Come Rubens dipinse il fondatore dei gesuiti
di Michele Brambilla
La Compagnia di Gesù aprì la sua casa genovese nel 1582 e nel 1589 procedette alla trasformazione dell’antica chiesa di S. Ambrogio, che fu ridedicata al SS. Nome di Gesù e ricostruita seguendo fedelmente il modello della chiesa del Gesù di Roma. Il cantiere attirò subito gli artisti più in vista tra quelli disponibili nella città della Lanterna, in particolare il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens (1577-1640), il quale dipinse per la chiesa la pala I miracoli di sant’Ignazio.
La figura di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) è in genere associata agli Esercizi spirituali e alla battaglia culturale contro l’eresia protestante, ma ai suoi contemporanei erano noti anche i numerosi miracoli, compiuti specialmente durante le Messe. Si parla, in particolare, di esorcismi di massa, e questo ci appare del tutto congruente con il discernimento degli spiriti predicato dai gesuiti.
Rubens sceglie di rappresentare proprio una di queste Messe miracolose. Il santo è raffigurato in piedi, di fronte all’altare, assistito da due chierici: è voltato verso il popolo perché è colto nel momento in cui pronuncia l’Orate fratres («Pregate fratelli perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente»), ma gli occhi incrociano quelli degli angeli soprastanti, tramite evidente della Grazia divina. Le braccia di Ignazio sono allargate perché così prescrive il Missale Romanum del 1570, ma il santo sta anche implorando misericordia per i partecipanti alla celebrazione.
Gli effetti della preghiera non tardano a manifestarsi. Ai piedi della balaustra i devoti hanno condotto un’ossessa e un bambino morto. La prima si contorce con la bocca spalancata, come accade negli esorcismi, osservata a distanza ravvicinata da un bambino che cerca, terrorizzato, le braccia della madre, la quale deve occuparsi anche di altri due fratellini.
Appena dietro la madre dei tre bambini appare un’altra donna, che sorregge con una mano il corpicino del figlio, adagiato sul lenzuolo funebre. Il neonato si sta rianimando (ha appena sollevato la mano destra) e la giovane esprime il suo stupore allargando le braccia e fissando i primi palpiti di vita del cadavere resuscitato. Gli astanti, giovani e meno giovani, gioiscono per i miracoli e protendono le mani verso il cielo o l’altare, facendo propria la preghiera di guarigione di sant’Ignazio.
Non sono presenti solo fedeli laici, ma anche un nutrito gruppo di gesuiti, raffigurato sulla destra dell’altare: i religiosi potrebbero rappresentare i rettori del collegio genovese al momento della realizzazione della pala (1620-21), ma il sacerdote più vicino all’altare dopo il generale-fondatore ha i medesimi tratti somatici attribuiti a san Francesco Saverio (1506-52).
Questo spiegherebbe la simbologia recata dagli angeli che volano sopra le teste dei presenti. Essi, infatti, recano una corona di alloro e una palma, simboli fin dall’Antichità di vittoria e, per i primi cristiani, di martirio. Né sant’Ignazio, né san Francesco Saverio sono morti martiri, ma è indubbio che aspirassero al martirio, esattamente come molti dei loro primi compagni. Corona e palma alluderebbero, quindi, all’anelito missionario della Compagnia di Gesù e alla gloria che l’ordine fondato da sant’Ignazio avrebbe presto conseguito da un capo all’altro del pianeta.
Sabato, 31 luglio 2021