Solennità di Cristo Re
(Dn 7, 13 – 14; Sal 92; Ap 1, 5 – 8; Gv 18, 33b – 37)
Nella tradizione cristiana la figura del re santo è la massima autorità che la storia ci consegni. L’emergere di una figura regale era determinata un tempo in maniera spontanea, per capacità e virtù umane. Il re nessuno lo aveva eletto, ma venivasemplicemente confermato e spesso acclamato, in quanto le sue opere erano la presentazione migliore e inequivocabile della sua persona.
Nella sua completezza il re ha tutti i nemici sotto i suoi piedi. Mai fu detta cosa più attinente a Cristo Risorto, vincitore della morte. Il reggente, cioè il capo, è, secondo l’etimologia, colui che sta allatesta, o – meglio ancora – colui che è la chiarezza nel pensiero. E’la mente che vede e che pensa, è la mente che fa agire nel vero interesse di tutto l’organismo. Il reggente è colui che sa, che vuole, che realizza, e, nello stesso tempo, colui che fa sapere, che fa volere, che fa realizzare. E’ colui che sapendo quel che vuole, sa proporzionare lo sforzo al risultato che vuole ottenere. Si è re nella misura in cui si è capaci di comunicare ad un gruppo determinato l’ideale di cui si vive, perché lo realizzi malgrado gli ostacoli.
Decidere, spesso, è cosa dappoco, ma ciò che importa è che le decisioni vengano eseguite. Per questo l’essere re non si esaurisce nel comandare, ma consiste nello scegliere coloro che debbono realizzare le direttive regali, nell’educare, animare, sostenere e controllare i sudditi. Quando giunge l’ora di prendere delle decisioni, di affrontare delle responsabilità, di ordinare dei sacrifici, dove si possono trovare dei protagonisti di tali rischiose imprese, se non in queste “nature superiori”, impregnate della volontà di vincere, che vedono chiaramente i mezzi che conducono alla vittoria e che trovano il coraggio di rischiare tutto?
Comprendiamo esattamente il senso e la grandezza del nome “capo”. Il comandante è colui che, nello stesso tempo, sa farsi obbedire e farsi amare. Non è colui che viene imposto, è colui che si impone. Per comandare agli uomini occorre sapersi donare.Essere re non si esaurisce nel compiere un’impresa, consiste soprattutto nel “fare” degli uomini, nel conquistarli e nell’unirli, amarli ed essere riamato. La nobiltà di un’arte è forse principalmente quella di unire degli uomini. Ciò è particolarmente vero dell’arte della reggenza.
Il capo non è un presidente. Un presidente, a qualunque cosa presieda, è per definizione non un uomo in piedi, ma un signore seduto, che accorda le opinioni dei presieduti e ne determina una preponderanza. Può essere abile, influente, ma non comanda, non è un capo. Volendo sapere chi è il vero reggente di un’impresa, domandatevi a chi verrebbe imputata la responsabilità in caso di insuccesso. Essere capo consiste soprattutto nel saper far lavorare gli uomini insieme, nel riconoscere e utilizzare nel miglior modo le capacità di ciascuno, nell’indicare all’uno e all’altro il posto più adatto, nell’infondere a tutti un senso di solidarietà e di uguaglianza di fronte al compito di cui sono responsabili, nell’assegnare i ruoli differenti di un medesimo gruppo. Ci sono capi dagli occhi dolci e dai modi dimessi, ma dal volto appariscente; ce ne sono addirittura di brutti e deboli, come san Paolo. Il re non viene designato da segni esterni, ma da una particolare missione. Egli è prima di tutto colui che si carica del peso degli altri. Per essere capi è necessario quell’amore del prossimo e quella preparazione che permette di conoscere l’uomo e di scrutare le sue intime pieghe dell’anima. Bisogna appartenere a quell’aristocrazia spirituale che ha per divisa il “servire”, ma il servizio disinteressato, perseverante, coraggioso, che richiede convinzione, entusiasmo e carattere.
Certo, queste caratteristiche sono riscontrabili, tutte in sommo grado nella figura di Gesù Cristo. L’autorità è colui che fa incrementare la vita negli altri. Il solo rivolgersi al Crocifisso, risorto e asceso al cielo, a Colui che scaccia la sorgente del male operante nel cosmo con la sola parola, è lo splendore e la vittoria della vita contro la morte. Anzitutto questo serve a noi uomini e donne. Guai avere fame di eternità! Durante le esequie funebri, innanzi ad una cassa di legno e al vuoto che lascia l’assenza di una persona cara, il solo sguardo al Crocifisso muove le sorgenti invincibili della vita. E’ il nostro Re che dal luogo della vittoria ci chiama alla fede nelle vita eterna. «Io sono via, verità e vita»:Gesù è Re in funzione della grande verità definitiva che porta nel mondo e che fonda il suo Regno, che non sarà mai distrutto. Gesù è Re perché persona-verità, la quale sempre vince sull’errore. Ci possiamo sempre rivolgere a Lui per trovare la volontà del Padre e risolvere sempre la nostra vita nella verità. Servire a Lui è regnare,sempre.
Il servizio di Maria Regina è voluto dallo stesso suo Re. Non c’è tenebra che regga all’arma del Santo Rosario. L’amore che accoglie e non giudica, amore di madre, è ciò che Gesù stesso ha pensato per noi umani, per accostarci al trono del Grande Sovrano. Servire il Signore Gesù è essere sacerdote, cioè compiere nella vita opere a Dio gradite, che fanno delle nostre giornate pagine di storia cristiana; è essere profeti, potendo parlare del Paradiso che ci attende con una misteriosa presenza spirituale santa che, porta comprensione ed aderenza ad ogni parola del Salvatore; soprattutto è sperimentare la regalità di Cristo in noi, con quella invincibile verità del cuore che porta sempre la nostra vita sui sentieri del Cielo.
Domenica, 21 novembre 2021