Contemplare con stupore l’Incarnazione del Verbo per non cadere nel medesimo errore degli abitanti di Nazareth
di Michele Brambilla
Come spiega Papa Francesco introducendo l’Angelus del 4 luglio, «il Vangelo di questa domenica (Mc 6,1-6) ci racconta l’incredulità dei compaesani di Gesù. Egli, dopo aver predicato in altri villaggi della Galilea, ripassa da Nazaret, dove era cresciuto con Maria e Giuseppe; e, un sabato, si mette a insegnare nella sinagoga», ricevendo una pessima accoglienza. La fama di Gesù come predicatore e taumaturgo aveva indispettito i suoi compaesani, che vedevano in Lui solo un falegname: «molti, ascoltandolo, si domandano: “Da dove gli viene tutta questa sapienza? Ma non è il figlio del falegname e di Maria, cioè dei nostri vicini di casa che conosciamo bene?”».
Il Papa invita a soffermarsi su questo atteggiamento: «potremmo dire che essi conoscono Gesù, ma non lo riconoscono. C’è differenza tra conoscere e riconoscere. In effetti, questa differenza ci fa capire che possiamo conoscere varie cose di una persona, farci un’idea, affidarci a quello che ne dicono gli altri, magari ogni tanto incontrarla nel quartiere, ma tutto questo non basta. Si tratta di un conoscere direi ordinario, superficiale, che non riconosce l’unicità di quella persona». Il rischio è etichettare preventivamente, e purtroppo viviamo nell’epoca delle etichette “facili” e superficiali.
«E qui», dice il Santo Padre, «entriamo proprio nel nocciolo del problema: quando facciamo prevalere la comodità dell’abitudine e la dittatura dei pregiudizi, è difficile aprirsi alla novità e lasciarsi stupire». Meglio conservare una certa attitudine allo stupore, nutrita da una contemplazione attenta delle “sorprese” che Dio ha già riservato nella storia: «alla fine, perché i compaesani di Gesù non lo riconoscono e non credono in Lui? Perché? Qual è il motivo? Possiamo dire, in poche parole, che non accettano lo scandalo dell’Incarnazione. Non lo conoscono, questo mistero dell’Incarnazione, ma non accettano il mistero. Non lo sanno, ma il motivo è inconsapevole e sentono che è scandaloso che l’immensità di Dio si riveli nella piccolezza della nostra carne, che il Figlio di Dio sia il figlio del falegname, che la divinità si nasconda nell’umanità, che Dio abiti nel volto, nelle parole, nei gesti di un semplice uomo». Lo scandalo è che il Signore non si limiti a regnare astrattamente dai cieli, ma discenda sulla Terra a ricordarci cosa è giusto e cosa è sbagliato.
Poiché Dio è “uno di noi”, sebbene senza il peccato, c’è il rischio di confonderlo «e allora succede a noi come ai compaesani di Gesù, rischiamo che, quando passa, non lo riconosciamo. Torno a dire quella bella frase di sant’Agostino: “Ho paura di Dio, del Signore, quando passa”. Ma, Agostino, perché hai paura? “Ho paura di non riconoscerlo. Ho paura del Signore quando passa”. Timeo Dominum transeuntem».
Che Gesù, passando, non trovi i nostri occhi assonnati! Proprio per questo, il Pontefice annuncia che riprenderà i viaggi apostolici: «[…] sono lieto di annunciare che dal 12 al 15 settembre prossimo, a Dio piacendo, mi recherò in Slovacchia per fare una visita pastorale. […] Prima concelebrerò in Budapest la Messa conclusiva del Congresso Eucaristico Internazionale». Assieme al Papa si muove tutta la Chiesa, Corpo mistico di Cristo, come scrisse sant’Ambrogio: «ubi Fides, ibi libertas. Ubi Petrus, ibi Ecclesia» (Ep. 65,5).
Lunedì, 5 luglio 2021