La ricezione dantesca nel magistero pontificio da Leone XIII a Francesco
di Luca Finatti
“Che se volesse qualcuno domandare, perché la Chiesa cattolica, per volere del suo visibile Capo, si prende a cuore di coltivare la memoria e di celebrare la gloria del Poeta fiorentino, facile è la nostra risposta: perché, per un diritto particolare, nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire della fede cattolica, perché tutto spirante amore a Cristo; nostro perché molto amò la Chiesa, di cui cantò le glorie; e nostro perché riconobbe e venerò nel Pontefice romano il Vicario di Cristo”[1].
Può stupire una così appassionata rivendicazione di appartenenza da parte di Papa san Paolo VI (1963-1978), in occasione del settimo centenario della nascita di Dante Alighieri (1265-1321), ma sfogliando il saggio della filologa Valentina Merla, Papi che leggono Dante. La ricezione dantesca nel magistero pontificio da Leone XIII a Benedetto XVI[2], si comprende meglio come tale enfasi s’inserisca in una tradizione secolare di riscoperta della poesia dantesca da parte del magistero, resa necessaria anche per il clima politico-culturale del Romanticismo italiano in cui Dante divenne oggetto di un culto ambiguo verso la sua opera e la sua persona.
Esaltato come poeta nazionale, fu arruolato alla causa risorgimentale come il primo degli anticlericali, colui che avrebbe teorizzato la netta separazione tra potere temporale e potere spirituale, condannando all’Inferno papi e chierici corrotti.
Questa lettura ideologica e riduttiva dell’opera dantesca fu contestata da Papa Leone XIII (1878-1903) con alcune decisioni importanti, ancor più che con parole.
Fu lui infatti a decidere di eliminare dall’Indice dei Libri Proibiti la Monarchia di Dante, considerata dal Concilio di Trento (1545-1563) non in linea con l’ortodossia: un gesto importante verso quel mondo cattolico che ancora guardava con troppa diffidenza alle idee politiche di Dante e soprattutto non lo studiava con la necessaria intelligenza critica.
Papa Leone XIII fu invece un’“anima dantesca”[3], conosceva a memoria molti passi della Divina Commedia e li citava in incontri informali.
Inoltre nel 1887 istituì una cattedra di studi sulla teologia nell’opera di Dante, facendo seguito a quanto aveva scritto nella lettera enciclica Aeterni patris (1879) sulla necessità di rinnovare e approfondire lo studio dell’opera di san Tommaso D’Aquino (1225-1274), il grande filosofo e teologo le cui idee sono alla base della formazione del poeta.
Dopo Leone XIII, nessun Papa ha mancato finora di fare qualche riferimento all’opera di Dante. Si è dunque sedimentato un ricco magistero che può essere schematizzato in questo modo, in base alla tipologia degli interventi:
1) immagini, concetti e insegnamenti attinti in gran parte dalla Divina Commedia, anche senza citazioni dirette;
2) una Lettera enciclica e due Lettere apostoliche interamente dedicate all’opera del poeta;
3) citazioni riguardanti la dottrina cristiana oppure la vita dei santi presenti nella Divina Commedia, anzitutto la preghiera di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) a Maria del canto XXXIII del Paradiso;
4) riflessioni sulla bellezza del poema, modello di autentica opera d’arte in cui la fede nutre l’intelligenza e la guida alla ricerca della verità per mezzo dell’immaginazione.
1) Dante difende l’ortodossia
“Avete il novo e ‘vecchio Testamento,
e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida:
questo vi basti a vostro salvamento”
(Paradiso V, 76-78)
Papa san Pio X (1903-1914), sulla scia di Leone XIII, promosse la nascita del comitato commemorativo per il sesto centenario della morte di Dante e, dopo l’uscita del suo famoso Catechismo della dottrina cristiana (1912), favorì la pubblicazione di un ampio saggio intitolato Il più bel ricordo del VI centenario di Dante, ossia Catechismo della Dottrina Cristiana, pubblicato per ordine di Sua Santità Pio X, meditato e studiato con Dante[4], in cui la Divina Commedia è concepita come supporto poetico alla spiegazione razionale del catechismo, modalità certo un po’ riduttiva per comprendere appieno la bellezza del poema, ma che riconosce in Dante un vero maestro nella fede.
