Da Avvenire del 04/12/2021
Nel suo nono discorso alla città e alla diocesi in occasione della solennità del patrono san Prospero, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca ha deciso di parlare di denatalità, una questione che non riguarda semplicemente la necessità di «far quadrare i numeri», ma ha piuttosto a che fare con «la possibilità di un Paese, di una cultura, di un popolo, di rigenerarsi, di sfuggire alle sabbie mobili della propria storia». «C’è una questione fondamentale – ha detto il pastore – per la quale tutto sta o cade: la crisi delle nascite è, al fondo, una crisi di speranza. Crisi, cioè, della nostra capacità di andare lietamente incontro al futuro a partire dal riconoscimento di un bene già presente ora, pur tra le fatiche e le difficoltà. L’affievolirsi della nostra capacità di sperare è la conseguenza del venir meno del nostro rapporto con Dio».
Camisasca prende in attenta considerazione i dati statistici sulla crisi demografica e gli studi di vari esperti del settore. Basti citare un passaggio dell’intervista al presidente dell’Istat che correda, sul settimanale diocesano La Libertà, la pubblicazione integrale del discorso, là dove commentando l’ennesimo record negativo per i nuovi nati in Italia, il professor Gian Carlo Blangiardo afferma: «Al momento sono noti i dati di natalità dei primi otto mesi e nel complesso siamo sotto del 4,4% rispetto allo stesso periodo del 2020. Il fatto che il quadrimestre mancante sarà caratterizzato da nascite che riflettono i concepimenti avvenuti durante la “seconda ondata” della pandemia (autunno-inverno 2020) non induce certo a immaginare sostanziali recuperi. In conclusione il 2021 porterà l’asticella sotto le 400 mila nascite. Ancora una volta, il più basso valore mai registrato in 160 anni di Unità nazionale». A partire dalla realtà, il vescovo Camisasca spinge la riflessione alla radice del malessere di cui le culle vuote sono un effetto: «Sono convinto – sostiene – che il fondamento dell’attuale crisi della natalità abbia a che fare con l’avanzare di una sorta di immanentismo e di neopositivismo che hanno ridotto l’orizzonte dell’autocoscienza dell’uomo ». Secondo il pastore la perdita del senso della trascendenza e della creaturalità riguarda tout court l’uomo e la nostra epoca. «Proprio per questo, prima e più profondamente di ogni pur necessaria ristrutturazione economica e politica a sostegno delle nascite è necessario restituire alle donne e agli uomini del nostro tempo il senso della trascendenza».
Quanto alla «trascendenza nella finitezza», essa si sperimenta fin dall’inizio nella famiglia, il luogo in cui viene custodito il mistero della nascita. «Il fatto stesso di generare una famiglia si regge su una dinamica di reciproco dono e accoglienza tra gli sposi», sicché «alla logica prometeica del controllo e della pianificazione si contrappone così lo stupore riconoscente della nostra vocazione». «L’annuncio cristiano – ha concluso Camisasca – ci offre la luce necessaria per poter guardare al mistero della nascita e alla questione della natalità con speranza, con fiducia. Non soltanto né in primo luogo i sostegni e le politiche famigliari, non gli studi economici e sociologici, non l’opportunità politica, ma solo questa speranza, così fondata e accolta, apre alla fiducia nel futuro».