XIV domenica del Tempo ordinario
(Ez 2, 2 – 5; Sal 122; 2Cor 12, 7 – 10; Mc 6, 1 -6)
Dopo alcuni mesi di vita pubblica, Gesù ritorna nella città in cui aveva abitato per moltissimi anni, Nazareth. Era vissuto per trent’anni in quella città, frequentando la sinagoga e lavorando come carpentiere – il mestiere del padre Giuseppe – sotto le cure materne di Maria. L’accoglienza che gli riservano è, però, delle peggiori. Non solo mormorano contro di lui, ma, come racconta l’evangelista Luca, cercano di ucciderlo gettandolo giù dal precipizio su cui era costruita la città. Viene subito da chiedersi quale possa essere stato il motivo di una simile furia omicida: Gesù non aveva fatto altro che proporre la parola di Dio, come in tanti altri casi nei vari villaggi, dove riscosse gratitudine. Ora, anziché giudicarlo dal Suo insegnamento, la gente presente nella sinagoga rimane stranita e chiede sospettosa: «Donde gli vengono queste capacità? Che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?». Il fatto di conoscerlo bene (Lui che non ha studiato, Lui è un falegname) crea un ostacolo. Gesù commentò amaramente: «Un profeta non è disprezzato se non in patria». Coniò così il proverbio Nemo propheta in patria.
Il Vangelo odierno ha, però, altro da dirci sul piano della fede: attenti a non commettere lo stesso errore dei nazareni! In un certo senso, Gesù torna nella sua patria ogni qualvolta viene annunciato nei Paesi che furono, un tempo, la culla del Cristianesimo. Sarebbe tragico commettere lo stesso errore degli abitanti di Nazareth! La nostra Italia, e in generale l’Europa, sono per il Cristianesimo quello che era Nazareth per Gesù: «Il luogo dove è stato allevato». Il Cristianesimo è nato in Asia, ma è cresciuto in Europa, così come Gesù è nato a Betlemme, ma fu allevato a Nazareth. Italia ed Europa corrono oggi il rischio dei nazaretani: non riconoscere Gesù.
Nel cuore dei concittadini di Gesù stava cominciando a mettere radici la gelosia. Quanti di loro avranno avuto in casa mobili fatti dalle mani stesse del Salvatore? Se rimani in silenzio nel gregge, non ti accade nulla, ma appena esci dall’anonimato si mettono in discussione tanti equilibri e sensibilità. Anche tra i familiari accade, basti pensare a Giuseppe, figlio prediletto di Giacobbe, gettato in una cisterna e poi venduto come schiavo. Cristo non si è assentato a lungo da Nazareth, ma nel frattempo la Sua attività per rivelare il Padre è cresciuta. I suoi concittadini, però, lo vedono ancora con l’etichetta che gli hanno affibbiato, un giovane che aiuta il padre nel suo lavoro. Convinti di sapere tutto e che nulla li possa sorprendere, sono vittime di un’illusione. La realtà naturale è piena di misteri da studiare e scoprire tramite la scienza, ma ancora più grande è il mistero della persona umana. Crediamo spesso di conoscere le persone che vediamo quotidianamente e non ci sorprendono più: consideriamo banale ciò che dicono e fanno, e così meditando ci precludiamo di amarle e quindi conoscerle veramente. Se una persona che crediamo di conoscere smette di interessarci, non è colpa sua, ma nostra, colpa di chi gli vive accanto. Bisogna fare molta attenzione: è una situazione che si crea facilmente nelle famiglie, nel lavoro, con gli amici. Nei nazareni poi, scatta l’invidia: è un peccato che porta spesso anche all’omicidio.
L’arcangelo che si oppose a Satana porta un nome che esplicita una domanda doverosa: «Chi è come Dio?». “Michele” significa proprio questa grande verità. Lucifero si rammaricò di non essere lui stesso Dio e l’essere privato della divinità fu per lui devastante. E’ il primo peccato: l’invidia. Rammaricarsi perché altri hanno ciò che tu non hai. Quando l’oggetto di un simile rammarico è Dio stesso, siamo nel caso più grave di malattia del cuore. Satana fu travolto da un furia omicida perché non sopportava di essere una creatura. Già nel Paradiso terrestre mandò in rovina i progenitori, pur di togliere loro il dono più bello, l’amicizia con Dio. Li convinse a disobbedire promettendo loro proprio la divinizzazione. Appare allora chiaramente come i due grandi peccati commessi all’alba dei tempi, quello degli angeli e quello degli uomini, provengano dalla gelosia della creatura contro il Creatore.