2) Dante ama la Chiesa
“Ma, si dirà, egli inveì con oltraggiosa acrimonia contro i Sommi Pontefici del suo tempo. È vero; ma contro quelli che dissentivano da lui nella politica e che egli credeva stessero dalla parte di coloro che lo avevano cacciato dalla patria. Tuttavia si deve pur compatire un uomo, tanto sbattuto dalla fortuna, se con animo esulcerato irruppe talvolta in invettive che passavano il segno, tanto più che ad esasperarlo nella sua ira non furono certo estranee le false notizie propalate, come suole accadere, da avversari politici sempre propensi ad interpretare tutto malignamente. Del resto, poiché la debolezza è propria degli uomini […] chi potrebbe negare che in quel tempo vi fossero delle cose da rimproverare al clero, per cui un animo così devoto alla Chiesa, come quello di Dante, ne doveva essere assai disgustato, quando sappiamo che anche uomini insigni per santità allora le riprovarono severamente?”[5].
Così papa Benedetto XV (1914-1922) affrontò con chiarezza la questione delle invettive dantesche, ribadendo, nella lettera enciclica In praeclara summorum del 1921, il rispetto e l’amore verso la Chiesa e il Papato che il poeta espresse in molti altri canti, senza dimenticare che “se Dante deve alla fede cattolica tanta parte della sua fama e della sua grandezza, valga solo questo esempio, per tacere gli altri, a dimostrare quanto sia falso che l’ossequio della mente e del cuore a Dio tarpi le ali dell’ingegno, mentre lo sprona e lo innalza; e quanto male rechino al progresso della cultura e della civiltà coloro che vogliono bandita dall’istruzione ogni idea di religione”[6].
Papa san Paolo VI citò Dante in molte occasioni, ma la sua lettera apostolica Altissimi cantus è uno splendido testo che vale davvero la pena leggere integralmente.
Il papa sottolineò anzitutto che Dante è “poeta dei teologi e teologo dei poeti”[7] perché la grandezza della sua opera dipende anche dalla profondità e ricchezza delle sue conoscenze teologiche, polemizzando con quella interpretazione estetica che risale al filosofo Benedetto Croce (1866-1952), secondo il quale vera poesia è solo l’espressione del sentimento lirico[8]: “Alcuni critici asseverarono un carattere non poetico della Divina Commedia, quando e dove è impregnata di teologia; […] Chi può negare che il sentimento religioso, la verità religiosa, l’anelito del finito verso l’Infinito siano stati e sempre siano sorgente d’acqua, che alta vena preme di poesia? Non è forse questa la sua forma più alta e più pura?”[9].
Un altro tema caro al Papa è quello dell’umanesimo di Dante perché in lui “tutti i valori umani (intellettuali, morali, affettivi, culturali, civili) sono riconosciuti, esaltati; e ciò che è ben importante rilevare è che questo apprezzamento e onore avviene mentre egli si sprofonda nel divino, quando la contemplazione avrebbe potuto vanificare gli elementi terrestri. Anzi la sua umanità si definisce ancor più piena e si perfeziona nel vortice del divino amore”[10].
Il Papa conclude riflettendo sul senso della bellezza e propone un’illuminante analogia tra mistica e poesia: “In realtà fra i mistici e i veri poeti e in generale fra gli artefici delle arti belle, delle quali la poesia è animatrice e madre, c’è una segreta parentela. Il dono poetico corrisponde nell’ordine naturale a quello che nell’ordine soprannaturale è il dono profetico e mistico; nella sua esplicazione c’è l’analogo processo psicologico e tutti e due cercano la dimora più nascosta dell’anima, la punta estrema dello spirito, il centro del cuore, dove gli uni sentono la presenza di Dio e gli altri, anche non pienamente compresa, ma sospettata e intuita, la presenza di un dono dell’«Autore della bellezza»”[11].
