La sordità guarita da Gesù è anzitutto quella interiore, quella che si tura le orecchie per non ascoltare la parola di Dio. Uno sprone all’Europa, nel cui cuore sta per cominciare il Congresso eucaristico di Budapest
di Michele Brambilla
Il 5 settembre l’Angelus di Papa Francesco mette a fuoco il fatto che «il Vangelo della liturgia di oggi presenta Gesù che opera la guarigione di una persona sordomuta». Del brano evangelico colpiscono soprattutto le modalità di guarigione: Cristo «prende in disparte il sordomuto, gli pone le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua, quindi guarda verso il cielo, sospira e dice: “Effatà”, cioè “Apriti!” (cfr Mc 7,33-34). In altre guarigioni, per infermità altrettanto gravi, come la paralisi o la lebbra, Gesù non compie tanti gesti».
In quell’«Effatà» ci deve essere un messaggio particolare, che il Papa interpreta in questo modo: «essere sordomuti è una malattia, ma è anche un simbolo. E questo simbolo ha qualcosa da dire a tutti noi. Di che cosa si tratta? Si tratta della sordità», una condizione certamente fisiologica, ma dotata di una potente valenza simbolica. Il sordomuto non sente, quindi non riesce ad articolare il suono; allo stesso modo, colui che non ha udito (o ignora volutamente) la parola di Dio non è in grado di ripeterla. «Fratelli e sorelle, c’è infatti una sordità interiore», ammonisce il Santo Padre, «che oggi possiamo chiedere a Gesù di toccare e risanare. E quella sordità interiore è peggiore di quella fisica, perché è la sordità del cuore. Presi dalla fretta, da mille cose da dire e da fare, non troviamo il tempo per fermarci ad ascoltare» Dio e il prossimo. Ergo, «la guarigione del cuore comincia dall’ascolto. Ascoltare. E questo risana il cuore. “Ma padre, c’è gente noiosa che dice sempre le stesse cose…”. Ascoltali. E poi, quando finiranno di parlare, di’ la tua parola, ma ascolta tutto». Non è forse un’opera di misericordia spirituale sopportare le persone moleste? «E lo stesso vale con il Signore. Facciamo bene a inondarlo di richieste, ma faremmo meglio a porci anzitutto in suo ascolto. Gesù lo chiede. Nel Vangelo, quando gli domandano qual è il primo comandamento, risponde: “Ascolta, Israele”. Poi aggiunge il primo comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore […] e il prossimo come te stesso” (Mc 12,28-31)», perché l’amore di Dio viene da un ascolto che è anche un incontro. La fede cristiana nasce da un incontro vivo, entusiasmante con il Signore Gesù.
Proprio per questo il Papa si recherà settimana prossima a Budapest, per il Congresso eucaristico internazionale: un appuntamento molto atteso, dice il Santo Padre, perché «saranno così giorni segnati dall’adorazione e dalla preghiera nel cuore dell’Europa». Un’Europa dal cuore diventato da alcuni secoli molto ostile al dono della Fede, come ricorda lo stesso Pontefice: «mentre saluto affettuosamente coloro che hanno preparato questo viaggio – e vi ringrazio –, e quanti mi attendono e che io stesso desidero di cuore incontrare, chiedo a tutti di accompagnarmi con la preghiera, e affido le visite che compirò all’intercessione di tanti eroici confessori della fede, i quali testimoniarono in quei luoghi il Vangelo tra ostilità e persecuzioni. Essi aiutino l’Europa a testimoniare anche oggi, non tanto a parole, ma soprattutto con i fatti, con opere di misericordia e di accoglienza, il buon annuncio del Signore che ci ama e ci salva». Il riferimento all’accoglienza si collega all’appello per i profughi afghani: «in questi momenti concitati che vedono gli afghani cercare rifugio, prego per i più vulnerabili tra loro. Prego che molti Paesi accolgano e proteggano quanti cercano una nuova vita. Prego anche per gli sfollati interni, affinché abbiano l’assistenza e la protezione necessarie. Possano i giovani afghani ricevere l’istruzione, bene essenziale per lo sviluppo umano. E possano tutti gli afghani, sia in patria, sia in transito, sia nei Paesi di accoglienza, vivere con dignità, in pace e fraternità coi loro vicini».
Adorazione del Signore e carità fattiva sono linee d’azione perfettamente incarnate da santa Teresa di Calcutta (1910-97), amante dei poveri perché innamorata di Gesù Eucaristia: «oggi ricorre la memoria di Santa Teresa di Calcutta, per tutti Madre Teresa. Un bell’applauso!».
Considerevoli, dati i malintesi che si sono creati sul fronte interreligioso in queste settimane, anche gli auguri del Papa per le imminenti festività ebraiche: «nei prossimi giorni ricorre il capodanno ebraico, Rosh Hashanah. E poi le due feste di Yom Kippur e Sukkot. Rivolgo di cuore il mio augurio a tutti i fratelli e le sorelle di religione ebraica: il nuovo anno sia ricco di frutti di pace e di bene per quanti camminano fedelmente nella Legge del Signore».
Lunedì, 6 settembre 2021