di Michele Brambilla
L’udienza generale del 19 dicembre cade nei primissimi giorni della Novena di Natale, come ricorda lo stesso Papa Francesco: «Tra sei giorni sarà Natale. Gli alberi, gli addobbi e le luci ovunque ricordano che anche quest’anno sarà festa». La liturgia latina, sia nel rito romano sia in quello ambrosiano, cambia tono: si pensi soltanto alle celebri Antifone in “O”, che ritmano il canto dei vesperi.
Tuttavia, ammonisce il Papa, ogni fedele cattolico è sottoposto alla ricorrente tentazione di considerare i segni di festa come fine a se stessi, o, peggio, funzionali all’interpretazione mondana del Natale. «La macchina pubblicitaria invita a scambiarsi regali sempre nuovi per farsi sorprese. Ma mi domando: è questa la festa che piace a Dio? Quale Natale vorrebbe Lui, quali regali, quali sorprese?». C’è infatti il pericolo, dice Francesco, di «[…] sbagliare festa, e preferire alle novità del Cielo le solite cose della terra. Se Natale rimane solo una bella festa tradizionale, dove al centro ci siamo noi e non Lui, sarà un’occasione persa. Per favore, non mondanizziamo il Natale!».
Il pericolo è subito evitato se ci si ricorda del Festeggiato, Gesù Bambino, che sorprende sempre: «Guardiamo al primo Natale della storia per scoprire i gusti di Dio. Quel primo Natale della Storia fu pieno di sorprese. Si comincia con Maria, che era promessa sposa di Giuseppe: arriva l’angelo e le cambia la vita. Da vergine sarà madre. Si prosegue con Giuseppe, chiamato a essere padre di un figlio senza generarlo. Un figlio che – colpo di scena – arriva nel momento meno indicato, cioè quando Maria e Giuseppe erano sposi promessi e secondo la Legge non potevano coabitare».
Gesù fu una sorpresa per i promessi sposi di Nazareth, ma deve essere così anche per noi! «Insomma, il Natale porta cambi di vita inaspettati. E se noi vogliamo vivere il Natale, dobbiamo aprire il cuore ed essere disposti alle sorprese, cioè a un cambio di vita inaspettato», donato da Colui che è il Dono per eccellenza del Padre. Il Bambino Gesù, infatti, appena nato non può parlare, ha bisogno della parola dell’uomo, pertanto ci trasforma in apostoli. «Natale inaugura un’epoca nuova, dove la vita non si programma, ma si dona; dove non si vive più per sé, in base ai propri gusti, ma per Dio; e con Dio, perché da Natale Dio è il Dio-con-noi, che vive con noi, che cammina con noi. Vivere il Natale è lasciarsi scuotere dalla sua sorprendente novità».
Non si può quindi “fare Natale” con la stessa superficialità con cui si “fa serata”. Il Pontefice è molto chiaro: «il Natale di Gesù non offre rassicuranti tepori da caminetto, ma il brivido divino che scuote la storia. Natale è la rivincita dell’umiltà sull’arroganza, della semplicità sull’abbondanza, del silenzio sul baccano, della preghiera sul “mio tempo”, di Dio sul mio io». Il Natale borghese esce da questo discorso con le ossa rotte, ma neanche il Natale terzomondista, tutto impegno e zero contemplazione, può cantare vittoria. Il Pontefice ribadisce infatti subito dopo che il presepe, osteggiato pure da qualche prete politicizzato, è fondamentale per ammirare la scena della Natività e rifletterci sopra. «Se sapremo stare in silenzio davanti al presepe, Natale sarà anche per noi una sorpresa, non una cosa già vista. Stare in silenzio davanti al presepe: questo è l’invito, per Natale. Prenditi un po’ di tempo, vai davanti al presepe e stai in silenzio. E sentirai, vedrai la sorpresa», quella vera di un Dio che scardina anche l’idea che gli uomini si sono fatti della solidarietà.