Francesco celebra per i profughi birmani e lancia un appello per la pace in Terra Santa, devastata nuovamente dagli scontri tra israeliani e palestinesi
di Michele Brambilla
Nella mattinata del 16 maggio Papa Francesco celebra in S. Pietro una Messa molto particolare, riservata agli esuli birmani presenti a Roma e in Italia. Sono ore nelle quali si sono riaccesi i riflettori sulla repressione in Myanmar, pertanto il Papa nell’omelia sottolinea che «nelle ultime ore della sua vita, Gesù prega», esattamente come la suora che si è inginocchiata davanti ai militari birmani. «La preghiera», ripete il Pontefice, «ci apre alla fiducia in Dio anche nei momenti difficili, ci aiuta a sperare contro tutte le evidenze, ci sostiene nella battaglia quotidiana. Non è una fuga, un modo per scappare dai problemi. Al contrario, è l’unica arma che abbiamo per custodire l’amore e la speranza in mezzo a tante armi che seminano morte». Dovere di chi prega è custodire l’unità del genere umano, come invoca Gesù nell’Ultima Cena, ma anche la verità delle cose: «Gesù chiede al Padre di consacrare nella verità i suoi discepoli, che sono mandati per il mondo a proseguire la sua missione. Custodire la verità non significa difendere delle idee, diventare guardiani di un sistema di dottrine e di dogmi, ma restare legati a Cristo ed essere consacrati al suo Vangelo. La verità, nel linguaggio dell’apostolo Giovanni, è Cristo stesso, rivelazione dell’amore del Padre. Gesù prega perché, vivendo nel mondo, i discepoli non seguano i criteri di questo mondo», ma quelli dati da Gesù.
Accenti che ritroviamo nel successivo Regina Coeli, quando il Papa decide di intervenire sull’altro fronte caldo di queste ore, il conflitto israelo-palestinese. Francesco cita, non a caso, il documento di Abu Dhabi: «“In nome di Dio che ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro” (cfr. Documento Fratellanza Umana) faccio appello alla calma e, a chi ne ha responsabilità, di far cessare il frastuono delle armi e di percorrere le vie della pace, anche con l’aiuto della Comunità Internazionale».
Come il Papa ricorda all’inizio della preghiera mariana, «oggi, in Italia e in altri Paesi, si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore. La pagina evangelica (Mc 16,15-20) – la conclusione del Vangelo di Marco – ci presenta l’ultimo incontro del Risorto con i discepoli prima di salire alla destra del Padre». Non è un “addio”, ma un “arrivederci”: «non si tratta affatto di un abbandono, Gesù rimane per sempre con i discepoli, con noi. Rimane nella preghiera, perché Lui, come uomo, prega il Padre, e come Dio, uomo e Dio, Gli fa vedere le piaghe, le piaghe con le quali ci ha redenti. La preghiera di Gesù è lì, con la nostra carne: è uno di noi, Dio uomo, e prega per noi. E questo ci deve dare una sicurezza, anzi una gioia, una grande gioia! E il secondo motivo di gioia è la promessa di Gesù. Lui ci ha detto: “Vi invierò lo Spirito Santo”», che ci spinge continuamente alla missione, cioè a renderLo presente in mezzo ai fratelli. La fraternità umana è fondata sulla figliolanza divina nel Figlio Redentore, che ora «è il primo uomo che entra nel cielo, perché Gesù è uomo, vero uomo, è Dio, vero Dio; la nostra carne è in cielo e questo ci dà gioia».
La prima donna, come è noto, è Maria: «fratelli e sorelle, in questa festa dell’Ascensione, mentre contempliamo il Cielo, dove Cristo è asceso e siede alla destra del Padre, chiediamo a Maria, Regina del Cielo, di aiutarci a essere nel mondo testimoni coraggiosi del Risorto nelle situazioni concrete della vita».
Lunedì, 17 maggio 2021