Da Avvenire del 30/12/2021
Nell’anno che si chiude, ancora una volta il Pakistan è sembrato mostrare solo l’immagine di una nazione vasta e popolosa vittima dei suoi stessi estremismi e contraddizioni. Orientata all’affermazione del ruolo di grande Paese islamico all’esterno e incapace di garantire ai suoi cittadini benessere e prospettive, ghettizzando o perseguitando le proprie minoranze. In buona sostanza fallendo nel rispettare la sua stessa identità originaria e la sua Costituzione. Proprio gli articoli del Codice penale che compongono la «legge antiblasfemia » hanno continuato a dimostrarsi un ostacolo insormontabile a ogni tentativo di individuare un nuovo orizzonte di convivenza tra maggioranza e minoranze. Una legge che oltre a devastare vite di cristiani e di altre entità religiose minoritarie, spesso colpisce pesantemente anche gli stessi islamici. Ma ora, per molti, il «vento può cambiare». Il dibattito sulla sua legittimità per quanto riguarda l’utilizzo in ambiti diversi dalla stretta difesa dell’onore della fede maggioritaria è aperto da tempo, come è aperto anche se sospeso un percorso parlamentare per arrivare a una nuova definizione del reato di blasfemia, delle sue aree di applicazione e delle pene.
Un dibattito è aperto anche all’interno dell’islam pachistano (sunnita perlopiù) e tra alcuni settori di questo e le rappresentanze delle minoranze anglicana, cattolica, protestante, indù e sikh. Un dialogo che resta attivo ma i cui risultati sono più di incoraggiamento a proseguire il cammino che applicati.
A ricordarlo è stato un convegno che il 3 dicembre, a Rawalpindi, ha messo a confronto esponenti di varie fedi ma dove anche le voci di eminenti personalità islamiche hanno indicato che il cambiamento è possibile.
Toccando uno strumento essenziale nel garantire la sottomissione dei cristiani come la «legge antiblasfemia», l’associazione di impegno politico e sociale delle minoranze Apma, organizzatrice dell’evento, ha sottolineato nel documento finale come il Pakistan sia «un Paese dove il forte incremento dei casi di blasfemia ha prodotto negli ultimi anni un aumento di atteggiamenti brutali», ma anche dove «tutte le persone che condividono gli stessi ideali devono porsi su uno stesso piano di armonia, pace e giustizia. Devono accettare la verità e impegnarsi per essa con azioni chiare e sagge, senza distinguere ma maggioranza o minoranza in un Paese dove tutti condividono la stessa cittadinanza pachistana». Questa «unità nella diversità» è stata sottolineata da Paul Bhatti, leader di Apma e fratello del Shahbaz Bhatti, ministro assassinato nel marzo 2011 come prima di lui, a inizio gennaio dello stesso anno, il governatore musulmano della provincia del Punjab, Salman Taseer che aveva difeso pubblicamente l’innocenza di Asia Bibi, la donna cattolica rimasta in carcere per otto anni e poi scarcerata perché innocente.
Due personalità politiche che hanno pagato con la vita la difesa del diritto delle minoranze alla sicurezza e all’uguaglianza già individuati dal «padre della patria» Muhammad Ali Jinnah. Per Bhatti «la convivenza è possibile e gli stessi musulmani ne sono fautori, ma come noi anche loro faticano a sovrastare estremismo e odio che derivano, più che da un “sentire” condiviso nel Paese, dalla strumentalizzazione da parte di alcuni gruppi di povertà, disillusione e ignoranza diffuse». D’altra parte, molti studiosi islamici in Pakistan concordano sul fatto che la criminalizzazione della blasfemia (e dell’apostasia) ha più una motivazione politica che religiosa e se il Corano non sollecita punizioni per i sacrileghi, l’autoritarismo politico che tanta parte ha avuto nel Paese ne ha fatto invece una carta per guadagnare consenso e controllo.
È da questa consapevolezza e dalla sua diffusione che può crescere una coscienza non solo favorevole a integrazione e giustizia, ma anche necessaria per un Pakistan più forte e sviluppato. Potrebbe volerci tempo ma iniziative come quella di Rawalpindi sono scintille necessarie ad attivare questo processo, sottolinea Paul Bhatti. «Nonostante tutto e alla fine di un 2021 reso ancora più difficile dalla pandemia che ha ulteriormente ghettizzato i gruppi meno favoriti l’anno che verrà dovrà essere aperto alla speranza e noi cattolici impegnati restiamo fiduciosi».