Papa Francesco ha ripreso nella sua lettera apostolica Candor lucis Aeternae molti temi del magistero precedente, mettendo però l’accento su due parole meno frequenti nei testi del passato: desiderio e felicità.
Scrive infatti il Papa: “Ci imbattiamo, così, in due temi fondamentali di tutta l’opera dantesca: il punto di partenza di ogni itinerario esistenziale, il desiderio, insito nell’animo umano, e il punto di arrivo, la felicità, data dalla visione dell’Amore che è Dio”[12].
La lettera, particolarmente densa di temi e di spunti di riflessione interessanti, è stata analizzata approfonditamente da Lorenzo Cantoni e da Leonardo Gallotta[13].
3) Dante ispira il Magistero
Ricchissime e significative le citazioni della Divina Commedia nel magistero di tutti gli altri Papi, a partire da Pio XI (1922-1939) che, dopo avere messo fine a un periodo di drammatica conflittualità con lo Stato italiano grazie ai Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929, amò ripetere “in quella Roma onde Cristo è romano” (Purgatorio XXXII, 102) per esaltare la città destinata dalla Provvidenza a diventare sede del Papato.
Il venerabile Pio XII (1939-1958) mostrò grande interesse per il progresso e citò spesso Dante nei suoi discorsi agli scienziati, perché in lui non c’è contraddizione tra fede e ragione; il poeta infatti possedeva certo conoscenze scientifiche approfondite che sapeva utilizzare per la creazione di metafore e allegorie affascinanti, consapevole che i misteri del cosmo si devono indagare anche con la sapienza della fede.
San Giovanni XXIII (1958-1963) si servì poco della fonte dantesca in discorsi ufficiali, però reintrodusse la cattedra di studi universitari voluta da Leone XIII, sospesa nel 1913, assegnandola a un dantista stimato come l’arcivescovo, teologo, letterato e umanista Giovanni Fallani (1910-1985), che pubblicherà saggi importanti sulla teologia di Dante, cioè sul modo “in cui la Commedia elabora l’esperienza spirituale e personale dell’incontro con Dio e con la religione”[14].
Il servo di Dio Giovanni Paolo I (1978), nonostante i soli 33 giorni di pontificato, riuscì a citare Dante durante un’udienza generale, in una catechesi dedicata alla speranza dove il poeta è l’esempio del buon catecumeno[15].
Papa Benedetto XVI ha prediletto particolarmente la citazione mariana “se’ di speranza fontana vivace” (Paradiso XXXIII, 12), ma soprattutto ha confessatoche l’ispirazione per la sua prima enciclica Deus Caritas est (2005) gli giunse proprio dal famoso verso che conclude la Divina Commedia: “l’Amor che muove il sole e l’altre stelle” (Paradiso XXXIII, 145): “L’eros di Dio non è soltanto una forza cosmica primordiale; è amore che ha creato l’uomo e si china verso di lui”[16].
4) Dante aiuta a “vedere” Dio
Furono molti i riferimenti di san Giovanni Paolo II (1978-2005)aDante nel suo lungo pontificato, anche nella importante Lettera di Giovanni Paolo II agli artisti (1999), ma essendo stato poeta lui stesso, forse il miglior omaggio l’ha reso proprio attraverso la sua ultima raccolta di poesie intitolata Trittico romano. Meditazioni[17].
