La contemplazione del Crocifisso o dell’Eucaristia come rimedio alla tentazione “fondamentalista”. La dinamicità dello Spirito, però, non fa rima con il libertinismo
di Michele Brambilla
Per Papa Francesco, che così inizia l’udienza generale del 27 ottobre, «la predicazione di san Paolo è tutta incentrata su Gesù e sul suo mistero pasquale. L’Apostolo infatti si presenta come annunciatore di Cristo, e di Cristo crocifisso (cfr 1 Cor 2,2). Ai Galati, tentati di basare la loro religiosità sull’osservanza di precetti e tradizioni, egli ricorda il centro della salvezza e della fede: la morte e la risurrezione del Signore». Secondo il Pontefice, il richiamo continuo di san Paolo al mistero della Passione è un’esortazione a non dimenticare il principio di realtà di fronte alle illusioni a cui può portare un’impostazione “fondamentalista” della vita di fede: «ancora oggi, molti sono alla ricerca di sicurezze religiose prima che del Dio vivo e vero, concentrandosi su rituali e precetti piuttosto che abbracciare con tutto sé stessi il Dio dell’amore. E questa è la tentazione dei nuovi fondamentalisti, di coloro ai quali sembra la strada da percorrere faccia paura e non vanno avanti ma indietro perché si sentono più sicuri: cercano», ironizza, «la sicurezza di Dio e non il Dio della sicurezza. Per questo Paolo chiede ai Galati di ritornare all’essenziale, a Dio che ci dà la vita in Cristo crocifisso».
Il Crocifisso demolisce, infatti, gli stereotipi sull’onnipotenza di Dio e ci ricorda che anche il cattolico è “segno di contraddizione” nel mondo. Molto importante il consiglio spirituale che il Papa suggerisce in proposito: «se noi perdiamo il filo della vita spirituale, se mille problemi e pensieri ci assillano, facciamo nostro il consiglio di Paolo: mettiamoci davanti a Cristo Crocifisso, ripartiamo da Lui. Prendiamo il Crocifisso tra le mani, teniamolo stretto sul cuore. Oppure sostiamo in adorazione davanti all’Eucaristia, dove Gesù è Pane spezzato per noi, Crocifisso Risorto, potenza di Dio che riversa il suo amore nei nostri cuori». Comprenderemo, così, come la Pasqua e il principale dono della Pasqua ai credenti, lo Spirito Santo, siano il fattore dell’autentico progresso, che non prevede soste o ripensamenti, ma neanche “fughe in avanti” che violino il progetto di Dio sull’uomo. Francesco ribadisce che «è Lui che cambia il cuore: non le nostre opere. È Lui che cambia il cuore, non le cose che noi facciamo, ma l’azione dello Spirito Santo in noi cambia il cuore! È Lui che guida la Chiesa, e noi siamo chiamati a obbedire alla sua azione, che spazia dove e come vuole. D’altronde, fu proprio la constatazione che lo Spirito Santo scendeva sopra tutti e che la sua grazia operava senza esclusione alcuna a convincere anche i più restii tra gli Apostoli che il Vangelo di Gesù era destinato a tutti e non a pochi privilegiati. E quelli», ammonisce, «che cercano la sicurezza, il piccolo gruppo, le cose chiare come allora, si allontanano dallo Spirito, non lasciano che la libertà dello Spirito entri in loro».
Una libertà, abbiamo visto più volte, che non coincide con il libertinismo. San Paolo è altrettanto chiaro nel distinguere le «opere della carne» da quelle dello Spirito. Il Santo Padre precisa che «l’Apostolo le chiama opere della carne non perché nella nostra carne umana ci sia qualcosa di sbagliato o cattivo», ma perché entra in azione il pervertimento delle passioni umane. Si comprende, allora, la necessità del discernimento degli spiriti, descritto come un vero e proprio «combattimento spirituale».
«Il frutto dello Spirito, invece, è “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22): così dice Paolo. I cristiani, che nel battesimo si sono “rivestiti di Cristo” (Gal 3,27), sono chiamati a vivere così», dato che l’essere battezzati è una condizione ontologica. «Può essere un buon esercizio spirituale, per esempio, leggere l’elenco di san Paolo», dice il Papa, «e guardare alla propria condotta, per vedere se corrisponde, se la nostra vita è veramente secondo lo Spirito Santo, se porta questi frutti». L’esame di coscienza non deve, però, essere affrontato con un atteggiamento legalistico: «a volte, chi si accosta alla Chiesa ha l’impressione di trovarsi davanti a una fitta mole di comandi e precetti: ma no, questo non è la Chiesa! Questo può essere qualsiasi associazione» con un proprio regolamento. La Chiesa ha Cristo, che fa la differenza. Si tratta di un organismo vivente, di un Corpo mistico, «e quante volte noi stessi, preti o vescovi, facciamo tanta burocrazia per dare un Sacramento, per accogliere la gente, che di conseguenza dice: “No, questo non mi piace”, e se ne va, e non vede in noi, tante volte, la forza dello Spirito che rigenera, che ci fa nuovi. Abbiamo dunque la grande responsabilità di annunciare Cristo crocifisso e risorto animati dal soffio dello Spirito d’amore. Perché è solo questo Amore che possiede la forza di attirare e cambiare il cuore dell’uomo».
L’esortazione ai pellegrini polacchi conduce ancora una volta il Pontefice sul terreno dei valori non negoziabili: «su richiesta della fondazione polacca “Sì alla vita”, oggi ho benedetto le campane che portano il nome: “La voce dei non nati”. Sono destinate all’Ecuador e all’Ucraina. Per queste nazioni e per tutti siano segno di impegno in favore della difesa della vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Che il loro suono annunci al mondo il “Vangelo della vita”, desti le coscienze degli uomini e il ricordo dei non nati. Affido alla vostra preghiera ogni bambino concepito, la cui vita è sacra e inviolabile».