V domenica di Pasqua
(At 9,26 – 31; Salmo 21; 1Gv 3,18 – 24; Gv 15,1 – 8)
La vite, in Palestina, era ed è ancora oggi una delle piante da frutto più coltivate. La Terra promessa era descritta come ricca di grappoli ubertosi, ad indicare la “campagna grassa” che Dio prometteva al suo popolo. Gli esploratori che Mosè inviò quando il popolo ebraico era, ormai, in procinto di entrare in Canaan, tornarono con un enorme grappolo d’uva, portato sulle spalle con una pertica. Viaggiando in Palestina, anche oggi si possono vedere grandi vigneti tra Betlemme ed Ebron, che sono caratteristici perché hanno la pianta piegata al suolo. Tralci, foglie e grappoli si trovano a diretto contatto con il suolo per essere meglio irrigati dall’abbondantissima rugiada che cade al mattino, nei mesi estivi (da maggio a settembre), quando la siccità fa da padrona in quella terra. Siccità e caldo intenso vengono leniti da una rugiada molto più copiosa che da noi. Quindi, senza pioggia si può sopravvivere, ma senza rugiada no. Ecco perché nella Scrittura la parola “rugiada” precede la pioggia quale fenomeno meteorologico essenziale (2Sam 1,21) e viene citata più volte nella nuova edizione del Messale Romano.
Predicando per le strade e i villaggi, dalla Galilea alla Giudea, quante volte Gesù e i suoi discepoli avranno osservato queste vigne! Il Salvatore stesso fa più volte riferimento alla figura della vigna per esporre le sue parabole. L’analogia più importante, presente in questo brano, è che noi siamo uniti a Gesù come un tralcio è unito alla vite, cioè con la stessa profondità vitale. Nei tralci uniti alla vite scorre la stessa linfa. Non si potrebbe pensare a nulla di più intimo: la linfa è la vita stessa di Dio, versata in noi con il Battesimo. E’ un’unione più essenziale di quella che unisce un bimbo alla madre attraverso il cordone ombelicale, perché ad un certo punto il nascituro si deve distaccare dal corpo materno, venendo alla luce, mentre il tralcio, se si stacca dalla vite, non porta frutto e muore.
Gesù prospetta due soli destini al tralcio. Il primo è negativo: è il tralcio secco, non porta frutto e viene gettato via; il secondo è positivo: nella sua vitalità, il tralcio buono viene governato con la potatura e produce frutti in abbondanza. Basti osservare una vite selvatica che cresce fra i cespugli, allungandosi come può qua e là, senza però riuscire mai a diventare un ceppo solido e a produrre grappoli d’uva. E’un’immagine della vita umana sradicata da Dio, perciò priva di frutti. A prima vista appare molto vitale. I rami si allungano rapidamente, si arrampicano sopra ad ogni cespuglio, con grandi foglie verdeggianti, ma i frutti sono abortiti. Quando arriva l’autunno, le foglie della vite selvatica cadono e tutto si spegne, senza alcun frutto. Quante esistenze percorrono questa parabola piena di illusioni, ma sterile quanto a risultati duraturi!
Chi ha un po’ di pratica con la viticoltura, sa che innestando un ramo selvatico su una vite buona, esso viene subito percorso da un’altra linfa. Produce foglie meno appariscenti, ma origina piccoli grappoli che perseverano nella crescita, fino a sembrare esagerati per un tralcio così piccolo. Così è della nostra vita, cari amici, se viene inserita nella vite vera che è Gesù Cristo. Può un tralcio essere indipendente? Noi non siamo alberi, ma rami. Non possediamo la libertà e l’autonomia di Dio, ma quelle delle creature, che non si danno l’essere da se stesse ed hanno un potere limitato sulla loro vita: non decidiamo né quando, né come nascere; la vita è data e tolta senza che ci sia chiesto alcun parere. Se le conseguenze non fossero tragiche, verrebbe da sorridere innanzi alla sicurezza tragicomica di certe persone, che non riescono a riconoscere i propri limiti. Siamo dei tralci, semplicemente dei tralci, che vivono e crescono solo se uniti alla Vite.
Il tralcio vivo e vegeto viene potato, perché porti tutti i frutti di cui è capace. Questa è l’opera del vignaiolo, che ha fiducia nel tralcio, anche se l’operazione non è, lì per lì, simpatica da accettare. La medesima cosa accade ad ognuno di noi, quando sul piano spirituale Dio interviene con la croce.
