commissioni per i problemi dei minorenni applichino misure di difesa sociale di carattere medico-pedagogico.
Accanto alle due strutture organizzative per i minori dediti alla criminalità (Case di Lavoro e Colonie di Lavoro) vengono istituite, alle dipendenze del Commissariato del Popolo per l’Istruzione e non già di quello per la Giustizia, anche speciali colonie infantili (19), comuni di lavoro e istituti di educazione al lavoro per adolescenti particolarmente difficili.
È significativo notare che le commissioni per i minori, nell’assegnare i giovani a questi istituti, non stabiliscono la durata della loro permanenza, che di fatto si protrae a discrezione dei dirigenti delle colonie stesse.
Tutte queste misure, peraltro, si dimostrano inefficaci a evitare la crescita drammatica dei minori abbandonati e della conseguente criminalità minorile. Nel 1923 Nadežda Konstantinovna Krupskaja (1869-1939), moglie di Lenin e pedagogista, che attribuisce l’esistenza dell’infanzia abbandonata alla politica zarista, dichiara che «il numero dei bambini abbandonati registrati presso di noi è di sette milioni e, di questi, ottocentomila al massimo sono alloggiati in case per bambini» (20). Ciò significa che nel Paese vi è in media un besprizornik ogni venti abitanti, percentuale che, tuttavia, risulta assai più elevata nelle città, dove maggiore è la concentrazione di questi derelitti.
L’estensione e la gravità del fenomeno sono tali che nel 1924 viene attivato un fondo speciale — operativo fino al 1938 —, intitolato a Lenin, destinato a soccorrere l’infanzia abbandonata.
Il Codice del Lavoro Correttivo (I.T.K.) del 1924 (21) prevede l’invio in case di lavoro dei giovani besprizorniki fra i 14 e i 16 anni e istituisce, in nome della giustizia di classe, speciali istituti per i minori che appartengono alla gioventù operaia e contadina, nei quali accogliere i «[…] detenuti condannati alla privazione della libertà che abbiano un’età tra i 16 ed i 20 anni, se essi, provenendo dagli strati lavorativi della popolazione e non essendo delinquenti recidivi, hanno commesso dei reati a seguito di scarsa consapevolezza, di necessità, oppure casualmente» (art. 189).
Al fine di arginare la delinquenza minorile vengono anche istituite comuni di lavoro alle dipendenze della polizia politica (OGPU) (22) e scuole di tirocinio al lavoro (FZU) (23) affidate alla competenza della Direzione Generale degli Istituti di Lavoro Correttivo (24) del Commissariato del Popolo per la Giustizia, alle quali si affiancano, dal 1928, le varie scuole del FZU, tra cui quelle speciali a partire dal 1931 (osobogo tipa), che si distinguono in «chiuse», «semichiuse» e «aperte», a seconda del regime disciplinare in esse instaurato.
Negli istituti correzionali vige il massimo rigore, soprattutto in quelli «chiusi». Afferma Nikolaj Alexandrovič Semaško (1874-1949), presidente della Commissione per l’Infanzia (Detkomissija) presso il Comitato Esecutivo Centrale di Tutta la Russia: «Prima di tutto bisogna stabilire in maniera molto chiara, senza alcuna esitazione e senza nulla tacere, che gli istituti per questi tipi di ragazzi di strada (detej ulicy) devono differenziarsi per il regime speciale. Le basi di questo regime sono la durezza (tverdost’) e la disciplina. La strada ha crudamente mutato la personalità di questi bambini e senza stampelle per un primo tempo essi non cammineranno. La disciplina, l’ordine e il regime duro svolgono le funzioni di queste stampelle temporanee e danno la possibilità di esercitare gli organi utili. Della possibilità di fuga non si deve neppure parlare» (25).
Nel 1927 viene creata una nuova commissione, incaricata di studiare il problema e viene anche redatto un piano triennale per combattere il drammatico fenomeno dell’infanzia randagia (26). Tuttavia, il regime sovietico non riesce a debellare e neppure a contenere la besprizornost’, per cui decide di ricorrere, con«tempi bolscevichi», all’adozione di misure estreme applicate con criteri draconiani.
