Papa Francesco affronta il passaggio nel quale san Paolo narra lo scontro con san Pietro sulla questione degli usi giudaici. In campo, ancora una volta, il nesso tra Legge, libertà e verità
di Michele Brambilla
Come riconosce Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale del 25 agosto, «la Lettera ai Galati riporta un fatto piuttosto sorprendente»: san Paolo rimprovera san Pietro, il primo Papa, perché, dopo il concilio di Gerusalemme che aveva stabilito una volta per tutte che i convertiti pagani non devono rispettare le norme della Torah, sembra rimangiarsi questa decisione sedendo a tavola solo con i giudei per non infastidire un gruppo di cristiani di Gerusalemme, che erano saliti ad Antiochia. «Scrivendo ai Galati», osserva il Pontefice, «Paolo menziona volutamente questo episodio che era accaduto ad Antiochia anni prima. Intende ricordare ai cristiani di quelle comunità che non devono assolutamente dare ascolto a quanti predicano la necessità di farsi circoncidere e quindi cadere “sotto la Legge” con tutte le sue prescrizioni». Litigando in pubblico con san Pietro «forse Paolo ha esagerato, ha lasciato troppo spazio al suo carattere senza sapersi trattenere? Vedremo che non è così, ma che ancora una volta è in gioco il rapporto tra la Legge e la libertà».
Il comportamento di san Pietro è, infatti, stigmatizzato con ferocia: «prima Pietro stava a mensa senza alcuna difficoltà con i cristiani venuti dal paganesimo; quando però giunsero in città alcuni cristiani circoncisi da Gerusalemme – coloro che venivano dal giudaismo –allora non lo fece più, per non incorrere nelle loro critiche. È questo lo sbaglio: era più attento alle critiche, a fare buona figura. E questo è grave agli occhi di Paolo, anche perché Pietro veniva imitato da altri discepoli, primo fra tutti Barnaba, che con Paolo aveva evangelizzato proprio i Galati (cfr Gal 2,13)». Il pericolo era scandalizzare i nuovi cristiani, facendoli sentire a disagio. Questo dovrebbe insegnarci ancora una volta a non tenere conto delle opinioni mondane.
Francesco evidenzia che «Paolo, nel suo rimprovero – e qui è il nocciolo del problema – utilizza un termine che permette di entrare nel merito della sua reazione: ipocrisia (cfr Gal 2,13). Questa è una parola che tornerà tante volte: ipocrisia», riguardo alla quale «si può dire che è paura per la verità. L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi». Un pericolo costante anche e soprattutto per i cattolici dei nostri tempi: come denuncia il Papa, «si preferisce, come ho detto, fingere piuttosto che essere sé stesso, e la finzione impedisce quel coraggio, di dire apertamente la verità. E così ci si sottrae all’obbligo – e questo è un comandamento – di dire sempre la verità, dirla dovunque e dirla nonostante tutto». Dura la requisitoria sugli ipocriti nel mondo politico e nella Chiesa: «ci sono molte situazioni in cui si può verificare l’ipocrisia. Spesso si nasconde nel luogo di lavoro, dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle. Nella politica non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato. È particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa, e purtroppo esiste l’ipocrisia nella Chiesa, e ci sono tanti cristiani e tanti ministri ipocriti. Non dovremmo mai dimenticare le parole del Signore: “Sia il vostro parlare sì sì, no no, il di più viene dal maligno” (Mt 5,37)».
Ritorna quindi in gioco la questione fondamentale della verità e, soprattutto, del primato della Fede. Il Santo Padre rievoca un episodio dei tempi dei Maccabei (2Mac 6,24-25): «una bella testimonianza per combattere l’ipocrisia è quella del vecchio Eleazaro, al quale veniva chiesto di fingere di mangiare la carne sacrificata alle divinità pagane pur di salvare la sua vita». L’anziano ebreo preferì, però, il martirio alla finzione, affinché i giovani avessero davanti un esempio di fedeltà incondizionata a Dio. In questo modo recupera anche il vero senso della Legge, che è richiamare continuamente la scelta di servire quel Signore che ha restituito ad Israele l’autentica libertà, quella di fare il bene.
Al termine dell’udienza, il Papa ricorda doverosamente l’anniversario del sisma nel Centro Italia (24 agosto 2016): «saluto altresì i fedeli di Montegallo, che il 24 agosto di 5 anni fa sono stati colpiti dal terremoto. Cari fratelli e sorelle, la vostra presenza mi offre l’occasione per volgere il mio pensiero alle vittime e alle comunità dell’Italia centrale, tra cui Accumoli e Amatrice, che hanno subito le dure conseguenze di quell’evento sismico. Con il concreto aiuto delle Istituzioni, è necessario dare prova di “rinascita” senza lasciarsi abbattere dalla sfiducia. Esorto tutti ad andare avanti con speranza. Coraggio»!
Giovedì, 26 agosto 2021