Come scrive il filosofo Giovanni Reale (1931-2014) in un saggio dedicato al poemetto, ciò che accomuna il Papa e Dante è lo stesso approccio all’arte, lo stesso desiderio di una poesia teologica capace di “visione”: “Dante, più ancora di ogni altro poeta è riuscito a trattare la sua filosofia non come teoria o come riflessione, ma in termini di cosa percepita. […] Per il filosofo e il teologo i concetti sono materia di discussione, per il poeta sono invece materia di ‘visione’. E appunto in quanto ‘visionario’, il poeta può ‘vedere’ ed esprimere per immagini ciò che il filosofo e il teologo esprimono per concetti”[18].
Se nel testo del Papa c’è un unico riferimento chiaramente dantesco: “Vedeva, ritrovava l’orma del suo Essere – / Ritrovava il proprio splendore in tutto il visibile”[19] che riecheggia “Qui veggion l’alte creature l’orma / de l’etterno valore” (Paradiso I, 106-107), tutto il poemetto è intriso di quel desiderio di “vedere Dio” che è lo stesso struggimento di Dante in tutta la sua opera.
E il Papa, con i versi seguenti dedicati a Michelangelo, ricorda quale dono magnifico sia il talento artistico, se messo al servizio di Dio: il dono di uno sguardo capace di mostrare la presenza del Verbo nel mondo per renderne partecipi tutti coloro che sapranno guardare.
Mi trovo sul limite della Sistina –
Forse tutto ciò era più facile interpretare
Nel linguaggio della “Genesi” –
Ma il Libro aspetta l’immagine –
È giusto. Aspettava un suo Michelangelo.
Poiché Colui che creava,
“vedeva” – vide che “ciò era buono”.
“Vedeva”, ed allora il Libro aspettava
il frutto della “visione”.
Sto invocandovi “vedenti” di tutti i tempi.
Sto invocandoti, Michelangelo!
Nel Vaticano è posta una cappella
che aspetta il frutto della tua visione!
La visione aspetta l’immagine.
Da quando il Verbo si fece carne, la visione,
da allora, aspetta[20].
Sabato, 18 settembre 2021
[1] San Paolo VI, Lettera apostolica «motu proprio» «Altissimi cantus» in occasione del settecentesimo anno dalla nascita di Dante Alighieri, del 7-12-1965.
[2] Cfr. Valentina Merla, Papi che leggono Dante. La ricezione dantesca nel magistero pontificio da Leone XIII a Benedetto XVI, Stilo Editrice, Bari 2018.
[3] Ibid., p. 51.
[4] Cfr. Anonimo (pseudonimo Minimo Sacerdote in Cristo), Il più bel ricordo del VI centenario di Dante, ossia Catechismo della Dottrina Cristiana, pubblicato per ordine di Sua Santità Pio X, meditato e studiato con Dante, Asti 1921.
[5] Benedetto XV, Lettera enciclica «In praeclara summorum» ai diletti figli professori ed alunni degli istituti letterari e di alta cultura del mondo cattolico in occasione del VI centenario della morte di Dante Alighieri, del 30-4-1921.
[6] Ibidem.
[7] San Paolo VI, Lettera apostolica «motu proprio» «Altissimi cantus», cit.
[8] Cfr. Benedetto Croce, La poesia di Dante, Laterza, Bari 1921.
[9] San Paolo VI, Lettera apostolica «motu proprio» «Altissimi cantus», cit.
[10] Ibidem.
[11] Ibidem.
[12] Francesco, Lettera apostolica «Candor lucis aeternae» nel VII centenario della morte di Dante Alighieri, del 25-3-2021.
[13] Cfr. Leonardo Gallotta, «Candor lucis aeternae». Papa Francesco su Dante, in Cristianità, anno XLIX, n. 408, marzo aprile 2021, pp. 3-11.
[14] V. Merla, op. cit., p. 209.
[15] Cfr. ibid., p. 359.
[16] Ibid., p. 446.
[17] Cfr. san Giovanni Paolo II, Trittico romano. Meditazioni, Introduzione e prefazioni di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2003.
[18] Ibid., pp. 13-14.
[19] Ibid., p. 49.
[20] Ibid., pp. 43-45.