Mi riferisco, in particolare, all’Ordinanza del Comitato Esecutivo Centrale e del Soviet dei Commissari del Popolo dell’URSS del 7 aprile 1935 (27) dal titolo Delle misure della lotta contro la criminalità dei minorenni (28), che riduce il limite di imputabilità a dodici anni (29), abroga tacitamente alcune norme penali che concedono benefici ai minori (30) e avvia la liquidazione della besprizornost’.
Recita l’ordinanza:
«Al fine di una sollecita liquidazione della criminalità minorile il Comitato Esecutivo Centrale e il Soviet dei Commissari del popolo dell’URSS deliberano:
1. I minorenni che hanno compiuto dodici anni di età, rei di aver commesso: furto, stupro, lesioni, mutilazioni, omicidio e tentativo di omicidio, vengono tradotti davanti al Tribunale penale con l’applicazione delle ordinarie misure di punizione penale.
2. Le persone che istigano o inducono minori a commettere i reati sopra menzionati o li costringono alla speculazione, accattonaggio, prostituzione, eccetera, sono punite con la reclusione per un periodo non inferiore a cinque anni.
3. L’art. 8 dei Princìpi fondamentali della legislazione penale dell’URSS e delle Repubbliche Federate è abrogato.
4. I governi delle Repubbliche Federate devono modificare la propria legislazione penale in conformità con la presente ordinanza» (31).
Per i reati menzionati al punto 1 il legislatore non solo riduce il limite di imputabilità a dodici anni, ma, altresì, sottrae il minore, senza alcuna eccezione, alla competenza delle Commissioni per i problemi dei minorenni, deferendolo al Tribunale penale ordinario.
Alcuni autori hanno ritenuto che, stante la mancanza di un’esplicita abrogazione degli artt. 22 (che prevede un’età minima di 18 anni per la fucilazione) e 35 del Codice penale (che, nella redazione dell’ordinanza del 20 maggio 1930 (32), pone il divieto di comminare la pena del confino ai minori di anni sedici) ai colpevoli dei reati menzionati al punto 1) non poteva essere comminata né la pena di morte, né il confino (33).
Peraltro, questa affermazione viene smentita da Anatolij Valentinovič Naumov, titolare della cattedra di Diritto penale presso la Scuola Superiore della Milizia del ministero per gli Affari Interni dell’URSS, il quale afferma, nella più autorevole rivista giuridica sovietica, che in forza dell’ordinanza 7 aprile 1935 «per una serie di reati, tra cui il furto, veniva stabilita la responsabilità penale a partire dall’età di dodici anni ed inoltre ai fanciulli si estendevano tutte le misure di punizione penale, tra cui la pena di morte» (34).
Una circolare «assolutamente segreta»del 20 aprile 1935, indirizzata agli organi della Prokuratura e ai giudici dell’URSS, conferma la legittimità di infliggere la pena di morte ai fanciulli che hanno compiuto il dodicesimo anno (punto 1) (35).
Viene anche disposto il ritiro dalla circolazione degli scritti che affrontano o menzionano il problema della criminalità infantile.
Giova qui sottolineare che la subordinazione del diritto alla politica, la frequente e indiscriminata applicazione del principio analogico nel diritto penale e l’amministrazione della giustizia affidata a persone spesso prive di cultura giuridica e sensibili esclusivamente al comando partitico, anche per il timore di finire essi stessi vittime del sistema terroristico instaurato, portano ad applicazioni abnormi dell’ordinanza, al punto che, a pochi giorni dalla sua approvazione, in data 16 aprile 1935, si rende necessaria l’emanazione di un nuovo provvedimento — cfr. Della applicazione della legge 7 aprile 1935 —; in esso si denuncia, come ricorda Napolitano, che «malgrado la tassativa elencazione nel testo della legge di quelle categorie di delitti per i quali soltanto deve intendersi abbassato il limite della imputabilità penale, vengono tratti a giudizio ragazzi dai 12 ai 14 anni per i più svariati delitti, quali, ad esempio, quelli previsti dagli artt. 154/a (pederastia), 79 (danneggiamento di beni pubblici), 74, seconda parte (schiamazzi, offese alla decenza) e 169 (truffa)» (36).
