I ritratti dei santi vescovi di Milano, festeggiati solennemente il 25 settembre
di Michele Brambilla
Sotto la data del 25 settembre il calendario liturgico ambrosiano presenta la dicitura «S. Anatalo e tutti i Santi vescovi milanesi». Anatalo o Anatalone, come ricorda lo stesso nome, fu il primo vescovo di Milano nel III sec. e proveniva dall’Asia Minore. Iniziò con lui una lunga serie di pastori, dei quali ben 41 sono stati canonizzati e 2 beatificati. La santità ambrosiana è soprattutto la santità dei suoi arcivescovi, strettamente intrecciata al destino del popolo governato nel nome di Cristo, come ricorda un’antica orazione inserita nella liturgia del giorno: «O Dio, che hai santificato questa tua Chiesa col ministero pastorale del vescovo sant’Anatalo e di tutti i santi vescovi milanesi, donaci di avvalerci dei loro insegnamenti e dei loro esempi e di formare un giorno la loro corona in cielo». Il 25 settembre si accumulano le memorie dei vescovi che non hanno un giorno proprio nel corso dell’anno, ma si esalta soprattutto la santità episcopale.
Come tutte le diocesi, anche l’arcidiocesi di Milano possiede una serie di ritratti dei propri pastori, incrementata ad ogni passaggio del testimone. Sotto l’episcopato del card. Benedetto Erba Odescalchi (1712-40) fu commissionata una serie di ritratti degli arcivescovi canonizzati, che oggi orna lo scalone d’onore del Museo diocesano di Milano. Si era negli anni nei quali i Padri Bollandisti di Parigi, che riformarono il Martirologio Romano, contestavano la discendenza dell’arcidiocesi ambrosiana dalla predicazione di san Barnaba, collaboratore di san Paolo. Il card. Odescalchi, pur prendendo atto delle osservazioni scientifiche, volle ostentatamente aprire il ciclo, forse destinato all’Arcivescovado e rimasto anonimo, proprio con l’immagine di san Barnaba, ritratto con la croce sulle spalle e il fuoco della Fede nella mano destra. Non si conosce il nome del pittore: con tutta probabilità si tratta di un lombardo, che si rifà ai canoni estetici del Seicento locale. In effetti, riesce ad imprimere una grande intensità psicologica ai suoi ritratti. Le figure si stagliano da uno sfondo monocromo e si presentano ai fedeli con gli attributi tradizionali o gli elementi che ricordano episodi particolari della loro vita, non sempre decifrabili dal “lettore” moderno. San Castriziano (III sec.), per esempio, sorregge la pianta dell’antica basilica di S. Vittore al Corpo, di cui sarebbe stato il fondatore. Molto belli anche i ritratti di san Caio (III sec.), raffigurato mentre battezza santa Valeria (la madre dei martiri Gervasio e Protasio, compatroni di Milano), e di san Venerio (400-408), che come i catechisti post-tridentini sta istruendo un fanciullo.
Il problema dell’identificazione esatta dell’episodio illustrato non si pone, naturalmente, per i ritratti dei patroni principali. Sant’Ambrogio (339-97), posto in posizione frontale con la mano destra benedicente, è attorniato da angeli che gli recano il pastorale e lo “staffile” (simbolo della vis polemica) con il quale vinse gli eretici ariani. San Carlo Borromeo (1538-84) è colto mentre venera la Croce (forse il reliquiario del Santo Chiodo) e medita sulla morte (la clessidra posta sulla mensa dell’altare). Il quadro più affascinante del ciclo ritrae, però, san Galdino della Sala (1096-1176), l’arcivescovo che ricostruì Milano dopo il sacco del Barbarossa: primo vescovo ambrosiano ad essere creato cardinale, scruta i visitatori con occhi profondi e viso bonario, sfogliando i libri di teologia che gli servirono per vincere i catari.
Sabato, 25 settembre 2021