Il Papa cita la prima lettera pastorale del card. Martini e ricorda la centralità della contemplazione, un’attitudine che investe tutto l’essere della persona
di Michele Brambilla
«Continuiamo», esorta Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale del 5 maggio, «le catechesi sulla preghiera e in questa catechesi vorrei soffermarmi sulla preghiera di contemplazione». Come spiega il Santo Padre, «la dimensione contemplativa dell’essere umano – che non è ancora la preghiera contemplativa – è un po’ come il “sale” della vita: dà sapore, dà gusto alle nostre giornate» perché ci permette di leggere la realtà al di sotto della superficie fenomenica. Il Papa ricorda che «Carlo Maria Martini, inviato come vescovo a Milano» nel 1980, «intitolò la sua prima Lettera pastorale “La dimensione contemplativa della vita”: in effetti, chi vive in una grande città, dove tutto – possiamo dire – è artificiale, dove tutto è funzionale, rischia di perdere la capacità di contemplare. Contemplare non è prima di tutto un modo di fare, ma è un modo di essere: essere contemplativo».
Francesco rammenta anche che «essere contemplativi non dipende dagli occhi, ma dal cuore. E qui entra in gioco la preghiera, come atto di fede e d’amore, come “respiro” della nostra relazione con Dio. La preghiera purifica il cuore e, con esso, rischiara anche lo sguardo, permettendo di cogliere la realtà da un altro punto di vista». Il Papa cita san Giovanni Maria Vianney (1786-1859), il santo curato d’Ars, che passava le ore davanti al tabernacolo: «“Io guardo Lui, e Lui guarda me!”. È così: nella contemplazione amorosa, tipica della preghiera più intima, non servono tante parole: basta uno sguardo, basta essere convinti che la nostra vita è circondata da un amore grande e fedele da cui nulla ci potrà mai separare».
Lo stesso «Gesù è stato maestro di questo sguardo. Nella sua vita non sono mai mancati i tempi, gli spazi, i silenzi, la comunione amorosa che permette all’esistenza di non essere devastata dalle immancabili prove, ma di custodire intatta la bellezza» del rapporto fondamentale con il Padre. Il Papa invita a contemplare l’episodio della Trasfigurazione: «i Vangeli collocano questo episodio nel momento critico della missione di Gesù, quando crescono intorno a Lui la contestazione e il rifiuto. Perfino tra i suoi discepoli molti non lo capiscono e se ne vanno; uno dei Dodici cova pensieri di tradimento. Gesù comincia a parlare apertamente delle sofferenze e della morte che lo attendono a Gerusalemme. È in questo contesto che Gesù sale su un alto monte con Pietro, Giacomo e Giovanni. Dice il Vangelo di Marco: “Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche” (Mc 9,2-3)». Non a tutti è dato di assistere alla Trasfigurazione: sul Tabor possono salire solo quei discepoli che hanno già dato prova di sapere intus-legere (“leggere dentro”) la realtà.
La contemplazione è quindi una “palestra” nella quale si può migliorare costantemente: è anche per questo che il Pontefice puntualizza che «alcuni maestri di spiritualità del passato hanno inteso la contemplazione come opposta all’azione, e hanno esaltato quelle vocazioni che fuggono dal mondo e dai suoi problemi per dedicarsi interamente alla preghiera. In realtà, in Gesù Cristo nella sua persona e nel Vangelo non c’è contrapposizione tra contemplazione e azione, no». Ecco allora rispuntare il modello ignaziano del contemplativo in azione.
Giovedì, 6 maggio 2021