Vero è che l’ordinanza del 7 aprile non colpisce soltanto i besprizorniki, ma tutti i minori, e in particolare i figli dei contadini, che, spinti dalla fame, mandano i figli a spigolare (37).
Questi provvedimenti vengono adottati in un momento caratterizzato dal terrore più feroce: basterà ricordare che in precedenza il Comitato Esecutivo Centrale e il Soviet dei Commissari del popolo dell’URSS avevano approvato la famigerata ordinanza Della Conferenza speciale presso il Commissariato del popolo per gli Affari Interni dell’URSS (38), la quale, estendendo il disposto dell’art. 22 dei Princìpi fondamentali di legislazione penale del 1924 — che prevedeva la possibilità di inviare al confino o in esilio (ssylka e vysylka) non solo le persone condannate per un reato concreto, ma anche quelle riconosciute socialmente pericolose «per relazione con l’ambiente criminale in una data località» — autorizza il tribunale a comminare la condanna alla reclusione ovvero ai lavori forzati fino a cinque anni nei confronti delle persone socialmente pericolose, ancorché non abbiano commesso alcun reato (39).
L’ordinanza 7 aprile 1935 denuncia anche la carenza delle istituzioni incaricate di prendersi cura della riabilitazione dei giovani.
Non a caso, del problema, che in quel periodo assume dimensioni incredibili, si occupa anche il partito in un’ordinanza, emanata congiuntamente con il Soviet dei Commissari del popolo, del 31 maggio 1935, «Della liquidazione dell’infanzia abbandonata e trascurata» (40), che dedica un’intera sezione al «miglioramento delle condizioni delle case per bambini e delle colonie di lavoro», la cui direzione viene ora affidata al Commissariato del Popolo per gli Affari Interni (NKVD).
L’ordinanza del maggio del 1935 istituisce presso le Colonie di lavoro i reparti di isolamento (Štrafnye izoljatory) e crea i Centri di Accoglienza e di Smistamento (DPR: Detskie Priemniki Raspredeliteli) ai quali vengono indirizzati i besprizorniki, successivamente inviati nelle case per bambini del Commissariato del Popolo per l’Istruzione (quelli di età inferiore ai 14 anni), negli Istituti del Commissariato del Popolo per la Sanità (quelli affetti da malattie), nelle Colonie di Lavoro (quelli di età compresa fra i 14 e i 16 anni) e nelle Case Speciali della Sicurezza Sociale (quelli invalidi).
La legge del 7 aprile segna l’inizio della mattanza dei besprizorniki, dei quali le statistiche sovietiche per ordine del partito non si occupano già dal 1925. I sopravvissuti, come quelli rinchiusi nella colonia di Bolševo, nei pressi di Mosca, saranno fucilati nel 1938 nel poligono di Butovo, mentre altri saranno sacrificati aggregandoli alle truppe d’assalto nella guerra contro gli invasori nazionalsocialisti.
Anche fra questi diseredati le autorità comuniste operano una distinzione in base all’appartenenza confessionale o al semplice sospetto che essi mostrino il minimo interesse per la religione. Mecacci riferisce l’episodio dell’adolescente Ljubka, che viene cacciata dall’orfanotrofio per aver partecipato di nascosto a una funzione religiosa, violando le regole della gioventù comunista, e costretta per sopravvivere a imboccare la squallida strada della prostituzione minorile (41), fenomeno diffusissimo denunciato anche dalla stampa sovietica del tempo.
In conclusione, Besprizorniki è un libro che merita di essere letto e meditato e che non può mancare nelle scuole e nelle biblioteche, poiché presenta un quadro realistico del bolscevismo e del disastro antropologico da esso generato, basato su una documentazione completa e rigorosa, e demolisce l’ottimistica rappresentazione di quel tragico periodo sapientemente costruita da un’imponente e spregiudicata organizzazione propagandistica.
Note:
Cfr. Vladimir Zenzinov, Infanzia randagia nella Russia bolscevica, trad. it., Bietti, Milano 1930, p. 18.
(2) Sulle modalità di amministrazione della giustizia merita leggere un volumetto apprezzato da Vladimir Il’ič Ul’janov «Lenin» (1870-1924) e da Anatolij Vasil’evič Lunačarskij (1875-1933): Vladimir Zazubrin (1895-1938), La scheggia, trad. it., Adelphi, Milano 2013, dal quale è tratto il film Čekist di Aleksandr Rogožkin, Troickij Most, Mosca 1991.