E’ una presenza concreta dell’amore paterno di Dio: «Il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio»(Eb 12,6).
Quando il vignaiolo fa “piangere la vite”, svolge una mansione assai importante e indispensabile.
Senza questa operazione, la forza della vite verrebbe dispersa in mille espansioni, tanti piccoli grappoli: molti andrebbero perduti, ne resterebbero pochi e poco saporosi. Persino la gradazione del vino si abbasserebbe! Se non si interviene, la vite, addirittura, inselvatichirebbe e produrrebbe solo fronde. E’ ciò che accade anche alla nostra vita spirituale.
Vivere è affrontare delle scelte. Scegliere è sempre rinunciare a qualcosa che avresti anche portato avanti volentieri. Saper fare una cosa vuol sempre dire non saperne fare un’altra. Ma poi ci si rende conto che chi coltiva una infinità di interessi, alla fine è disperso e poco attendibile. «Chi troppo vuole nulla stringe», dice un antico proverbio, assolutamente veritiero. Spesso non ci è facile. Vi sono persone, particolarmente eclettiche, per le quali queste scelte sono spesso tribolate, ma coltivando troppi passatempi si finisce per non eccellere in nulla. Tocchiamo con mano i limiti del nostro essere creature.
E’ indispensabile avere il coraggio di scegliere e di lasciar cadere diversi interessi buoni, ma secondari, per tenere in considerazione ciò che è primario. Ecco l’operazione del buon vignaiolo: potare tutto ciò che disperde. Nella vita cristiana questo è ancor più importante. Molto appropriato è l’esempio nel quale essa è paragonata all’opera di uno scultore, che libera la statua, contenuta dentro un blocco di marmo, dalla materia eccedente. La santità è quindi paragonabile alla scultura. Non dobbiamo inventare nulla! La persona umana è già strutturata per divenire una statua vivente ad immagine e somiglianza del Dio Figlio. Anche l’opera della perfezione umana e cristiana, che portiamo avanti ogni giorno, consiste in un levare, facendo cadere i pezzi inutili, cioè desideri, ambizioni, progetti e tendenze carnali che ci disperdono da tutte le parti e non ci permettono di concludere nulla. E’ il sapore amare dell’incompiutezza, che tocca profondamente diverse persone che non si identificano in nulla, pur essendo persone sostanzialmente rette. Oggi questa nostra grande libertà può costare cara, perché ci è dato di scegliere tra mille possibilità. Spesso non vediamo, osservando i pro e i contro, una scelta veramente migliore delle altre. Dove sta, allora, la volontà di Dio? Qui è indispensabile un atteggiamento di “santa indifferenza”: anzitutto accetta l’opera del Signore, che ti ha creato con alcuni talenti che, forse, non sono quelli che avremmo scelto spontaneamente. Anche tanti santi sacerdoti hanno avuto un loro abbondante travaglio prima di accettare pienamente quel talento straordinario che, poi, si è compiuto in Bellezza.
E’ oggetto di discussione tra i teologi se sia o meno un peccato mortale vivere secondo scelte personali non coerenti ai talenti che Dio ha donato. Certamente chi percorre una strada sbagliata se giunge la sua mèta, vi arriva stanco e affaticato. E’ una delle prime attenzioni che abbiamo durante gli Esercizi spirituali ignaziani, e la si comprende non subitamente, ma progressivamente. Allora si giunge ad uno stato di tranquillità filiale, in cui ci si osserva con gli occhi di Dio e si fanno scelte rivolte con decisione ai talenti che lui ci ha dato. Alcune statue di Michelangelo Buonarroti (1476-1564) sono incompiute ed hanno una grande forza espressiva, perché mostrano cosa precede il prodotto finale, il grande desiderio della “materia bruta” di ricevere una forma, ma soprattutto la sua impotenza a farlo da sola. E’ lo spirito che lotta per affrancarsi dalla materia! Lo può fare solo grazie allo scalpello dello scultore. Così fa Dio con noi: quando certe imprese non hanno un esito positivo, ci affaticano o non corrispondono ai Suoi progetti, Lui le pota. Senza questo intervento resteremmo anche noi statue incompiute.
Tutto questo non è affatto vano, anzi, produce ottime riflessioni e libera in noi una via e un canto migliore, facendo emergere la primavera dei frutti autentici, confermati dalla stessa pace misteriosa che Gesù stesso, che ascoltando il Padre suo faceva bene ogni cosa, infonde nelle nostre anime.
Domenica, 2 maggio 2021