I domenica di Avvento
(Ger 33, 14 – 16; Sal 24; 1Tes 3, 12 – 4,2; Lc 21, 25 – 28.34 – 36)
Con questa prima domenica di Avvento inizia un nuovo anno liturgico. Il Vangelo che ci accompagnerà è quello di Luca, è il Vangelo della tenerezza perché Luca era un medico ed era molto sensibile alla sofferenza ai malati; è il Vangelo della misericordia e della grande valorizzazione di Maria, Madre di Dio. Nella prima lettura ci è rivelato lo schema costante dell’agire di Dio, che promette sempre in anticipo ciò che vuol realizzare e realizza fedelmente ciò che ha promesso.
In questo spazio tra promessa e realizzazione si colloca la possibilità, per l’uomo, della speranza e,
per Dio, della fedeltà. La promessa è per l’uomo, perché possa riconoscere ciò che viene da Dio, possa attenderlo con fede e testimoniarlo con forza. E’ questo il motivo per cui l’Antico Testamento è sempre attuale anche per noi cristiani e noi continuiamo a leggerlo nelle nostre assemblee. Il Vangelo ci porta, di colpo, al “centro dei tempi”, cioè a Gesù Cristo. Quella venuta di Dio verso gli uomini si è realizzata a Betlemme. La storia, però, non si è arrestata: il tempo è compiuto ma non è finito! «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con potenza e gloria grande».
La prima venuta fu nell’umiltà e nella sofferenza; la seconda sarà con potenza e gloria grande. La seconda lettura dell’apostolo Paolo, ci suggerisce cosa fare in questo frattempo: «Vegliate e pregate per crescere in conformità a Cristo, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo» (cfr Ef 4,13). Oggi sono proposti diversi argomenti, ma il tema della speranza cristiana li riassume tutti. Tutto l’Avvento è una celebrazione della speranza cristiana; è una specie di sacramento della speranza cristiana. Nei Vangeli non si parla di speranza, perché prima doveva agire Cristo. Dopo di Lui vediamo esplodere questo tema.
La speranza è una componente essenziale dell’esistenza cristiana. Essa nasce dalla risurrezione di Cristo, che inaugura l’oggetto stesso della speranza cristiana, che è una vita con Dio, anche dopo la morte. Gli antichi conoscevano solo l’attesa, non la speranza, ma l’attesa può anche deludere, portare male o essere vana, se attendi senza un cuore di battezzato, senza un cuore che ascolta. «La speranza si fonda su Dio, sul suo amore, sulla sua chiamata, sulla sua potenza, sulla sua veracità e sulla sua fedeltà nel mantenere le promesse. Così essa non può ingannare. Poggia sulla fede e muove la carità, la fonte è lo Spirito Santo che illumina, fortifica, fa pregare e opera, mediante essa, l’unità della Chiesa. E’ piena di sicurezza, di conforto, di gioia e di fierezza; non si lascia per nulla abbattere dalle sofferenze presenti, che contano poco in confronto della gioia promessa; al contrario, le sopporta con una costanza che la prova e la conferma» (cfr Nota a Rm 5,2 nella Bibbia di Gerusalemme). La speranza differisce dal credere: «La fede vede quello che è, nel tempo e nell’eternità. La speranza vede quello che sarà, nel tempo e nell’eternità. La carità ama quello che è, ma la speranza ama quello che sarà» (Charles Peguy). In questo senso la speranza è più meritoria della fede, perché più esigente. Non è gran cosa credere per chi non è cieco, visto come Dio risplende nella creazione, ma sperare, sperare sempre, ricominciare a sperare dopo l’ennesima delusione, sperare che il giorno seguente sarà migliore dopo che tante volte esso è stato peggiore, assorbire tutte le apparenti smentite, come la terra assorbe una pioggia regolare, questo è veramente grande e rivela l’onnipotenza della grazia divina. Cosa sarebbe una fede senza speranza? Paolo dice che sarebbe «vuota» (1Cor 15,14). Nessuno semina se non si aspetta un raccolto. Noi cristiani siamo responsabili della speranza che ci è stata donata: di essa dobbiamo sempre essere pronti a rendere ragione non solo con le parole, ma anche con la dolcezza e il rispetto verso chi è in difficoltà, disposti a soffrire qualcosa per essa. Ai propri figli va data una robusta speranza, prima ancora che il pane; ai propri scolari bisogna saper dare una speranza ancor prima della dottrina; agli anziani bisogna dare una speranza più grande della pensione. Perché si può vivere quasi senza tutto, ma non senza speranza. Quando uno arriva a non sperare veramente più nulla, ad alzarsi al mattino senza attendersi assolutamente nulla, egli non vive più e si lascia morire, o lentamente, o tutto in una volta.
Esiste anche una speranza umana: sul lavoro, sulla salute, la riuscita negli studi, negli affari, su un compagno o una compagna nella vita. I due tipi non si escludono: non abbiamo bisogno di innalzare la speranza cristiana sulle rovine della speranza umana. Generalmente chi è generoso con Dio è premiato a dismisura dal Signore della misericordia. Per cui, tutte le mattine affido il mio tempo con le sue opere al Salvatore del mondo, che porta a compimento i nostri sforzi. Regolarmente alla sera la casa è stata costruita, tutto è andato in porto. Anche quando le aspettative erano diverse, Dio chiude porte per aprire portoni.
La nostra vita si riempia della memoria di tante giornate, vere e proprie storie sacre della nostra vita, tutte connotate dall’affidamento a Dio e dal suo regolare ausilio quotidiano, che rende la nostra vita un giardino dove passeggia anche Dio. Ogni impresa ha buon fine e il frutto è sovrabbondante. Da tempo mi attendo l’intervento di Dio con la sua grazia, con un buon consiglio che risolve e tante occasioni provvidenziali, riconosciute, colte e realizzate. Per questo, dice il Salvatore nel Vangelo, non bisogna temere mai il futuro e non si deve subire il passare del tempo. C’è sempre una volontà di Dio da compiere, che riempie la vita di ogni beatitudine. Ai santi si addice lo sguardo profondo e umile, di chi vede cosa accade attorno a sé, secondo la volontà del Padre che opera sempre. «Il Dio della speranza ci riempia di ogni gioia e pace nella fede, perché abbondiamo nella speranza per la virtù dello Spirito Santo» (Rm 15,13).
Domenica, 28 novembre 2021