(3) Si veda in proposito la Pravda del 27 gennaio 1922, che riferisce della diffusione del cannibalismo nelle zone affamate e il contributo di Evgenij Žirnov, in Kommersant” vlast’, n. 3, del 23 gennaio 2012, p. 48, il quale, nell’articolo Ha preso il cadavere del ragazzo di 7 anni, lo ha tagliato in piccoli pezzi con un’ascia e lo ha cucinato,ricorda che il 30 gennaio 1922 il Politbjuro del Partito comunista russo vieta la pubblicazione di articoli che riferiscano del cannibalismo di massa, nelle forme di antropofagia (ljudoedstvo) e di consumo di cadaveri (trupoedstvo). Il fenomeno assume tale gravità da costringere le autorità a chiudere i cimiteri per evitare che le salme tumulate da poco vengano dissotterrate e mangiate. Sull’argomento, cfr. Mons. Michel[-Joseph Bourguignon] D’Herbigny S.J. (1880-1957), L’aide pontificale aux enfants affamés de Russie (Aiuto pontificio ai bambini affamati della Russia), in Orientalia Christiana, vol. IV, 1, n. 14, aprile-maggio 1925, p. 21 e ss. Merita ricordare che lo stesso Lenin, nella lettera a Vjačeslav Michajlovič Skrjabin «Molotov» (1890-1986) del 19 marzo 1922 sui fatti di Šuja — città della Russia europea centrale nell’oblast’ di Ivanovo — scrive: «Proprio ora e soltanto ora, quando nelle località affamate si mangia carne umana e sulle strade giacciono centinaia, se non migliaia di cadaveri, noi possiamo (e per questo dobbiamo) effettuare la requisizione dei preziosi della chiesa con l’energia più furiosa e spietata, senza alcuna esitazione nel soffocare qualsiasi opposizione» (cit. nel mio Il terrore rosso nella Russia ortodossa (1917-1925), Jaca Book, Milano 2019, p. 102).
(4) Cfr. Moisej Matveevič Rubinštejn, Obščestvennoe ili Semejnoe vospitanie?, Zadruga, Mosca 1918, p. 41.
(5) Si possono ricordare, oltre al pregevole e fondamentale studio Infanzia randagia nella Russia bolscevica di Zenzinov, già menzionato, l’opera del console belga Joseph Douillet (1878-1954), Moscou sans voiles: neuf ans de travail au pays des Soviets, Spes, Paris 1928; Sergej Petrovič Mel’gunov (1879-1956), Il terrore rosso in Russia (1918-1923), trad. it., a cura di Sergio Rapetti e Paolo Sensini, Jaca Book, Milano 2010, che riporta alle pp. 190 e 191 un ampio passo tratto dal libro di Sergej Semënovič Maslov (1887-1945), Rossija posle četyrëch let revoljucii, Russkaja Pressa, Parigi 1922, nel quale si descrivono le vessazioni subite dai besprizorniki alle Butyrki. Il tema è affrontato anche da Asja Lacis, Professione rivoluzionaria, a cura di Eugenia Casini-Ropa, prefazione di Fabrizio Cruciani (1942-1992), Feltrinelli, Milano 1976, p. 79; Walter Benjamin (1892-1940), Immagini di città, trad. it., Einaudi, Torino 1971, pp. 15-16; e, ancora, da Georges Simenon (1903-1989), Sergej Aleksandrovič Esenin (1895-1925), che li ricorda nei versi Papirosniki (venditori di sigarette) del 1923, Vladimir Vladimirovič Majakovskij (1893-1930), che nel 1926 scrive la poesia Besprizorniki, Aleksandr Solženicyn (1918-2008) nel suo Arcipelago Gulag, Boris Pasternak (1890-1960), Il’ja Erenburg (1891-1967) e altri, autori tutti citati da Mecacci. Il fenomeno non sfugge neppure a Joseph Roth (1894-1939), il quale ne riferisce nel suo Viaggio in Russia (trad. it., Adelphi, Milano 1981), del 1926 anche se, stranamente, questo autore appartiene alla schiera di coloro che non brillano nell’indagare la politica repressiva del bolscevismo. Egli nega, infatti, la cruenta persecuzione religiosa in atto da anni, quando afferma perentoriamente: «Tra la convinzione che la religione sia un veleno e un’attività che osteggia tutti coloro che producono e diffondono questo presunto veleno esiste una differenza: in effetti nella Russia sovietica la Chiesa non è perseguitata» (p. 95). Mecacci ricorda che Indro Montanelli (1909-2001), in una corrispondenza per il Corriere della sera scritta dal fronte finlandese nel luglio del 1942, si domanda se Iosif Vissarionovič Džugašvili «Stalin» (1878-1953), inviando al fronte i besprizorniki sopravvissuti all’eccidio del 1935, voglia approfittare di loro per vincere la guerra o per eliminarli definitivamente.
