Lo scarso peso dedicato alla storia dell’arte nelle scuole è indice dello scarso peso attribuito in generale a ciò che ha plasmato ed esprime la nostra identità. E poiché l’arte coinvolge più saperi (storico, religioso, letterario, simbolico), l’analfabetismo artistico rischia di renderci più ignoranti dei nostri antenati che non sapevano leggere, ma sapevano guardare.
di Stefano Chiappalone
A giusto titolo noi italiani siamo soliti vantarci di ciò che tuttavia non conosciamo a dovere: uno smisurato patrimonio artistico che ammonta – al di là delle stime – a una quota rilevante di quello mondiale. I numeri possono risultare più o meno variabili, ma è certo che pochi altri Paesi annoverano in un territorio relativamente piccolo capolavori universalmente noti e innumerevoli altri disseminati in ogni angolo, dalla Cappella Sistina al più piccolo frammento di affresco di una chiesa rurale. Eppure, sarebbe interessante proporre un sondaggio, del tipo di quelli che periodicamente colgono di sorpresa i parlamentari, ma a contenuto esclusivamente artistico. Per esempio: chi ha affrescato la Cappella degli Scrovegni? Cosa distingue un affresco da altri dipinti? Se vi pare troppo complesso, abbassiamo il tiro: chiedete a un amico o un collega di indicare un’opera a scelta in tutto il patrimonio nazionale e descriverla a grandi linee, indicandone anche l’autore e il periodo. Parallelamente, in campo letterario, tutti a parole affermerebbero di conoscere la Commedia dantesca, ma pochi sarebbero in grado di declamarne qualche verso (che non sia il celeberrimo incipit: «Nel mezzo del cammin di nostra vita…») e di aggiungere qualcosa in proposito. O ancora, persino tra i più assidui frequentatori di chiese, chiedete quanti sono in grado di indicare l’«abside», o il «deambulatorio» (se esistente), un «polittico» o un «rosone», e via elencando un piccolo glossario di base, sufficiente a dimostrare che siamo un popolo di santi, poeti, eroi… e ignoranti. Forse anche più analfabeti dei nostri antenati che non sapevano leggere ma sapevano guardare; conoscevano i rudimenti di quella storia sacra che ammiravano sulle pareti del sacro edificio mentre la udivano declamare dal pulpito; e grazie a quella cultura spicciola, di fronte a un’opera d’arte che ci lascia senza parole (nel senso della “scena muta” più che dello stupore) sapevano almeno dire se fosse una Maestà o un Ecce Homo.
Tale ignoranza non si riscontra soltanto – e sarebbe comprensibile – tra i non addetti ai lavori, ma anche tra molti che pure hanno compiuto studi umanistici e scaldato banchi liceali. Quando anche io scaldavo i banchi c’era un solo professore di storia dell’arte per le cinque sezioni, che dunque era “il” professore di quella disciplina: bravo e dotato di un particolare humour che me lo fa ricordare a distanza di anni, aveva però due sole ore settimanali a disposizione per tentare di inculcarci qualcosa. A vent’anni dalla maturità leggo che tuttora le ore riservate alla storia dell’arte nei licei sono mediamente due: troppo poche per non finire a disputarsi il ruolo di Cenerentola insieme a religione ed educazione fisica. Né bastano i famigerati viaggi di istruzione (vulgo, gite scolastiche) nel corso dei quali i pargoli in gran parte varcano in apnea la soglia di basiliche e musei, con un neurone intento ad ascoltare la guida e i restanti impegnati a smaltire i bagordi della sera precedente. Ci sono, naturalmente, coloro che ascoltano interessati (un’ampia gamma che va dal “secchione” al “brillantone”), ma anche per loro, sul lungo periodo, resterà un’esperienza «senza dubbio indimenticabile e già dimenticata», per dirla con il poeta argentino Jorge Luis Borges (1899-1986). Potrei forse esagerare le espressioni o le proporzioni, ma non dubito che quel che manca è la preparazione del terreno che permetta al momentaneo entusiasmo di radicarsi, forse anche in virtù dell’assioma inconsapevole e universalmente diffuso per cui il passato è qualcosa da dimenticare. Una volta divenuti adulti faranno ancora dei viaggi, per piacere o per lavoro, vedranno tanti luoghi di interesse culturale e cosa porteranno a casa? Molte foto e poco più.
Il dramma è che il diffuso analfabetismo artistico riguarda la nostra cultura, o quel che ne resta. I capolavori che un popolo ha plasmato (e che lo hanno plasmato) nel corso dei secoli, costituiscono l’epifania di un’identità ben più ampia di un inno nazionale (peraltro bruttino, a mio modesto gusto) cantato con una mano sul petto e l’altra su una birra guardando una partita.
Concludo con una proposta folle e un presagio triste.
La proposta, restando in tema di materie “cenerentole”, sarebbe quella di inserire nei programmi di educazione civica lo studio sistematico del ciclo di affreschi sul Buono e cattivo governo, dipinti da Ambrogio Lorenzetti (1290-1348) nel Palazzo Pubblico di Siena.
Il presagio, invece, è suggerito da un ricordo. Molti anni fa in una sede dell’allora esistente Alleanza Nazionale un iscritto al partito (non un passante, dunque) vedendo la foto di Giorgio Almirante (1914-1988) chiese: “Chi è quello lì con i baffi?”. Se l’analfabetismo sopra descritto continuerà ad avanzare, ci sarà gente che entrando in una chiesa e vedendo il crocifisso chiederà a sua volta: “Chi è quello lì con la barba?”.
Mercoledì, 13 ottobre 2021