Marco Invernizzi, Cristianità n. 406 (2020)
Per sconfiggere mediocrità e indifferenza
Vi è una tentazione che incombe soprattutto su chi da tanti anni sostanzialmente combatte la stessa battaglia, quella con cui il diavolo suggerisce che è tutto inutile, che si sta perdendo tempo. Si tratta dello scoraggiamento, che genera come conseguenza la mediocrità, quasi un escludersi dalla storia e dalla battaglia, rifugiandosi nel privato, che non dà molte soddisfazioni ma almeno apparentemente non genera troppo stress. Questa tentazione si ripresenta quando cominciamo una nuova battaglia, che nonostante la disparità delle forze materiali in campo a nostro sfavore merita di essere combattuta. Questa tentazione si ripresenta ogni qualvolta cominciamo a riunire un nuovo gruppo di persone o conosciamo una persona che sembra attratta dalla nostra proposta e ci vengono in mente i tanti che hanno voltato le spalle dopo avere cominciato, i tanti che neppure hanno ascoltato.
Se poi riflettiamo sui nostri modelli storici ci accorgiamo che i nostri antenati in Contro-Rivoluzione raramente hanno conseguito successi temporali: dalla Vandea ad Andreas Hofer (1767-1810), agli insorgenti, ai cristeros, sono stati tutti sconfitti, ma hanno salvato le loro vite per l’eternità nella misura in cui hanno combattuto per la gloria di Dio e per l’amore verso i loro popoli oppressi da una ideologia che li avrebbe dominati per decenni.
Combattevano per la difesa di una cristianità prima ferita e poi sempre più agonizzante, che oggi non ha più neppure quei «brandelli», cioè quelle istituzioni, quelle leggi e quei costumi che fino a non molti anni fa ancora erano presenti in Italia, più che nel resto d’Europa. Certo, battaglie per difendere spazi di libertà sono ancora possibili nel nostro tempo. La difesa del diritto di Ungheria e Polonia di opporsi al ricatto dell’Unione Europea — di «condizionare» la concessione del pacchetto finanziario, il cosiddetto Next Generation Eu, all’accettazione di uno «Stato di diritto» che contiene anche quei «nuovi diritti» contro i quali quei governi sono impegnati — è una battaglia giusta, che va combattuta con tutte le forze disponibili. Nello stesso modo, anche in Italia merita di essere continuato lo sforzo per impedire l’approvazione in Senato della cosiddetta «legge sulla omotransfobia», già approvata dalla Camera dei deputati. Sono battaglie per difendere libertà residuali ma ancora presenti nei nostri ordinamenti giuridici, e sono battaglie nobili perché al servizio delle verità sull’uomo e sulla società inscritte nel diritto naturale e insegnate dal Magistero della Chiesa.
Ma quando anche queste battaglie non fossero più possibili perché non ci fossero più capi di Stato o forze politiche disponibili a combattere per questi valori, ci rimarrebbe comunque un lavoro immenso da fare. Pensiamo a come è nata la cristianità occidentale — in realtà anche quella orientale — di cui oggi rimangono soltanto i «segni» esteriori e qualche retaggio spirituale e culturale. Quanti uomini, quante generazioni sono stati necessari per portare la fede cristiana dentro il cuore dei popoli europei? Quanti martiri nei primi tre secoli, quanti monaci e quanti re nei successivi, quante famiglie hanno trasmesso la fede ininterrottamente per secoli? E quanti predicatori hanno confermato nella fede decine di generazioni?
Come hanno fatto, come sono riusciti a perseverare? Anche loro avranno subito le nostre stesse tentazioni, avranno patito lo scoraggiamento davanti ai fallimenti, ai tradimenti e ai loro stessi peccati e alle loro omissioni. Eppure, in qualche modo hanno insistito, costruendo prima piccoli ambienti di fede, che poi sono diventati villaggi, città, nazioni cristiani. I pagani e i barbari si sono convertiti, la fede trasmessa ha provocato la sintesi di culture diverse, la filosofia dei greci, il diritto dei romani, la forza dei germani, hanno permesso la nascita di una cristianità, perché ci sono state persone che hanno risposto alla chiamata e si sono sacrificate, spesso nel completo nascondimento. Dopo tanti sforzi è nato un mondo nuovo in quello antico che stava agonizzando.
E tuttavia la domanda rimane: che cosa ha permesso loro di superare lo scoraggiamento e gli scandali che non sono mai mancati anche all’interno della Chiesa?