(6) Cfr. Alan M. Ball, And now my soul is hardened. Abandoned children in Soviet Russia 1918-1930, University of California Press, Berkeley 1994; Dorena Caroli, L’enfance abandonnée et délinquante dans la Russie soviétique (1917-1937), L’Harmattan, Paris 2004; e Andrej Slavko, Detskaja besprizornost’ v Rossii v pervoe desjatiletie sovetskoj vlasti, INION, Mosca 2005, che riporta importanti documenti d’archivio.
(7) Cfr. Luciano Mecacci, «Besprizornye». Bambini randagi nella Russia sovietica (1917-1935), Adelphi, Milano 2019.
(8) Byvšich sotrudnikov KGB ne byvaet, così nell’intervista rilasciata da Putin a Charlie Rouse, giornalista della CBS e PBS, nel sito web <https://www.gazeta.ru/politics/news/2015/09/28/n_7640819.shtml>.
(9) La Lega viene fondata da Ekaterina Dmitrievna Kuskova (1869-1958), Nikolaj Michajlovič Kiškin (1864-1930), Ekaterina Pavlovna Peškova (1887-1965) e Lev Aleksandrovič Tarasevič (1868-1927), nonché da personalità senza partito o appartenenti al partito «cadetto» e a quello socialista, ed è approvata dal Consiglio dei Commissari del Popolo e sostenuta dallo scrittore Vladimir Galaktionovič Korolenko (1853-1921). Non vi aderisce alcun rappresentante del partito bolscevico.
(10) Cfr. Sobranie uzakonenij i rasporjaženij rabočego i krest’janskogo pravitel’stva (Raccolta delle leggi e delle disposizioni della Repubblica Socialista Federativa Sovietica di Russia; di seguito SU RSFSR), del 10 febbraio 1919, n. 3, art. 32.
(11) Cfr. SU RSFSR, 1918, n. 16, art. 227, il decreto sarà abrogato dall’ordinanza del Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia (di seguito VCIK) e del Soviet dei Commissari del Popolo (di seguito SNK) del 25 gennaio 1928.
(12) Cfr. Materialy N. K. Ju., Mosca 1918, 3a ed., p. 50 e ss.
(13) Cfr. l’istruzione Della privazione della libertà come misura di punizione e delle modalità di scontarla, in SU RSFSR, 1918, n. 53, art. 598.
(14) Sokol significa falcone.
(15) Cfr. Pervyj Rossijskij Reformatorij, in Izvestija VCIK Sovetov, 11 giugno 1918, n. 114.
(16) Cfr. SU RSFSR, 1919. n. 66, art. 590.
(17) Cfr. Sulle cause relative ai minori accusati di atti socialmente pericolosi, ibid., 1920, n. 13, artt. 83 e 60 e in Izvestija VCIK, n. 51 del 6 marzo 1920.
(18) Cfr. ibid., 1922, n. 15, art. 153.
(19) Come quella di Poltava, diretta da Anton Semenovič Makarenko (1888-1939), il pedagogo sovietico che non avrà vita facile nell’URSS ed è noto anche in Italia per il suo Poema pedagogico, trad. it., Rinascita, Roma 1952, e per i Consigli ai genitori. L’educazione del bambino nella famiglia sovietica, trad. it., Tipografia dell’Orso,Roma 1952.
