XXI domenica del Tempo ordinario
(Gs 24,1 – 2.13 – 18; Sal 33; Ef 5,21 – 32; Gv 6,60 – 69)
Il rapporto fra Gesù e le folle non è sempre stato dei migliori. Lo seguivano in massa mentre compiva miracoli, ma quando il suo insegnamento si faceva esigente l’entusiasmo si raffreddava e il consenso cedeva il passo alla mormorazione e alla critica aperta. La stessa folla che cantò «Osanna al Figlio di David» pochi giorni dopo gridò «Crucifige». Non stiamo falsando la storia se affermiamo che Cristo fu impopolare: fu contrastato dai capi, ma anche da una parte consistente dell’opinione popolare, la quale influenzò anche i discepoli. Tanti andavano dietro a Gesù per i miracoli che compiva, pertanto Gesù li ha dovuti mettere alla prova. Non era un mago o un guaritore, non faceva miracoli per risolvere i problemi umani legati alla malattia, ma ogni prodigio era segno dalla presenza di Dio. Allora svela loro il mistero: «Il mio corpo è vero cibo, il mio sangue vera bevanda». Subito si leva una voce di sconcerto: «Questo linguaggio è duro», cioè – se stiamo al valore originale dell’aggettivo greco – è quasi incomprensibile, fantasioso e persino offensivo all’intelligenza degli ascoltatori, «Chi può intenderlo?». Tutto il brano è segnato da questa tensione che si è creata dopo il discorso di Gesù. Al termine del grande discorso sull’Eucarestia la fronda coinvolge anche gli Apostoli, tanto che Gesù li pone innanzi alla decisione estrema: «Forse anche voi volete andarvene»? Cristo stesso parla espressamente di «scandalo», di mancanza di fede e perfino di tradimento; molti dei discepoli si «tirarono indietro», separando la loro strada da quella dello strano rabbi di Nazareth; anzi, agli stessi dodici discepoli Gesù chiede se vogliono girargli le spalle per non «andare più con lui». Il pericolo di restare solo non mette paura a Gesù: ciò che più gli dà più orrore è il malinteso di chi finisce col ridurre il Vangelo a manifesto di lotta politico-sociale, l’identificare l’annuncio del Regno di Dio con la sola ricerca di una giustizia terrestre, col trasformare la “buona notizia” data a tutti per la loro salvezza eterna in una mera proposta sociale.
Beninteso, Gesù non condanna nessuna di queste mète, anzi, chi è veramente suo discepolo non può esimersi dal perseguirle, secondo le sue concrete possibilità e secondo la natura della sua vocazione personale. Ma il Vangelo è soprattutto guardare in alto, un sospirare sinceramente verso il Regno dei cieli, un pensare per prima cosa al Padre e all’attuazione della sua volontà. Il grande filosofo Soren Kierkegaard affermava che Gesù è stato respinto e ha sofferto perché
«Egli era la verità e non voleva altro che questo: la verità» ( S.Kierkegaard – Esercizio del cristianesimo). Il crescendo degli sforzi con cui prende distanza da ogni interpretazione puramente terrestre del suo messaggio è perfino implacabile. A chi fatica ad accogliere la sua origine divina, Gesù parla di un mistero più grande, annuncia l’Eucarestia. E a chi trova inaccettabile il discorso sull’Eucarestia, Gesù propone un discorso ancora più arduo e più alto, quello della risurrezione e della sua glorificazione definitiva: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire dove era prima?».
Gesù è stato respinto, con l’intento con di cancellarlo dalla terra dei viventi, perché era quella Verità che l’uomo non vuol sentire. Egli era quella luce che le tenebre non possono sopportare.
