XV domenica del Tempo ordinario
(Amos 7, 12 – 15; Ef 1, 3 – 14; Marco 6, 7 – 13)
Le parole iniziali del Vangelo richiamano l’inizio dell’opera di diffusione del Cristianesimo: «In quel tempo, Gesù chiamò i dodici, ed incominciò a mandarli a due a due». Fino ad ora solo Gesù stesso aveva predicato la novità di Dio. I discepoli stavano con lui e ascoltavano. Da quel momento in poi comincerà a dir loro: «Andate». Sono i prodromi della grande missione che verrà affidata al momento di ascendere al cielo: «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
L’esortazione sopra citata a chi è realmente rivolta?
Spesso ci si limita ad avallare un grosso equivoco, stando al quale quest’opera di evangelizzazione spetta solamente al clero, quando ben sappiamo, invece, che tantissimi ambienti si prestano alla testimonianza della fede e lì i preti non potranno mai arrivare. Ad esempio tutti gli ambienti lavorativi, dall’officina ai luoghi dell’alta finanza e del commercio. Pensiamo quanto bene può fare un barista che accolga santamente nel suo locale. Certo, in primo luogo il compito di rappresentanza “ufficiale” e “autorizzata”, è legato agli Apostoli e ai loro legittimi successori, ma sono incaricati di animare e guidare gli altri nella comune missione. Pensare diversamente sarebbe come dire che si può fare una guerra solo con i generali e gli ufficiali, senza i soldati semplici, o che per erigere una squadra basti il solo allenatore. Infatti Gesù, subito dopo i Dodici, invia altri settantadue discepoli, che saranno stati sicuramente persone disposte a impegnarsi per Lui fra i tanti che Lo seguivano. A tutti è dato l’onore di essere precursore di Cristo, nell’attesa che Lui venga.
Di fronte a tali proposte fioccano le reazioni di sconcerto: “ma non bastano i preti per queste iniziative?”; “Lei non sa reverendo, cosa vuol dire avere famiglia e lavorare per mantenerla”. In realtà, divenire evangelizzatori non è affatto un peso, ma una gioia, che fa dimenticare ogni altro gravame. Non dimentichiamo che Gesù ha promesso il centuplo quaggiù a chi si presta a lavorare per il Regno. I laici sono come l’energia nucleare: dopo la fissione di un atomo si hanno reazioni a catena. Pertanto, il campo da arare è immenso, considerando soprattutto che la pace che Cristo è venuto a portare, che è ciò che più affascina e contagia il cuore dell’uomo. I laici possono essere assai benefici nella diffusione della luce di Cristo nel mondo. I 2500 vescovi che sottoscrissero il documento Apostolicam Actuositatem del Concilio Vaticano II (1962-65) dicono ad ogni laico di partire senza indugio per proporre la fede cattolica ad ogni uomo : sono tutti esortati alla missione. L’esortazione conciliare è indirizzata personalmente ad ogni laico cattolico.
Nel Vangelo le indicazioni sono molto succinte riguardo a cosa dire: i primi discepoli invitavano semplicemente gli ascoltatori alla conversione. Insistevano decisamente sul “come” si deve essere per annunciare Cristo.
Gesù manda i suoi adepti a due a due. Il motivo è sostanziale e lo descrive san Gregorio Magno:
se si è meno di due persone, non ci può essere la carità reciproca. La prima testimonianza da rendere a Gesù sono la carità e l’amore reciproco: «Da questo sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Spesso, in tanti ambienti secolari e lavorativi è assai difficile parlare di Cristo in maniera esplicita, se però c’è rispetto della persona, attenzione al cuore del prossimo, un bel modo di parlare, sorridere, relazionarsi e vestire emerge immancabile un bell’umanesimo che sa governare il cuore, non si scoraggia e non fa alcun compromesso col male e con il peccato, affrontando tutti i guai di questo mondo. Diversi autori antichi descrivono così i cristiani al tempo delle persecuzioni da parte dei Romani: i pagani, così narrano, restavano stupiti dall’amore reciproco profuso fra i battezzati.
Questo è prioritario in famiglia, dove può essere difficoltoso parlare di fede ai figli o ai parenti, ma l’amore fragrante, benedetto da Dio, tra il babbo e la mamma è un fatto inequivocabile. L’amore è sempre da Dio (1Gv 4,7). A questa testimonianza silenziosa va aggiunta quella esplicita della parola. «Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,15).
La prima e più comune forma di evangelizzazione consiste proprio in questo: spiegare a chiunque ce lo chiede, o è disposto ad ascoltare, perché speriamo in Cristo e come mai ci siamo convertiti alla fede. Le parole «con dolcezza e rispetto» escludono l’insistenza eccessiva. La petulanza e l’insistenza, tipiche di certe sette religiose assai fastidiose, non escludono il coraggio e l’inventiva.
Piuttosto, è meglio chiedersi “dove” evangelizzare. Gesù inviava presso villaggi e luoghi della Palestina: oggi questi possono coincidere con i luoghi più lontani della missione ad gentes, ma per tanti sono ambienti vicinissimi come il luogo di lavoro, le amicizie, la stessa cerchia familiare.
Doverosamente aggiungo una meravigliosa via che porta le anime a modificare il proprio presente, a partire dal cuore. In questo, il grande maestro sant’Ignazio di Loyola e i suoi Esercizi spirituali sono quanto di meglio si possa proporre ad ogni anima del nostro tempo per gustare la dolcissima presenza del Salvatore, sentirsi amati da Dio e ascoltare quei buoni consigli per cui tutta la vita viene ordinata alla salute odierna e alla salvezza eterna.
Domenica, 11 luglio 2021