XXV domenica del Tempo ordinario
( Sap 2, 12.17 – 20; Sal 53; Gc 3, 16 – 4.3; Mc 9, 30 – 37)
L’Infanzia Spirituale
Chi è il più grande fra noi?
Gesù sorprende gli Apostoli a discutere su chi di loro sia il più grande. Doveva essere un argomento che li interessava in un modo del tutto particolare se, ancora nell’imminenza della Passione, due di essi, Giacomo e Giovanni, gli chiedono di sedere uno alla destra e l’altro alla sinistra, suscitando l’indignazione di tutti gli altri. C’è di che restare di stucco per lo scarso successo di Gesù nel plasmare gli Apostoli a sua immagine e somiglianza: Egli, così umile e semplice, ha trovato una sorda resistenza nella mentalità dei Dodici, disposti a riconoscere a Gesù il primato, purché subito dopo venissero loro nella gerarchia del futuro regno messianico. Solo il bagno di fuoco nello Spirito Santo, accompagnato dalle umiliazioni e dalle persecuzioni, renderà gli Apostoli conformi al loro maestro. Non scandalizziamoci per la tenace sordità agli insegnamenti e agli esempi di Gesù riguardo l’umiltà: è proprio su questo terreno che il primo uomo è stato tentato. Trovare una persona autenticamente umile non è facile. Se l’hai trovata, hai incontrato un santo.
Appetitus excellentiae
Il grande teologo san Tommaso d’Aquino osserva che nella nostra natura ci sono delle tendenze che, in quanto realtà create da Dio, sono positive. Ad esempio l’istinto sessuale non è in sé stesso qualcosa di cattivo, se si muove secondo l’ordine stabilito da Dio. Lo è anche la tendenza naturale alla lotta, se non scade nell’aggressività e nella violenza: può, secondo san Tommaso, essere considerata una realtà positiva della natura, in quanto costituisce la base della virtù della fortezza.
Qualcosa del genere si può dire del desiderio di eccellere, il così detto appetitus excellentiae, che è molto radicato in ogni essere vivente e rappresenta una componente decisiva per realizzare la propria vita. In tutti noi vi è, o vi dovrebbe essere, una giusta percezione del proprio valore. L’umiltà non consiste nell’annientare sé stessi, ma nel riconoscere che quanto vi è in noi di buono viene da Dio. Le persone che patiscono complessi di inferiorità o non hanno stima di sé stesse sono malate, non sono umili. Quando però la giusta percezione del proprio valore sconfina nell’autoesaltazione e nella negazione del valore degli altri, ecco che spunta in noi la mala erba dell’orgoglio. Essa è così radicata nella natura umana decaduta che solo un miracolo della Grazia può sradicarla.
Dio è la Somma Sorgente
Su questo cammino di perfezione il primo passo da compiere è riconoscere la fonte divina dalla quale riceviamo l’essere, tutte le qualità e le grazie di cui siamo ricolmi. Giusto considerare la nostra persona con le qualità e la missione che Dio ci ha dato, senza sconfinare nella vanagloria, o peggio, nella superbia, radice di ogni disordine morale. Tutto viene da Dio sia nell’ordine naturale che in quello soprannaturale. Nell’ambito della Grazia non ci è possibile nulla senza l’aiuto di Dio: nessun obiettivo è realizzato senza la Grazia. Certo facciamo anche noi la nostra parte, perché Dio valorizza le sue creature e le vuole corresponsabili nell’opera della redenzione, ma anche il nostro personale contributo è un dono di grazia ed è motivo per ringraziare il Creatore. Se riesci a vedere la Grazia che opera in te, allora la saprai riconoscere e accettare anche negli altri. E’ bello saper comprendere la nostra personale vocazione alla santità e il compito specifico che Dio ci ha assegnato nel campo della vita: forse non è appariscente davanti al mondo, ma infinitamente prezioso davanti all’Altissimo. Chi può dire quante anime sono state salvate dalla sofferenza sconosciuta, dalle preghiere nascoste e dagli apostoli che operano nel silenzio? Non cercare cose grandi, ma gioisci nel percorrere quella via di santità e nel realizzare quella missione che Dio ti ha affidato. E’ l’amore appassionato e fedele, non la risonanza presso gli uomini, ciò che fa la grandezza di una vita umana.
Non siamo avanti nell’umiltà, anzi siamo in una situazione spirituale mediocre e pericolosa se non sappiamo vedere i doni che Dio dà ai nostri fratelli e non ci rallegriamo di essi. L’umile ha lo sguardo limpido, che riconosce con lealtà e semplicità l’azione di Dio nella propria vita, ma nel medesimo tempo la vede e l’ammira negli altri, senza cadere nell’invidia e nella gelosia.
I bambini secondo Gesù Cristo
Il bersaglio che Gesù vuole colpire in questa parabola è l’orgoglio: «Avevano discusso fra loro chi fosse il più grande». Alle parole Gesù associa un’azione simbolica, come usavano fare i profeti, soprattutto Ezechiele. Gesù chiama a sé un bambino, lo mette al centro dell’attenzione di tutti, lo abbraccia in segno di amore e di tenerezza e lo indica come il modello da imitare, rispettare, venerare, quasi fosse la sua stessa presenza. Con questo, Gesù ribalta una tradizione ben consolidata nell’Antico Oriente, secondo la quale il bambino è una creatura marginale e imperfetta, che non ha nulla da indicarci, immatura, testarda e irragionevole, a cui si doveva applicare la frusta. Significativa è la maledizione di Isaia: «Io metterò come loro capi ragazzi, a dominarli saranno bambini» (Is 3,4). Altrettanto netta la dichiarazione di un antico maestro giudaico, rabbi Jochanan: «Dai giorni in cui è stato distrutto il Tempio, la profezia è stata tolta ai profeti e data ai folli e ai bambini». Si legga a riguardo il lungo paragrafo del Siracide, sapiente del II sec a. C. (Sir 30,1 – 13).
Gesù un po’ provocatoriamente capovolge la normale concezione secondo cui un bambino può essere solo oggetto di educazione da parte di un adulto: in realtà, il ragazzo può anche diventare un soggetto che ha un messaggio prezioso da trasmettere proprio a colui che gli è per età, cultura e maturità superiore. E il messaggio non è quello, un po’ abusato e stereotipato, del candore e dell’innocenza, ma quello della piccolezza e della semplicità, della disponibilità fiduciosa, dell’abbandono senza calcolo, doppiezza e interessi.
Gesù si identifica con i piccoli e vorrebbe che i suoi discepoli scoprissero la vera grandezza dell’umiltà, della semplicità e dell’infanzia spirituale, secondo quanto è espresso nella splendida preghiera riportata dall’evangelista Matteo: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Non per nulla il cristiano chiama Dio con il vezzeggiativo Abbà, “papà”.
Domenica, 19 settembre 2021