San Paolo emblema di una Chiesa che annuncia la Verità senza paura, svolgendo anche i compiti più umili
di Michele Brambilla
Papa Francesco, nell’udienza generale del 30 giugno, presenta quello che è il cuore della predicazione di san Paolo: «scopriamo da subito che Paolo è un profondo conoscitore del mistero di Cristo. Fin dall’inizio della sua Lettera» ai Galati «non segue le basse argomentazioni utilizzate dai suoi detrattori. L’Apostolo “vola alto” e indica anche a noi come comportarci quando si creano conflitti all’interno della comunità».
L’obbiettivo, infatti, è insegnare una nuova visione delle cose. Prima di convertirsi, Saulo di Tarso era un acceso fariseo, ma anche allora non si accontentava delle posizioni di comodo: «non si ferma alla superficie dei problemi, dei conflitti, come spesso siamo tentati di fare noi per trovare subito una soluzione che illude di mettere tutti d’accordo con un compromesso. Paolo ama Gesù e sa che Gesù non è un uomo-Dio di compromessi. Non è così che funziona con il Vangelo e l’Apostolo ha scelto di seguire la via più impegnativa. Scrive così: “È forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio?” Lui non cerca di fare la pace con tutti. E continua: “O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!” (Gal 1,10)». Una lezione fondamentale, specialmente al giorno d’oggi.
Paolo, umilmente, riconosce di non essere la persona più titolata per predicare il Vangelo: «lui stesso racconta la storia della sua vocazione e conversione, coincisa con l’apparizione di Cristo Risorto durante il viaggio verso Damasco (cfr At 9,1-9). È interessante osservare quanto afferma della sua vita precedente a quell’avvenimento: “Perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri” (Gal 1,13-14). Paolo osa affermare che lui nel giudaismo superava tutti, era un vero fariseo zelante, “irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge” (Fil 3,6)». Nel momento in cui scrive, l’Apostolo delle Genti non cerca più il primato personale, perché ha compreso che esso appartiene solo a Cristo. Quel che gli preme è che i fedeli cattolici non si delegittimino a vicenda, proprio mentre sono protagonisti della medesima missione. Cristo è per tutti la via all’autentica libertà, che conduce Paolo all’autocritica e gli evangelizzati a diventare a loro volta evangelizzatori.
«Come sono imperscrutabili le strade del Signore», esclama il Papa: «lo tocchiamo con mano ogni giorno, ma soprattutto se ripensiamo ai momenti in cui il Signore ci ha chiamato. Non dobbiamo mai dimenticare il tempo e il modo in cui Dio è entrato nella nostra vita: tenere fisso nel cuore e nella mente quell’incontro con la grazia, quando Dio ha cambiato la nostra esistenza. Quante volte, davanti alle grandi opere del Signore, viene spontanea la domanda: ma com’è possibile che Dio si serva di un peccatore, di una persona fragile e debole, per realizzare la sua volontà? Eppure, non c’è nulla di casuale, perché tutto è stato preparato nel disegno di Dio». Tesse la nostra storia non come una predestinazione, ma come una chiamata a realizzare la nostra libertà in Cristo, svolgendo anche compiti molto umili. Francesco fa volutamente l’esempio di Renzo Cestiè, il suo autista personale, che andava al lavoro sempre in bicicletta e, ora, va in pensione. Nel suo piccolo ha dato un contribuito determinante all’apostolato del Santo Padre.
Giovedì, primo luglio 2021