Ho trovato una risposta e comunque un’occasione di riflessione nelle parole, peraltro anche consolanti ed edificanti, pronunciate dal Santo Padre nell’omelia della Messa di domenica 29 novembre: «C’è un sonno pericoloso: il sonno della mediocrità. Viene quando dimentichiamo il primo amore e andiamo avanti per inerzia, badando solo al quieto vivere. Ma senza slanci d’amore per Dio, senza attendere la sua novità, si diventa mediocri, tiepidi, mondani. E questo corrode la fede, perché la fede è il contrario della mediocrità: è desiderio ardente di Dio, è audacia continua di convertirsi, è coraggio di amare, è andare sempre avanti. La fede non è acqua che spegne, è fuoco che brucia; non è un calmante per chi è stressato, è una storia d’amore per chi è innamorato! Per questo Gesù detesta più di ogni cosa la tiepidezza (cfr Ap 3,16). Si vede il disprezzo di Dio per i tiepidi» (1).
La mediocrità è questo mettersi da parte di cui scrivevo sopra, rispondere male allo scandalo di tanti che non fanno il loro dovere, smettere di fare il proprio con la scusa di essere piccoli e non poter sopperire alle mancanze e ai tradimenti di chi ha responsabilità molto maggiori. E così si diventa mediocri. Ma, aggiunge il Papa, «[…] come possiamo svegliarci dal sonno della mediocrità? Con la vigilanza della preghiera. Pregare è accendere una luce nella notte. La preghiera ridesta dalla tiepidezza di una vita orizzontale, innalza lo sguardo verso l’alto, ci sintonizza con il Signore. La preghiera permette a Dio di starci vicino; perciò libera dalla solitudine e dà speranza. La preghiera ossigena la vita: come non si può vivere senza respirare, così non si può essere cristiani senza pregare. E c’è tanto bisogno di cristiani che veglino per chi dorme, di adoratori, di intercessori, che giorno e notte portino davanti a Gesù, luce del mondo, le tenebre della storia. C’è bisogno di adoratori. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione, di stare in silenzio davanti al Signore, adorando. Questa è la mediocrità, la tiepidezza».
Pregare è accendere una luce nella notte del nostro tempo, tenere acceso un fuoco, fosse pure una piccola fiamma. Quando tutto ci sembrasse inutile, quando ci capitasse una nuova sconfitta — e potrà capitarci —, quando pure ci sembrasse che nessuno sia più disposto ad ascoltare, allora ricordiamoci che mettersi ad adorare Colui che è e che ha già vinto per noi e per tutti quelli che vogliono essere per sempre con Lui, il Signore del tempo e dell’eternità, è già un avanzare verso la vittoria, verso la nostra salvezza e anche quella del mondo.
Infatti, la preghiera porta necessariamente alla carità, nel nostro caso all’amore per il prossimo, che consiste in particolare nel costruire attorno al nostro prossimo una sorta di ambiente che aiuta e protegge, premessa a quelle micro-cristianità di cui anni fa parlava il card. Giacomo Biffi (1928-2015) (2).
Sempre il Pontefice ricorda come al legame negativo fra mediocrità e indifferenza si contrapponga quello positivo fra preghiera e carità: «C’è poi un secondo sonno interiore: il sonno dell’indifferenza. Chi è indifferente vede tutto uguale, come di notte, e non s’interessa di chi gli sta vicino. Quando orbitiamo solo attorno a noi stessi e ai nostri bisogni, indifferenti a quelli degli altri, la notte scende nel cuore. Il cuore diventa oscuro. Presto si comincia a lamentarsi di tutto, poi ci si sente vittime di tutti e infine si fanno complotti su tutto. Lamentele, senso di vittima e complotti. È una catena. Oggi questa notte sembra calata su tanti, che reclamano per sé e si disinteressano degli altri».
Anche in questo caso il rimedio consiste nel «rientrare in sé stessi», per cercare il senso della vita e la direzione da prendere: «Come ridestarci da questo sonno dell’indifferenza? Con la vigilanza della carità. Per portare luce a quel sonno della mediocrità, della tiepidezza, c’è la vigilanza della preghiera. Per ridestarci da questo sonno dell’indifferenza c’è la vigilanza della carità. La carità è il cuore pulsante del cristiano: come non si può vivere senza battito, così non si può essere cristiani senza carità. A qualcuno sembra che provare compassione, aiutare, servire sia cosa da perdenti! In realtà è l’unica cosa vincente, perché è già proiettata al futuro, al giorno del Signore, quando tutto passerà e rimarrà solo l’amore. È con le opere di misericordia che ci avviciniamo al Signore». E la carità, anche quella intellettuale e politica, ci conduce verso la costruzione di un mondo migliore.
