La preghiera è come il respiro, supera ogni dualismo, edifica la civiltà dell’amore
di Michele Brambilla
L’udienza generale del 9 giugno è fin da subito contrassegnata da una grande attenzione alla spiritualità del monachesimo proveniente dalle Chiese orientali. Papa Francesco, infatti, inizia la sua catechesi ricordando che «l’itinerario spirituale del Pellegrino russo comincia quando si imbatte in una frase di san Paolo nella Prima Lettera ai Tessalonicesi: “Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie” (5,17-18). La parola dell’Apostolo colpisce quell’uomo ed egli si domanda come sia possibile pregare senza interruzione, dato che la nostra vita è frammentata in tanti momenti diversi, che non sempre rendono possibile la concentrazione». Scopre così il metodo della ripetizione di una giaculatoria: «Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore». La preghiera autentica, dice il Santo Padre, è come il respiro: è vitale e non si interrompe mai.
Lo proverebbe anche un altro grande monaco orientale, dei primi secoli cristiani: «afferma il monaco Evagrio Pontico: “Non ci è stato comandato di lavorare, di vegliare e di digiunare continuamente – no, questo non è stato domandato -, mentre la preghiera incessante è una legge per noi”». Non significa moltiplicare a dismisure le parole, ma «il cuore in preghiera. C’è dunque un ardore nella vita cristiana, che non deve mai venire meno». Il Papa fa anche un’altra citazione: «san Giovanni Crisostomo, un altro pastore attento alla vita concreta, predicava così: “Anche al mercato o durante una passeggiata solitaria è possibile fare una frequente e fervorosa preghiera. È possibile pure nel vostro negozio, sia mentre comperate sia mentre vendete, o anche mentre cucinate”».
La preghiera, quindi, è possibile sempre, e non distrae dalle opere buone. «Possiamo poi ricordare che nel monachesimo cristiano è sempre stato tenuto in grande onore il lavoro, non solo per il dovere morale di provvedere a sé stessi e agli altri, ma anche per una sorta di equilibrio, un equilibrio interiore: è rischioso per l’uomo», infatti, «coltivare un interesse talmente astratto da perdere il contatto con la realtà», ma con il tempo nella cultura occidentale si è instaurato un pericoloso dualismo. La preghiera diventa, allora, quel perno che permette di riconciliare anima e corpo, realtà materiale ed esigenze dello spirito: «nell’essere umano tutto è “binario”: il nostro corpo è simmetrico, abbiamo due braccia, due occhi, due mani… Così anche il lavoro e la preghiera sono complementari. La preghiera – che è il “respiro” di tutto – rimane come il sottofondo vitale del lavoro, anche nei momenti in cui non è esplicitata. È disumano essere talmente assorbiti dal lavoro da non trovare più il tempo per la preghiera».
«Nello stesso tempo», avverte il Pontefice, «non è sana una preghiera che sia aliena dalla vita. Una preghiera che ci aliena dalla concretezza del vivere diventa spiritualismo, oppure, peggio, ritualismo. Ricordiamo che Gesù, dopo aver mostrato ai discepoli la sua gloria sul monte Tabor, non volle prolungare quel momento di estasi, ma scese con loro dal monte e riprese il cammino quotidiano», perché è nella quotidianità che si deve mettere in gioco il nostro essere cattolici. Proprio per questo, come ricorda lo stesso Francesco al termine dell’udienza, l’11 giugno i vescovi polacchi rinnoveranno la consacrazione della Polonia al Sacro Cuore di Gesù, 101 anni dopo (l’anniversario esatto sarebbe il 27 luglio) quella correlata alla vittoria sull’invasione sovietica. Molto significative le parole del Santo Padre: «vi esorto, affinché permeati dell’amore divino, possiate operare per la costruzione della civiltà dell’amore».
Giovedì, 10 giugno 2021