C’è qua e là anche nella Chiesa una certa tendenza a presentare il messaggio evangelico in modo tale che sia appetibile alla gente. Se è lo sforzo di incarnare la parola di Dio nella vita corrente perché possa essere compresa e vissuta, allora è un fatto positivo. E’ ciò che ha fatto ogni santo. Se invece si tratta del desiderio di piacere al mondo, portando ad oscurare delle verità della fede e della morale che risulterebbero “scomode”, o riducendo il Cristianesimo ad un pensiero solo umano, allora la via intrapresa porta al dissolvimento della fede. Se blandiamo i vizi del nostro tempo e li scusiamo, prospettando il miraggio della salvezza a basso prezzo, troveremo certamente consensi e persino elogi, ma Gesù ci considererà come sale divenuto insipido, buono solo ad essere gettato via.
Il desiderio di ottenere consenso a tutti i costi è una tentazione che dobbiamo smascherare e respingere. La Salvezza non è giunta da gesti spettacolari, ma dall’ignominia della croce. Agli Apostoli, scossi dal discorso sull’Eucarestia, Gesù propone una scelta impegnativa: o credere o andarsene. E’ un elemento fondamentale della storia di ogni uomo la decisione di fronte alla verità e all’amore, che per il cristiano sono tipizzati dalla figura del Cristo. E’ una scelta spesso drammatica, lacerante, perché comporta l’ingresso nella via della povertà e dell’umiltà rispetto alla “strada larga” dell’orgoglio e della ricchezza. E’ una scelta radicale, perché comporta la decisione per il Dio vivente, ed esigente, contro gli idoli morti, ma comodi. Anche la prima lettura dell’Antico Testamento è emblematica. Israele è ormai giunto nella Terra Promessa, a Sichem, sede del santuario nazionale, ed è interpellato da Giosuè che li ha guidati nella Terrasanta: «Scegliete oggi chi volete servire», gli idoli o il Dio liberatore dalla schiavitù dell’Egitto. E’ curioso osservare come il verbo “servire” ricorra 14 volte nel testo veterotestamentario. Nel linguaggio biblico non ha un’accezione servile, ma indica l’aderire libero e gioioso al progetto divino, amarlo con tutto il cuore, l’anima e le proprie forze, tant’è vero che viene utilizzato per connotare l’operato di Abramo, Mosè, Giosuè, Davide e, infine, anche di Maria Santissima e Gesù stesso. Nella realtà dei fatti, essere cristiani significa essenzialmente credere, cioè ritenere vero e certo, più di ogni altra verità e di ogni altra certezza, che Gesù è oggi vivo e Signore; significa credere che la vicenda umana, così folle e insensata ai nostri occhi, si concluderà ai suoi piedi; significa credere che, oltre ogni apparente desolazione, il Signore Gesù ci è vicino e ci guida. La domanda di Gesù,
«volete andarvene anche voi?», è un interrogativo simile ad una spada, che divide la storia in due campi. Gesù, più che preoccuparsi di coloro che lo rifiutano, sembra preoccuparsi che non ci sia qualcuno, tra quelli che lo seguono, che abbia capito male e possa falsare il suo messaggio. La risposta di Pietro sia oggi la nostra risposta: «Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Possiamo essere deboli, possiamo essere infedeli ai nostri impegni e incoerenti coi nostri principi, ma Dio nostro Padre ci conceda di sentire sempre questa invincibile nostalgia del Signore Gesù. Lontani da Lui e dalle sue parole, come tutto sembra perdere di colore e di senso!
Lontani da lui, ci imbattiamo solo in uomini deludenti e delusi, quale sia la risonanza del loro nome, quale che sia la loro capacità istrionica di carpire il consenso. Ci sono uomini ricchi, col portafoglio pieno e con il cuore vuoto; ci sono uomini dotti, imbottiti di sapere, eppure senza verità e senza luce; ci sono uomini che si credono liberi e senza limiti, ma che non sanno evadere da un’esistenza senza scopo e senza significato; ci sono uomini che sanno gridare il loro malessere, la loro sete di giustizia, il loro desiderio di autenticità, ma non riescono a sfuggire alla loro disperazione. Anche a noi è consentito di andarcene, anche a noi è fatta la proposta di Giosuè: «Scegliete oggi che volete servire». Ma pensiamoci bene: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna».
Domenica, 22 agosto 2021