XVIII Domenica del tempo ordinario
(Es 16, 2 – 4. 12 – 15; Ef 4, 17. 20 – 24; Gv 6, 24 – 35)
Subito dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù evita il contatto con una folla galvanizzata e raggiunge la sponda opposta del lago. Lì, a Cafarnao, tiene nella sinagoga il corposo discorso sul Pane di vita. Lo scopo è guidare la folla dal pane della terra al Pane del Cielo. La gente, infatti, Lo cerca solo perché si è saziata lo stomaco: non insegue Lui, ma i suoi miracoli. «Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà».
Che fare allora per aderire alla Verità nella sua interezza? «Questa è l’opera di Dio: credere in colui che Egli ha mandato». La fede in Lui fonda la vita eucaristica. Non ha senso parlare di Eucarestia senza Gesù, Figlio di Dio, Pane disceso dal cielo che dona la vita agli uomini. Senza questa fede, l’Eucarestia diventa o un rito magico per trarre Dio dalla propria parte, o un pasto sacro e fraterno, in onore di qualche divinità, ma senza comunione con essa. Quanto consacriamo sull’altare è «Mistero della Fede», si proclama tutte le domeniche. Se manchiamo di fede, è come se Gesù Cristo neanche fosse presente. E’ come una bella pala pittorica mostrata ad un cieco. Certamente il nemico è sempre in agguato contro la nostra fede eucaristica, che può essere colta dal dubbio. Accadde anche a quel sacerdote boemo che, mentre celebrava la Messa a Bolsena, fu miracolosamente liberato dal suo dubbio perché Dio tramutò l’ostia di pane in carne autentica e sanguinante, le cui reliquie sono conservate nel Duomo di Orvieto.
Vi sono persone la cui croce più pesante è proprio credere nella divinità di Cristo: per loro la recita del Credo è sempre un momento tribolato. Il dubbio è spesso alle porte di alcuni credenti. Il dubbio è negativo quando paralizza ogni scelta e rende una persona sempre tentennante e sospettosa. E’ segno, invece, di profondità e lealtà quando non si può prendere per buono ciò che non lo è e si esercita correttamente la propria ragione. Sicuramente si corre il rischio di idealizzarlo, di non prendere mai posizione chiara stabile, secondo il canone relativistico odierno. E’ uguale segno di stoltezza dubitare di tutto come di nulla.
Nella fede, il dubbio è negativo quando è causato da ignoranza spirituale e pigrizia nell’approfondire l’insegnamento di Gesù, che potrebbe essere sciolto con una giusta ricerca. Più ancora è negativo se nasce dalla paura della verità, la quale richiede di prendere posizione stabile e agire di conseguenza, mentre nel dubbio si può sempre rimandare e scendere a compromessi. Il dubbio, allora, diventa una scusa per il disimpegno e una copertura della pigrizia. Tengo invece a sottolineare come il dubbio non sia colpevole quando si vorrebbe credere e invece si è assaliti dai dubbi, ovvero quando il dubbio non è coltivato, ma subito. In tal caso, esso fortifica e purifica la fede. Camminare sulla sabbia, se non ti getta a terra, fortifica le caviglie. La fede sarà sempre esposta al dubbio e prevede di rinnovare sempre i suoi buoni motivi e approfondirli. Questo la rende più umana e meritevole.
Santa Teresa di Lisieux sperimentò grandi tentazioni sulla fede: «quando canto la felicità del cielo e il possesso eterno di Dio» – diceva – «non canto ciò che sento, ma ciò che voglio credere». Voler credere è già credere. Spesso è l’unica forma di fede che dipende da noi. Dio che legge nel cuore sa distinguere quando il dubbio è coltivato e quando, invece, è subito, quando è mancanza di fede e quando è solo tentazione contro di essa. Se il Signore operò per il sacerdote boemo di Bolsena il miracolo eucaristico, fu perché sapeva che egli cercava sinceramente la verità. Con il miracolo, Dio non volle punire o confondere quel povero sacerdote, ma aiutarlo e, insieme a lui, aiutare gli altri. Se pensiamo che fu proprio in seguito al quel prodigio che nel 1264 fu istituita la festa del Corpus Domini, viene da esclamare: «o felice dubbio, che ci hai procurato un bene così grande!». Non bisogna astenersi dall’accostarsi alla Comunione solo perché si dubita. San Tommaso apostolo stesso ebbe bisogno di un contatto con il Risorto per sciogliere i suoi dubbi e gridare «mio Signore e mio Dio!». Se dunque non si è pronti a recitare il Credo dall’inizio alla fine senza qualche dubbio, o ad accostarsi alla Comunione con tutta la fede che si vorrebbe, non ci si deve rammaricare, ma piuttosto pregare come quell’uomo del Vangelo che diceva: «Credo, Signore, ma tu aiuta la mia incredulità» (Mc 9,23).
Restando in questo tema, ci si può domandare, perché nel Credo non vi è accenno diretto all’Eucarestia, mentre diciamo «credo in un solo battesimo, per la remissione dei peccati». Il motivo è molto semplice e pratico-pastorale. Il Credo niceno-costantinopolitano fu composto quando vi erano dei problemi legati al Battesimo: ci si interrogava sulla validità del sacramento impartito dagli eretici, temendo di doverlo ripetere. La professione di fede che proclamiamo durante la Messa è stata scritta soprattutto per controbattere agli errori e preparare i catecumeni. Certo, non sarebbe affatto spiacevole trovare menzionata anche la dottrina sull’Eucarestia, ma questa è bene che sia direttamente impressa nel nostro animo per i frutti sovrabbondanti che porta.
Domenica, primo agosto 2021
Sant’Alfonso Maria de’ Liguori Vescovo e dottore della Chiesa