(20) Pravda, 1923, n. 51.
(21) Cfr. SU RSFSR, 1924, n. 86, art. 870.
(22) Trudovye Kommuny OGPU, i cui metodi operativi sono, per usare un eufemismo, particolarmente sbrigativi.
(23) FZU, Fabrično Zavodskoe Učeničestvo.
(24) GUITU, Glavnoe Upravlenie Ispravitel’no-Trudovych Učreždenij.
(25) Pravda, 24 aprile 1926.
(26) Cfr. SU RSFSR, 1927, n. 61, art. 422, e n. 65, art. 445. Sull’argomento cfr. Semen Sergeevič Tizanov e MoJseJ Solomonovič Epštejn, Gosudarstvo i obščestvennost’ v bor’be s detskoj besprizornost’ju, Moskva-Leningrad 1927; che riporta numerose disposizioni legislative; S. S. Tizanov, V. L. Švejcer, V. M. Vasil’eva, Detskaja besprizornost’ i detskij dom,NKP RSFSR Glavsocvos, Mosca 1926, che riporta anche gli interessanti materiali del II Congresso dello Spon (Social’no Pravovaja Ochrana Nesoveršennoletnich) di tutta la Russia; D.V. Gorvič, Bor’ba s besprizornost’ju i beznadzornost’ju detej v SSSR, in Sovetskoe Gosudarstvo i Pravo, 1940, n. 4-5, pp. 122-136, che analizza le disposizioni normative fino al 1936; Z. A. Astemirov, Trudovaja kolonija dlja nesoveršennoletnich, Jur. Lit., Moskva 1969; V. Zenzinov, Infanzia randagia nella Russia sovietica, cit.; Aleksandr Isaevič Solženicyn, Arcipelago Gulag, trad. it., 3 voll., Mondadori, Milano 1975, vol. 2, p. 450 e ss.
(27) Cfr. SU RSFSR, 1935, n. 3, art. 598.
(28) Cfr. Sobranie Zakonov (di seguito SZ SSSR), 1935, n. 19, art. 155; cfr. altresì Izvestija VCIK Sojuza SSR i VCIK, n. 81 dell’8 aprile 1935, testo italiano in Tomaso Napolitano, La politica criminale sovietica, Cedam, Padova 1936, p. 209 e ss.
(29) Il limite di età di dodici anni, assente nella bozza preparata dal procuratore generale dell’URSS Andrej Januar’evič Vyšinskij (1883-1954), è stato imposto da Stalin.
(30) Segnatamente: l’art. 22 del Codice penale della RSFSR (e analoghe disposizioni contenute nei codici delle altre Repubbliche), che vieta la condanna a morte per i minori di anni diciotto (nonché per le donne incinte);
– l’art. 48 sub h, che pone la minore età come circostanza attenuante del reato;
– l’art. 50, che, nella formulazione introdotta dall’ordinanza del Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia del 30 ottobre 1929, stabilisce che per i giovani fra i sedici e i diciotto anni la pena della reclusione o dei lavori forzati è ridotta di un terzo rispetto a quella applicabile a una persona maggiorenne e che in ogni caso essa non deve eccedere la metà della pena massima stabilita per il reato commesso, nel rispetto del disposto dell’art. 8 dei Princìpi fondamentali della legislazione penale del 31 gennaio 1924, articolo, non a caso, espressamente abrogato dall’ordinanza in esame (il Codice del 1926 praticava uno sconto di pena della metà per i giovani fra i 14 e i 16 anni e di un terzo per quelli fra i 16 e i 18 anni).
(31) L’ordinanza è sottoscritta dal presidente del Comitato Esecutivo Centrale dell’URSS, Michail Ivanovič Kalinin (1875-1946), dal presidente del Soviet dei Commissari del Popolo dell’URSS, Molotov, e dal segretario del Comitato Esecutivo Centrale dell’URSS, Ivan Alekseyevič Akulov (1888-1937).
(32) Cfr. SU RSFSR, 1930, n. 26, art. 344.
(33) Così T. Napolitano, op. cit., p. 211.
(34) Sovetskoe Gosudarstvo i Pravo, 1990, n. 1, p. 59.