La legge sul divorzio. 50 anni fa
Cinquant’anni fa veniva approvata la legge sul divorzio. Era l’inizio di quella fase del processo rivoluzionario che avrebbe aggredito direttamente la persona, dopo avere avuto come obiettivo nelle fasi precedenti le istituzioni. Era un attacco alla persona attraverso le sue relazioni, a cominciare da quelle fondamentali fra i coniugi e quella della madre con il figlio concepito. La legalizzazione del divorzio fu un passaggio fondamentale di questa nuova strategia, anche per le conseguenze che ha lasciato nel corpo sociale. Oggi, due generazioni dopo, il matrimonio è la scelta di una minoranza, una scelta privata, e «i comportamenti familiari e parentali sono sempre più segnati dagli effetti di una rivoluzione sessuale iniziata negli anni Sessanta del secolo scorso che ha comportato un profondo cambiamento nelle relazioni di gender, e quindi una ridefinizione di tutti i rapporti familiari» (3). La conseguenza è che «stiamo entrando in una società post-famigliare. Una società in cui le famiglie si andranno frammentando, scomponendosi e ricomponendosi sulla base di giochi relazionali che abbandonano la struttura sociale sui generis della famiglia come intreccio fra la relazione sponsale e quella generazionale» (4).
Quel che si stenta a capire, spesso anche nel mondo cattolico, è che tutto ciò non avviene a caso ma è frutto di una rivoluzione culturale che ha dei soggetti promotori. La cosiddetta «società liquida» (5) senza legami e punti di riferimento, definita così dal sociologo britannico di origine polacca Zygmunt Bauman (1925-2017), non si è autogenerata improvvisamente, ma «è il frutto di precise strutture culturali, tradotte in leggi e principi giuridici, che non sono per niente liquide» (6). Tradotto in poche e semplici parole: la famiglia ha dei nemici culturali che o non la considerano come la struttura portante della società e preferiscono l’«individualismo radicale» (7) — che «[…] è il virus più difficile da sconfiggere» perché «inganna» e «ci fa credere che tutto consiste nel dare briglia sciolta alle proprie ambizioni, come se accumulando ambizioni e sicurezze individuali potessimo costruire il bene comune» —, oppure la «diluiscono» equiparandola a qualsiasi altra relazione, in particolare l’unione fra persone dello stesso sesso.
Prendere atto di ciò significa comprendere perché i sistemi politici dell’Occidente hanno abbandonato la famiglia, ma soprattutto significa dover prendere delle decisioni sul piano culturale e politico. Per fare un esempio relativo alle politiche demografiche: non basta accennarne una tantum, ma serve dire costantemente la verità sul matrimonio e sulle sue finalità e prendere le decisioni politiche a ciò conseguenti, altrimenti non si riuscirà mai a invertire il senso della curva che rappresenta il declino demografico: «per risollevare la natalità verso il livello di rimpiazzamento della popolazione, si calcola che sarebbe necessario che circa il 35% delle donne avesse almeno tre figli, il che appare del tutto improbabile, se non con misure shock sul piano delle politiche familiari» (8).
Tutto ciò probabilmente non basterà a ribaltare una situazione la cui crisi comincia molto tempo fa e presuppone una «conversione culturale», cioè un cambiamento radicale di direzione da parte della società, cosa che, salvo possibili interventi soprannaturali, avviene nel lungo periodo. Proprio per questo bisogna cominciare, da sé stessi anzitutto, combattendo contro lo scoraggiamento e superando le tentazioni della mediocrità e dell’indifferenza.
Note:
(1) Francesco, Omelia nella Santa Messa con i nuovi cardinali, del 29-11-2020. Le citazioni che seguono senza rimandi in nota sono tratte da questo testo.
(2) «La cristianità odierna potrà anche essere di minoranza, diversamente da quella di qualche secolo fa, ma non per questo deve essere meno vivace e meno inequivocabilmente caratterizzata. E non potrà mai delinearsi come realtà priva di continuità nel tempo, senza premesse e senza radici; né come qualcosa di puramente intellettuale, senza manifestazioni socialmente rilevabili. Ciò che non è socializzabile, e non diventa mai socializzato, a poco a poco perde di rilievo nella consapevolezza delle persone semplici e comuni; e alla fine si estingue» (Giacomo Biffi, Cultura cattolica per un vero umanesimo, nel sito web <https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20021124_card-biffi-politica_it.html>, consultatoil 21-12-2020).
(3) Pierpaolo Donati, Trent’anni di Rapporti CISF. Un bilancio e un nuovo sguardo sul futuro, in CISF. Centro Internazionale Studi Famiglia, La famiglia nella società postfamiliare. Nuovo rapporto CISF 2020, San Paolo, Milano 2020, p. 17.
(4) Ibid., pp. 27-28.
(5) Cfr. Zygmunt Bauman, Modernità liquida, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2011.
(6) P. Donati, op. cit., p. 24.
(7) Francesco, Lettera enciclica «Fratelli tutti» sulla fraternità e amicizia sociale, del 3-10-2020, n. 105. Le citazioni che seguono senza rimandi in nota sono tratte da questo testo.
(8) P. Donati, L’opzione-famiglia in una società post-familiare: il gioco delle relazioni nel «Family warming», in CISF. Centro Internazionale Studi Famiglia, op. cit., p. 35.