VI domenica di Pasqua
(At 10, 25 – 27.34 – 35.44 – 48; Sal 97; 1 Gv 4, 7 – 10; Gv 15, 9 – 17)
Il Vangelo odierno è contenuto all’interno di una sequenza di discorsi che Gesù tenne ai suoi discepoli, nell’Ultima Cena, prima di essere arrestato nell’orto del Getsemani. Progressivamente, dal capitolo tredici fino al diciassette compresi, si distende un discorso che ha come costante l’amore del Padre, che si riverbera nel Figlio e diviene comandamento per noi tutti.
Sono parole che soltanto quell’amico del Signore che era l’apostolo Giovanni poteva trascrivere. Esse sono intimamente rivelative dello stato d’animo del Salvatore. Ponendole alla nostra attenzione, Gesù ci spiega cosa significa essere amici. Un servo non sa ciò che vuole il padrone e non deve neanche fare domande. Qui, invece, si spalancano le porte di un dialogo cuore a cuore, da cui vengono scelte sapienti, suggerite alla coscienza, che sanno cogliere la volontà del Padre, anche nella fatica e nella sofferenza della croce. In un romanzo di Gustave Flaubert viene posto un paragone tra le perle contenute nelle ostriche, assai belle ma frutto di una malattia, e il più alto amore cristiano, che sboccia da una sofferenza ordinata alla salvezza. E’ quella misteriosa bellezza che convinse anche il “Buon ladrone”.
Gesù ripete due volte in questo Vangelo: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». Queste parole tutti le apprezziamo, ma poco dopo vien detto: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati […] Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri». Di quale forma di amore può mai trattarsi, visto che viene comandato? Amare Dio con tutta l’anima e con tutte le forze è definito «il primo e più grande dei comandamenti» e amare il prossimo come sé stessi il secondo comandamento «simile al primo»
(Mt 22,37 – 39). E’ mai possibile porre un paragone tra l’amore spontaneo, da un lato, e il dovere, che è sempre obbligatorio, dall’altro?
Distinguiamo questo primo aspetto dell’amore di Dio. In realtà, c’è un primo tipo di comando, dettato da un’autorità esterna, sotto pena di castigo; poi vi è un secondo modo nel comando che nasce dall’interno, cresce, compatta e convince sempre più. Possiamo essere mossi per costrizione, come nel comandamento imposto per timore della pena, oppure, come nel caso dell’amore, per attrazione interiore. Ognuno è attratto da ciò che ama, come un musicista apprezza un concerto. L’amore in sant’Agostino, è come un «peso dell’anima», che l’esorta verso l’oggetto del piacere, in cui sa di trovare riposo. Così l’amore può essere visto come un comandamento, anche se, pur sempre, rimane anche una forma di dovere, che Dio ci chiede perché ben conosce nostra debolezza nel deviare dal Sommo Bene.
Come un aereo deve mantenere la traiettoria, così dobbiamo fare noi nel condurre la nostra anima verso l’amore di Dio. In tal senso i Comandamenti sono d’ausilio all’amore e giovano al nostro bene. L’amore di cui parla Gesù non è un generico sentimento o pura spontaneità, ma un impegno solido e radicale e convincente. Supera il contrasto legge/amore, perché non è obbedienza minacciosa, minimale, ma amorosa e coinvolgente tutta la nostra vita, com’è espresso in san Paolo quando elenca i quindici attributi della carità: «tutto crede, tutto spera, tutto sopporta e non ha mai fine» (1Cor 13,7 – 8).
