L’ISTAT denuncia impietosamente la vera emergenza che dovrebbe interessare la politica
di Giovanni Maria Leotta
Il 3 maggio 2021 l’Istat ha rilasciato la stima della popolazione residente in Italia a inizio anno: il valore è 59,26 milioni (di cui 54,22 milioni di cittadini italiani e 5,03 milioni di cittadini stranieri) e conferma la tendenza regressiva alla quale si assiste a partire dall’anno 2014. Il 2020, con le sue 404mila nascite – 6,8 nuovi nati ogni mille abitanti– è l’anno con il maggior numero di culle lasciate vuote a partire dall’Unità d’Italia. Intanto, il valore assoluto di 746mila decessi – 12,6 ogni mille persone – rappresentaun inedito negli ultimi decenni, sul quale pesa in maniera evidente l’effetto Covid-19 e la gestione italiana dell’emergenza sanitaria, che ha garantito al nostro paese il più alto tasso di mortalità Covid-19 tra tutti i paesi dell’Europa occidentale e settentrionale, secondo solo al Belgio.
Oltre al dato in sé, è illuminante soffermarsisu quale è stato l’andamento negli ultimi anni della numerosità delle diverse componenti della popolazione, considerandone l’età e la cittadinanza, per delineare almeno i tratti essenziali di quella che, a tutti gli effetti, si può chiamare una rivoluzione demografica.
A guardare bene i dati, ad esempio, si riscontra che la componente della popolazione residente che diminuisce è esclusivamente quella italiana. Questa, infatti, dopo aver raggiunto il valore massimo nel 2009 (55,86 milioni) ha perso, dal 2009 al 2021, il 3% della sua numerosità, riducendosi di 1,64 milioni. Viceversa, la popolazione straniera in vent’anni ha quadruplicato la sua consistenza e, superando i 5 milioni di cittadini, arriva a rappresentare l’8,5% del totale.
Particolarmente grave appare l’enorme riduzione della componente giovane e giovane-adulta della popolazione italiana: al 1° gennaio 2021, infatti, si contano (rispetto al 2002) oltre 7 milioni (!) di italiani in meno con età dagli 0 ai 44 anni. La drammaticità è evidente, soprattutto, se si considerano le fasce di età0-9, 20-29 e 30-39 anni. All’inizio di quest’anno, infatti, i giovanissimi (0-9 anni) sono 1 milione in meno rispetto a vent’anni prima, i 20-29enni perdono 2 milioni di coetanei e i 30-39enni sono diminuiti di oltre 3 milioni.
Nella popolazione residente in Italia, l’età media è giunta a 46 anni (era 41,9 anni nel 2002), mentre l’indice di vecchiaia ha superato il valore di 184: significa che ogni 100 giovani di 0-14 anni ci sono 184 persone che hanno almeno 65 anni di età. Nel 2002 erano 132.Anche l’indice di dipendenza strutturale assume valori sempre più preoccupanti. Quest’ultimo è convenzionalmente utilizzato per misurare l’impatto sociale ed economico delle persone in “età non attiva” (0-14 e 65+ anni) rispetto a quelle “in età attiva” (15-64 anni). Nel 2021 le persone di età inferiore ai 15 anni sommate a quelle di almeno 65 anni sono 57 ogni 100 persone di 15-64 anni. Nel 2002 erano, invece, 49.
Reciprocamente alla contrazione della popolazione giovane e nella prima età adulta, aumenta in maniera molto considerevole la numerosità delle persone con un’età anziana più avanzata: le persone di almeno 80 anniraddoppiano nell’arco di un ventennio e,sfiorandoi 4 milioni e mezzo, costituiscono quasi l’8% della popolazione complessiva.
In una popolazione nella quale le persone di 83 anni(412mila) sono più numerose dei neonati (405mila) quella nella quale ci troviamo è una vera e propria emergenza demografica: tuttavia, se i demografi più avveduti avvertono da tempo sulla non sostenibilità di un paese nel quale il peso della componente più anziana della popolazione soverchia quello dei giovani, a livello istituzionale pare non ne venga percepita pienamente la reale gravità e urgenza, nè si vedono all’orizzonte misure concrete per incentivare la natalità, proprio mentre il numero medio di figli per donna si avvicina a toccare il triste valore di 1,2.
Il demografo Antonio Golini parla, a proposito, di una “legge dell’invecchiamento” in virtù della quale quando in una popolazione il numero delle persone di almeno 60 anni supera il 30% del totale, quel paese raggiungerebbe un “punto di non ritorno demografico”,«[…] nel senso che la popolazione, complice il fatto che le morti supererebbero di troppo le nascite, non avrebbe più la capacità endogena di riprodursi. Con una struttura simile, una popolazione va dritta verso l’estinzione» (A. Golini, Italiani poca gente, Luiss University Press, 2019, p.59). In Italia le persone di almeno 60 anni sono 18 milioni e hanno superato il 30% della popolazione complessiva.
Così, mentre i nuovi nati diminuiscono di anno in anno, gli anziani aumentano ed è evidente che nei prossimi anni aumenteranno le persone più fragili, che maggiormente necessitano di cura e di assistenza. E, proprio da questo punto di vista, la scelta di allocare – all’interno delle sei “missioni” individuate nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza– proprio alla voce “Salute” la parte più esigua (15,6 miliardi di euro) di tutte le risorse a disposizione (191,5 miliardi) desta non poco sconcerto, in considerazione della palese incongruità tra le carenze realmente esistenti nel sistema sanitario e i mezzi intrapresi per farvi fronte, ancor più se si raffrontano gli esigui fondi stanziati per la sanità con gli oltre 40 miliardi destinati, invece, al “Digitale” e gli ulteriori 60 miliardi devoluti alla “Rivoluzione verde e transizione ecologica”.
Giovedì, 6 maggio 2021