Da Avvenire del 15/10/2021
Lo spettro della guerra civile ha gettato ieri nel terrore la capitale libanese. Gli scontri a fuoco, che hanno provocato sei morti e oltre trenta feriti, sono infatti avvenuti in un noto settore della vecchia «linea verde» che divideva Beirut in due parti, risuscitando le scene terribili di trent’anni fa: cecchini posizionati sui tetti, miliziani incappucciati che sparano lunghe raffiche di kalashnikov, famiglie intrappolate all’interno delle abitazioni evacuate dalla protezione civile, genitori che si precipitano nelle scuole per recuperare i figli rannicchiati nei corridoi. L’esercito libanese ha effettuato un imponente dispiegamento di forze e ha chiesto ai civili di abbandonare l’area degli scontri.
L’epicentro delle violenze, scoppiate attorno alle 11 locali (le 10 in Italia), è la rotonda Tayyoune, a circa un chilometro dal Palazzo di giustizia, dove era programmato un sit-in indetto dagli sciiti di Amal e Hezbollah per chiedere la rimozione di Tarek Bitar, il giudice titolare dell’inchiesta sulla devastante esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, accusato dal segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, di «politicizzare» l’indagine per conto degli americani.
Non è del tutto chiara la dinamica dell’escalation. I due partiti sciiti affermano che «cecchini» non meglio identificati hanno aperto il fuoco per primi contro i manifestanti. In un comunicato congiunto denunciano «l’aggressione» da parte di «gruppi armati organizzati con lo scopo di spingere appositamente il Paese verso la sedizione» su base religiosa. La ricostruzione degli scontri armati fornita dai media, e ripresa dal ministro dell’Interno libanese, punta il dito sulla presenza di «cecchini che miravano alla testa» dei manifestanti. I franchi tiratori, secondo Hezbollah e Amal, «erano appostati sui palazzi di fronte » alla rotonda di Tayyoune, ovvero sugli edifici del quartiere di Ain el-Remmaneh, nota roccaforte del partito cristiano delle Forze Libanesi di Samir Geagea, rivale dei due movimenti sciiti, arroccati invece nell’antistante quartiere di Shiyah.
Preoccupazione per gli episodi di violenza e appelli alla moderazione sono stati espressi dalla Francia e dal coordinatore speciale dell’Onu per il Libano. Le tensioni stanno mettendo a dura prova il governo di Najib Mikati, nato solo un mese fa dopo uno stallo di 13 mesi. Martedì, all’ultima burrascosa riunione dell’esecutivo, il tandem sciita ha persino minacciato di ritirare i propri ministri (5 su 24) se il giudice Bitar non venisse rimosso dall’incarico. Ieri, è stata invece bocciata per la seconda volta l’istanza per la ricusazione del giudice, presentata dai due ex ministri di Amal: Ali Hassan Khalil, formalmente incriminato nell’inchiesta, e Ghazi Zeaiter.
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