Pilato si rende conto immediatamente che Gesù era stato consegnato a lui per invidia. Non solo quella di alcuni personaggi o gruppi sociali, ma quella dell’umanità intera. Gli uomini non tollerano che uno di loro sia Dio. La furia omicida che si avventa su Gesù, nei giorni della Passione, esprime tutta la rabbia satanica di quelle creature che si rifiutano di riconoscere che la salvezza per l’uomo è riconoscere la propria dipendenza da Dio.
Dopo le tentazioni nel deserto, che Gesù supera citando poche parole bibliche pienamente aderenti al caso concreto, ne subisce una peggiore, mentre era inchiodato alla croce: «Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso! Il Cristo, il re d’Israele, scenda ora dalla croce, affinché vediamo e crediamo» (Mc 15,31). E’ una sfida beffarda, il cui significato non deve sfuggire: hanno ucciso Gesù per dimostrare che non era Dio. L’invidia è la molla segreta di quella incredulità rabbiosa e ostinata che indurisce il cuore e lo rende impermeabile alla grazia.
San Paolo nella lettera ai Tessalonicesi afferma: «L’empio, quando verrà, si sederà nel tempio di Dio additando sé stesso come Dio» (2Tes 2,2). L’invidia non è che un aspetto della superbia: invece di rallegrarci per ciò che hanno gli altri, ci arrabbiamo perché pensiamo di esserne sminuiti. E’ ben difficile trovare una persona che si rallegri perché un’altra è migliore di lei. Questo atteggiamento spinge a mettere in evidenza i difetti del prossimo, a diffamarlo, a calunniarlo e, a volte, a toglierlo di mezzo, se non fisicamente, perlomeno moralmente. Quando questo veleno diabolico si impadronisce del cuore sbarra la via della Fede, che nella sua ispirazione profonda nasce dallo spirito d’infanzia. Quando si sceglie il proprio io al posto di Dio, si entra in quel mistero dell’incredulità che non è la ricerca, ma il rifiuto della Luce.
Alla fine del racconto evangelico notiamo che anche Gesù si meraviglia dell’incredulità dei compaesani. Al loro stupore corrisponde, quindi, la Sua meraviglia. Anche Lui si scandalizza! Malgrado sappia che nessun profeta è bene accetto in patria, la chiusura del cuore della sua gente rimane per Lui oscura, impenetrabile: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità in mezzo a loro? In effetti Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio, in Lui Dio Padre e lo Spirito abitano pienamente, e mentre noi cerchiamo altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero Segno è lui, Dio fatto carne, il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in cuore umano, in un volto d’uomo.
C’è una gioia che Dio non conosce (metaforicamente): quella di essere una creatura. Nel diventare uomo, però, ha potuto gustare qualche goccia di questa gioia segreta e rara. Il Bambino Gesù che riposa in braccio a Maria non è forse il Verbo incarnato che sta gustando la gioia di essere piccolo e dipendente?
Perché essere invidiosi di Dio? Non è forse bello riconoscersi creature che, avendo tutto ricevuto, non hanno che da ringraziare? Perché essere invidiosi del prossimo? E’ come dire che Dio opera delle parzialità: assurdo! Non esiste una persona più fortunata di altre: se il bene altrui provoca invidia malvagia significa che, in realtà, non ci corrisponde. Se invece corrispondesse alla nostra vita, ci adopereremmo onestamente per guadagnarlo e Dio ci manderebbe le occasioni propizie. Non è infinitamente più gratificante gioire per i doni concreti che Dio dà alle Sue creature? In Cielo ci rallegreremo della santità altrui, perché dunque non incominciare su questa terra? Chi può descrivere la pace di quell’anima che, guardando il panorama della creazione e le infinite grazie che Dio diffonde a piene mani, gioisce ed esulta per ogni grazia che viene data anche ai fratelli? Colei che ha compreso questa realtà è la Vergine Maria, beata perché ha creduto (cfr Lc 1,45). Maria non si è scandalizzata di suo Figlio: la sua meraviglia per Lui è piena di fede, piena d’amore e di gioia nel vederlo così umano e, insieme, così divino. Impariamo quindi da lei, nostra Madre nella Fede, a riconoscere nell’umanità di Cristo la perfetta rivelazione di Dio.
Domenica, 4 luglio 2021