Un secondo aspetto dell’amore è espresso dal grande filosofo Soren Kierkegaard: «Soltanto quando c’è il dovere di amare, allora soltanto l’amore è garantito per sempre contro ogni alterazione; eternamente liberato in beata indipendenza; assicurato in eterna beatitudine contro ogni disperazione». Queste parole possono sembrare strane, ma il senso è molto accessibile. Significano che l’uomo, quando ama veramente, vuole amare sempre. Ogni altro modo di comportarsi è piccolo e meschino, solo Gesù è il Cristianesimo sono a misura dell’amore che riempie ogni vuoto. Ti meriterà la vita eterna, continuerà ad essere praticato anche innanzi a Dio e a tutti i santi del Paradiso. L’amore ha bisogno di essere eterno, questo è l’unico orizzonte possibile, perché è la vittoria contro tutti i mali, anche contro la morte, altrimenti scoprirebbe il fianco al maligno, non sarebbe che un «po’ di zucchero» dato alla coscienza per addolcire una vita che resta amara e non diventa sale per la terra e luce per il mondo. Sarebbe, insomma, poco più di un passatempo pericoloso.
Perdere l’amore che viene dalla Fede sarebbe terribile, sarebbe una perdita irreparabile, e il pericolo siamo noi stessi, nella nostra volubilità. Ora che siamo nell’amore vincoliamoci ad amare per sempre. Il dovere sottrae l’amore dalla volubilità. «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati», sono le parole di san Giovanni nella Seconda lettura della liturgia, che proclama il primato dell’amore in Dio. Se infinita è la sorgente, infinita è anche la méta. Il livello del nostro amore deve avere come misura quella proposta dell’amore di Cristo: «Amatevi l’un l’altro come io vi ho amati». E sappiamo che Gesù amò sino alla fine, proteso verso la massima espressione della carità: «Dare la vita per gli amici». Il teologo russo Evdokimov, nel suo testo L’età della vita spirituale afferma: «Non permettere che la tua anima dimentichi questo motto degli antichi maestri di spirito: dopo Dio considera ogni uomo come Dio!».
Il terzo momento di questa grande riflessione giovannea, in cui l’amore di Gesù genera figli di Dio, perché questo è il nostro modo di essere figli, culmina con l’affermazione, nitida del discorso della Montagna: «Amate i vostri nemici, perché siate figli del Padre vostro celeste» (Mt 5,44 – 45). L’amore abbatte le barriere e le distanze e crea comunione di segreti e di vita, per cui applica a noi tutti il termine “amico”, che fu usato anzitutto per Abramo: ora viene esteso a tutti i credenti. Quanti santi sono stati militari che combattevano per la libertà, senza esasperare l’uso delle armi, senza violenza inutile, senza odio verso il nemico, ma sempre lasciando porte aperte alla salvezza anche del nemico? Molto bello, a riguardo, è il verso del poeta libanese Kahlil Gibran, famoso anche in Italia per i poema Il Profeta: «Quando ami Dio non devi dire: “Ho Dio nel cuore”. Dì piuttosto: “Sono nel cuore di Dio” ».
L’amore, nel quarto aspetto di proposta al prossimo , è quindi un comandamento, ma prima ci è dato il dono di poterlo osservare in Gesù, che ha preso un corpo e l’avrà per tutta l’eternità, lui che era puro spirito e non potrà più divorziare dal corpo, che tutt’ora in cielo porta le quattro piaghe dei chiodi e il fianco squarciato. Sono le piaghe gloriose dell’alleanza eterna di Dio che ha sposato l’umanità. Da questa sorgente potremo sempre attingere grazia divina, ogni momento, per amare Dio, il prossimo, i famigliari e chiedere perdono ogni volta manchiamo. E’ un gustoso presente, amante e cattolico, da proporre quotidianamente a chiunque incontriamo, come fecero gli Apostoli, che erano soltanto dodici, ma cambiarono il mondo, perché ricchi della carità di Dio.
Concludo con le parole del teologo russo Evdokimov:
“ Non conservare l’amore e la parola del Cristo in un santuario, che una grata separa dalla casa e dalle strade.
(cfr. G. Ravasi, Secondo le Scritture Anno B; R.Cantalamessa, Gettate le reti, Anno B)
Domenica, 9 maggio 2021