(35) Cfr. Circolare n. 1/001537-30/002517, firmata dal procuratore dell’URSS Andrey Januar’evič Vyšinskij (1883-1954) e dal presidente del Tribunale Supremo dell’URSS Aleksandr Nikolaevič Vinokurov (1869-1944) (cfr. GA RF F.R- 8131, Op. 38, D. 6, L. 47a).
(36) T. Napolitano, op. cit., p. 212.
(37) Merita qui accennare all’ordinanza del Comitato Esecutivo Centrale e del Soviet dei Commissari del Popolo dell’URSS del 7 agosto 1932, nota come Legge 7 Agosto o Legge sette ottavi («Della salvaguardia dei beni delle aziende statali, dei kolchoz [le fattorie collettive] e delle cooperative e del rafforzamento della proprietà sociale (socialista)» (cfr. SU SSSR, 1932, n. 62, art. 360), nella quale si afferma che «[…] la proprietà sociale (statale, kolchoziana e cooperativa) è il fondamento del regime sovietico», che «[…] la lotta contro i dilapidatori del patrimonio pubblico è il primo dovere degli organi del potere sovietico» e che «[…] coloro che attentano alla proprietà sociale devono essere considerati nemici del popolo» e puniti con la «suprema misura di difesa sociale: la fucilazione con la confisca di tutti i beni»; in presenza di circostanze attenuanti la pena consiste nella privazione della libertà per un periodo non inferiore a dieci anni con la confisca dei beni. Questa ordinanza viene applicata con molta frequenza in quegli anni e spesso in modo del tutto arbitrario a scopo puramente repressivo (cfr. Istorija sovetskogo gosudarstva i prava, a cura di A.P. Kocicyn, 3 voll., Nauka, Mosca 1968, vol. II, p. 588 e fonti citate), a colpire i reati contro la proprietà socialista commessi soprattutto dai contadini ridotti alla fame. Si tratta delle famigerate condanne «per spigolatura» (za koloski). Secondo le fonti ufficiali sovietiche nel periodo 7 agosto-31 dicembre 1932 il numero dei condannati in base a queste disposizioni ammonta a 54.645 (cfr. Pravda, 16 settembre 1988). I contadini, per evitare la condanna prevista per i furti a danno del patrimonio collettivo, mandano i figli minori a spigolare (cfr. A.V. Naumov, in Sovetskoe Gosudarstvo i Pravo, 1990, n. 1, p. 59), dal momento che, in base all’art. 22 del Codice Penale, questi non possono essere sottoposti alla fucilazione e l’età costituisce, comunque, una circostanza attenuante (ex art. 48 sub h). Per evitare che le disposizioni a tutela della proprietà statale e cooperativa vengano in tal modo aggirate, il legislatore emana l’ordinanza 7 aprile 1935, della quale si riferisce sopra. La Legge 7 Agosto rimane in vigore fino al primo dopoguerra e viene abrogata da una norma che ne attenua il tremendo rigore: ci riferiamo al decreto del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS del 4 giugno 1947 «Della responsabilità penale per l’appropriazione (chiščenie) di beni statali e sociali» (cfr. VVS SSSR, 1947, n. 19), che prevede per il «furto [kraža], l’impossessamento [prisvoenie] o lo spreco [rastrata] o altra appropriazione» di beni statali, la condanna al lager per i lavori correttivi da sette a dieci anni, con o senza la confisca dei beni (art. 1; da cinque ad otto anni nel caso in cui il reato riguardi i beni di un kolchoz, di una cooperativa o di proprietà sociale: art. 3).
(38) Cfr. SZ SSSR, 1935, n. 11, art. 84.
(39) Giustamente afferma Naumov: «Questa concezione dei fondamenti della responsabilità penale ha alleggerito in modo sostanziale i compiti degli accusatori e dei giudici nei processi pubblici e segreti dell’anteguerra e del dopoguerra, sterminando la crema della società e conferendo a tali processi l’aspetto della legalità» (Ugolovnyj zakon i prava čeloveka, in Sovetskoe Gosudarstvo i Pravo, 1990, n. 1, p. 58).
(40) Cfr. SZ SSSR, 1935, n. 32, art. 252.
(41) Cfr. L. Mecacci, op. cit., p. 162.