XI domenica del Tempo ordinario
(Ez 17, 22 – 24; Sal 91; 2Cor 5, 6 – 19; Mc 4, 26 – 34)
La coltivazione del grano prevede tre momenti: la semina, la crescita e la mietitura. Oggi, a seconda delle scelte agronomiche, la crescita può essere impegnativa e prevedere diversi interventi. Al tempo di Gesù, erano praticamente solo due i momenti in cui interveniva l’agricoltore. La crescita era totalmente affidata a Dio.
La mietitura ha un senso particolarmente forte, sul piano spirituale: «La mietitura rappresenta la fine del mondo…Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente….Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13,39 – 43). La pagina sacra odierna ci pone davanti all’atto finale dell’esistenza del cosmo, come troviamo in san Paolo: «Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male».
Il solo pensiero del Giudizio incute terrore. Tante espressioni artistiche lo confermano: Nel Requiem di W. A. Mozart (1756-92) l’espressione «confutatis maledictis» è interpretata in maniera magistrale, offrendo all’ascoltatore un forte riverbero emotivo. Nella sequenza del 2 novembre, troviamo qualcosa di analogo: «Dies Irae, dies illa» – giorno d’ira, sarà quel giorno. Quanto tremeremo davanti al Giudice dal severo vaglio! Il male e facilmente preda della fantasia e generalmente tendiamo ad ingigantirlo. Ciò che più conta sottolineare invece, non è tanto il «Via da Me, maledetti», quanto invece, il «Venite benedetti!». La verità del Giudizio finale è un santo abbraccio con Gesù, che ti spalanca le porte del Suo Regno, per il quale hai sempre combattuto la buona battaglia della fede. Tutto diventa rasserenante e incoraggiante. L’immagine stessa della mietitura non ha nulla di macabro; al contrario, evoca i bei momenti delle feste di campagna, nella gioia del raccolto e della vendemmia. San Paolo visse le sofferenze apostoliche con grande permanenza nella speranza: «Orecchio non udì, né mai è salito al cuore dell’uomo quello che Dio tiene preparato per coloro che lo amano» (1Cor 2,9). La mietitura a cui fa riferimento Gesù è espressa in Ap 21,4: «tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte né lutto, né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate».
Non è affatto sbagliato considerare che noi tutti siamo desiderati in Paradiso dalla Trinità, dalle schiere angeliche e da un’immensità incalcolabile di santi. Ogni anima trionfante nei cieli è perfettamente amante, come lo è il Padre, che esse vedono così come Egli è. Non mancheranno, questi, di pregare per noi, con lo stesso desiderio di salvezza che mostra loro il Signore, amante della vita. Siamo tutti attesi dal cuore dei santi, nel luogo della vittoria. Il Beato Angelico (1395-1455) ha dipinto un Giudizio universale in cui mostra proprio la festa dei santi alla destra del Padre: danze e dolci abbracci, con la tranquillità di chi ha superato una grande prova ed ora è nella pace.
Viene spontaneo chiedersi: come si sta in Paradiso? Non sarà noioso vivere sempre innanzi al volto del Padre? La domanda è sicuramente lecita, perché noi viviamo nel tempo, dove ogni cosa ha una sua giusta funzione, in determinate circostanze. Non esiste una creatura che possa mantenere un interesse costante e avere continuamente sensazioni di piacere, ma nell’eternità le cose sono diverse. Tutto ciò che vediamo nel mondo arriva a stancare e non sazia la fame di verità e amore del cuore umano, ma se non ci stanchiamo mai della nostra vitalità, dell’esuberanza della vita e della salute piena, quanto sarà più appagante l’immortalità?
Nell’animo umano vi sono due grandi desideri che non cessano mai: la conoscenza e l’amore. Ci viene a noia un argomento conosciuto, ma non l’esortazione a conoscere. Possiamo stancarci di amare una persona, ma non di amare, cioè protenderci verso il bene. Se ci stanchiamo di una situazione, quaggiù, ci rivolgiamo ad altro. Tante persone sono prive di amicizie stabili: conoscono tutti e nessuno, si ritrovano alla fine sole e prive di un vero ambiente umano. Ma supponiamo che esista un essere che contiene tutto l’amore che possiamo desiderare e racchiude in sé tutta la verità che è possibile conoscere. Se poi, questa verità venisse attinta da una sorgente inesauribile perché onnipotente e l’amore fosse diffuso eternamente perché la sorgente è Colui che è Uno e Trino, cioè la causa stessa dell’amore eterno sovrabbondante? In tal caso è impossibile parlare di noia. Non ci si annoia in Paradiso, ma si attinge eternamente alla verità e alla grazia, condivise con una schiera immensa di anime tanto trionfanti quanto amanti e capaci di condivisione. Felicità eterna, senza alcuna stanchezza, connota la beatitudine che ci attende nel Regno dei cieli, con quella schiera festosa e immensa dipinta dal Beato Angelico. Colmiamo il nostro tempo di opere a Dio gradite, come fossimo prossimi alla mietitura, come chi ascende in montagna, quando vede la cima, anche se provato trova la forza per affrettare il passo, perché sente vicina la mèta. Così, gli anni della vecchiaia o, comunque, della maturità spirituale sono preziosi e tutt’altro che improduttivi. Le ultime settimane prima della mietitura e della vendemmia sono preziose per la qualità del raccolto.
Domenica, 13 giugno 2021